greenintro
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Questo è stato il secondo libro dell'autrice dopo Canne al vento che ho letto, e devo dire che ho nel complesso ritrovato gli stessi tratti stilistici. Una trama che trae spunto da una saga familiare e che poi evolve in una direzione che va più verso l'onirico piuttosto che in una trama davvero articolata. Per la Deledda non sono le azioni, gli accadimenti la cosa da mettere in maggior risalto, bensì creare un'atmosfera che sembra avvolgere il lettore in una dimensione entro cui non sembrano ben chiari i confini tra naturale e soprannaturale, in cui la decrizione degli ambienti naturali della Sardegna rurale è costantamente pervasa dall'avvertimento di forze misteriose, spiriti, che penso si possano interpretare soprattutto come metafora dell'idea di un mistero, di un destino superiore che sovrasta il libero arbitrio dei personaggi. Al di là delle loro azioni e intenzioni, c'è qualcosa di "tragico", nel senso greco, eschileo, del termine, il pensiero di un qualcosa che si ripete, delle colpe generazionali (da qui l'insistenza sull'elemento familiare) degli antenati, che come una maledizione, condiziona fatalmente il destino dei progenitori. Ecco perché in questo libro, come in Canne al Vento, noto come una sorta di spiritualità naturalistica, neo-pagana, che rende la sua scrittura solo apparentemente, o meglio, solo parzialmente "realistica", motivo per cui non mi convince affatto, come leggo a volte, l'etichetta di "verista" applicato a questa autrice: non basta che il tema centrale siano storie di vita quotidiana, gente comune, strutture sociali, per essere avvicinati a Verga. Il suo costante lirismo, echi mistici e spirituali che caratterizzano gli sfondi naturali, mi fanno più pensare a un "realismo magico".