Bergman, Ingmar - Persona

fabiog

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Cast : Alma ( Bibi Andersson ), Elisabeth Vogler ( Liv Ulmann )

Una dottoressa spiega ad un infermiera, Alma, che dovrà assistere Elisabeth, una famosa attrice di teatro che mentre interpretava l'Elettra di Sofocle ha improvvisamente smesso di parlare e si è rifugiata in un ostinato mutismo. La degenza in ospedale è servita a capire che Elisabeth non è malata nè nel fisico nè nella psiche, la dottoressa consiglia pertanto ad Alma di trascorrere qualche giorno in un isola deserta con la paziente.
Da questo momento il film di Bergman sviluppa un intenso confronto tra le due donne, Alma che, rendendosi conto per la prima volta di poter essere ascoltata si apre totalmente ad Elisabeth, ed Elisabeth che, sempre in silenzio , ascolta.
Ma il confronto và molto più in là , assistiamo in molte scene ad una vera e propria trasposizione di un personaggio nell'altro, il confronto cessa di essere cosi tra due soggetti differenti, ma sembra che ciascuno si trovi davanti al suo doppio interiore, al suo Doppelganger. Cosi Alma scopre davanti al mutismo di Elisabeth lati di sè che non voleva vedere, ma la stessa Elisabeth nelle parole di Alma, soprattutto nel finale, trova una verità scomoda.
Straordinario è l'uso che viene fatto della fotografia e della telecamera in questo film, la sovrapposizione dei due volti delle protagoniste rende maggiore l'idea del doppio e dell'unità.
Splendida anche l'interpretazione delle due protagoniste mai indulgente e mai fuori dalle righe
 

zolla

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che dire uno dei grandi capolavori dell'immenso Ingmar,grandissime interpretazioni delle due attrici,una sceneggiatura che sembra un trattato di psicologia
 

Masetto

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Un film abbastanza brutto e molto sopravvalutato. Sarà pure “assolutamente rivoluzionario nello stile e nelle tecniche registiche (memorabili le scene in cui i volti delle due attrici sono racchiusi nella stessa inquadratura)” (Stefano Lo Verme), ma frasi come “Persona è una sconcertante riflessione sui temi dell’identità e dell’esistenza, che in virtù della sua straordinaria ricchezza di allusioni e di simbolismi può prestarsi a molteplici livelli di lettura” (idem) sono di quelle troppo spesso usate dai critici per nascondere la confusione, l’ambiguità formale e la mancanza di ispirazione poetica di tante opere.
E in effetti questo film è così vago che potrebbe significare qualsiasi cosa:

<< Persona nasce, innanzitutto, come riflessione sulla «duplicità», sulla naturale ambivalenza della figura dell’attore. >> Claudio G. Fava
<< Bergman insegna una cosa importante: la comunicabilità è la vera vita, l’incomunicabilità è la finzione. In un clima di finzione cioè di non cultura è nata la moda dell’incomunicabilità. >> Liliana Cavani
<< Persona non è altro che una sconvolgente rappresentazione dell’inconscio femminile, gravato dall’angoscia di una maternità non desiderata e da un senso di colpa incessante e opprimente, dal quale scaturisce un’incapacità di amare e di accettare se stessi. E infatti, i rispettivi ruoli delle due donne finiranno per confondersi e mescolarsi, in una sovrapposizione di identità che è anche uno scontro fra una personalità dominante ed una più debole; o forse, per tutto il film non ci troviamo di fronte che ad un unico personaggio, il quale subisce un effetto di sdoppiamento dei diversi aspetti della sua psiche.>> Stefano Lo Verme
<< In Persona, Bergman ha fondato l’incomunicabilità interpersonale, l’alienazione psicologica, sull’incomunicabilità metafisica tra l’uomo e la divinità, sull’alienazione dell’uomo nella divinità, in altri termini ha saldato insieme la «solitudine» psicologica e quella metafisica, facendo della seconda il fondamento della prima. E il ragazzo che inutilmente protende le mani verso la sfocata immagine materna - di una madre che non lo ama e non lo soccorre (le immagini dei morti) - è ancora una volta l’immagine del rapporto uomo-divinità. Questa visione severa, tanto appassionante e nello stesso tempo neppure minimamente sfiorata dalla «charitas» cristiana, sconsolata e inaccettabile nella sua affermazione-negazione di un Dio silenzioso che, forse, potrebbe soltanto coincidere con la nostra angoscia ma che, nello stesso tempo, è l’inizio e l’esito di ogni crisi spirituale risolvibile ma non esauribile in termini di ragione e di psicologia. >> Leandro Castellani
<< Ci accorgiamo infine che una donna continua nell’altra, che sono i due aspetti di una stessa persona; che i torturati sono anche i torturatori e viceversa; che non si sfugge alle responsabilità dell’individuo e della storia se non accettando il niente come grado zero della morale. >> Tullio Kezich
<< […] Come tutte le opere di questo regista colto e filosofeggiante, anche Persona si può leggere a diversi livelli. C’è prima di tutto il livello psicologico e realistico, il più vivo, abbastanza tradizionale, con la storia di un amore non corrisposto (che sia un amore omosessuale non ha importanza) tra una persona più debole che ama e un’altra più forte che non ama. C’è poi il livello ideologico-simbolico: l’attrice potrebbe incarnare la civiltà occidentale colpita da alienazione e ormai ridotta a recitare una parte senza contenuto oppure tacere. C’è pure il livello filosofico riconducibile probabilmente al pensiero di Kierkegaard soprattutto per quanto riguarda il senso di colpa e la conseguente angoscia e disperazione. C’è infine il livello sociologico: Bergman, regista borghese, analizza i mali della classe, senza peraltro ricercarne e definirne le cause. >> Alberto Moravia

Manca del tutto in questo film un’intuizione poetica chiara, originale e onnicomprensiva. Ha dunque ragione Moravia ad aggiungere che:
<< Tutti questi livelli nelle altre e migliori opere si confondevano come sempre avviene allorché c’è effettiva e univoca invenzione. Qui invece coesistono senza provocare l’esplosiva ambiguità della poesia. E perciò viene fatto di pensare che Persona sia opera piuttosto di applicazione che di ispirazione >> ,
e soprattutto Goffredo Fofi:
<< Persona non è dibattito essenziale di idee e incertezze in pochi asciutti personaggi, né rappresentazione ricca e sollecitante. È un film di crisi, e come tale va visto […] . La crisi si articola in una mezza confessione. Mezza, perché Bergman non osa (o non osa ancora) presentarsi al pubblico in “prima persona”, e insinua nella narrazione di un breve e smunto soggettino inserti che non rispondono della visione della protagonista ma della sua, e passa da momenti di racconto oggettivo a momenti in cui l’intervento del regista diviene pressante, ricorrendo a simboli inesplicabili (che vengono da altri film e forse più ancora dalla sua biografia, infanzia o incubi attuali) che poco legano coi personaggi e a essi si sovrappongono, restandoci in generale estranei. Bergman ci impone così una sua crisi, senza riuscire a oggettivarla e senza avere la forza di proporcela direttamente. […] Gli interventi simbolici e onirici, pesantemente espressionistici e a volte facili e irritanti (le due mezze facce che si compongono in una) imbrogliano solo, e con soluzioni di rimedio. L’ambiguità è così dapprima formale, e corrisponde alla commistione irrisolta tra esame e confessione per volontà dell’autore o per sua incapacità di controllo sulla materia trattata. La crisi di Bergman è così pressante da impedirgli questo controllo? Le soluzioni possibili, in tal caso, sono sempre più ristrette, e quella fondamentale sembrerebbe essere la stessa di Elizabeth: il silenzio. >>
 
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El_tipo

Surrealistic member
geniale. Questo film è il papà di tutte le opere surrealistiche e visionarie del cinquantennio che gli è seguito. E' facile trovarne riferimenti nei film di Lynch, Jodorowsky, ma anche Fellini.
Pietra miliare da vedere assolutamente
 
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