Shoshin
Goccia di blu
"Chi ha letto la sua grande opera in tre volumi, detta la Trilogia del Ragazzo, sa che della narrativa di Jón Kalman Stefánsson la neve, il mare nero, il vento gelido sono elementi costitutivi. Come se, senza questo gran palcoscenico climatico così impietoso, le vicende che racconta non potessero prendere corpo. Invece dei corpi, della loro pesante materia e della loro inquieta biologia questo cinquantasettenne autore islandese non può fare a meno per evitare che il sogno, l'anima, l'inconscio, così presenti nelle sue storie, non si trasformino in pura lirica, peccato mortale per un romanziere. La sostanza di cui sono fatti i sogni è dunque strettamente compenetrata a quella di cui sono fatti i corpi in “Crepitio di stelle», che la sua casa editrice italiana, Iperborea, manda in libreria nella impeccabile, come di consueto, traduzione di Silvia Cosimini.
Tradurre Stefánsson credo voglia dire seguire un'onda mobile e abbastanza impervia, tanto dinamica e imprevedibile è la sintassi narrativa e la scrittura stessa di questo autore, in primo luogo dal punto di vista del tempo. Nella trilogia che gli ha dato ammirazione critica, traduzioni in una ventina di Paesi e un prestigio che nel 2017 gli è valso una candidatura al Nobel, molto a lungo il lettore non capisce in quale epoca si trova. La vita dell'uomo sembra rispondere alle leggi dell'eternità, oppure ritagliarsi a fatica una sua ombra sullo sfondo intemporale delle leggende e degli eroi mitici. Ma nelle affascinanti architetture letterarie di Stefánsson eroi mitici sono i più comuni degli uomini: a una cronologia leggendaria appartengono tutti i viventi, anche e soprattutto quelli che non lasciano traccia nei grandi avvenimenti, i protagonisti oscuri della sempre difficile quotidianità.
Certo la quotidianità della remota terra islandese, un'isola perduta in un mare più scuro della notte, è particolarmente dura, come sperimentano i due protagonisti di «Crepitio di stelle»: il personaggio chiamato "il bisnonno", e il bambino che probabilmente si chiama Jón Kalman come l'autore, suo pronipote. Ma Stefánsson non insegue né l'autobiografia né si culla nell'ovattata nebbia dei ricordi famigliari, neppure denuncia la crudezza delle esperienze. Nei suoi libri biografia e autobiografia affluiscono nell'invenzione romanzesca perché ciò che gli interessa sono le trame del destino, che si nutrono allo stesso modo del vissuto e di tutto ciò che nel vissuto si innerva: sogni, speranze, illusioni. Come in una cantata o in una di quelle saghe nordiche che sembrano molto presenti all'immaginazione dell'autore.
Il bisnonno è un personaggio che passa il tempo della sua vita a cadere e risorgere. Ciò che non cambia è il legame che lo avvince alla sua compagna, dura e tenace e pronta a ogni fatica in nome di un sentimento che sarebbe fatuo e riduttivo chiamare amore, un «sinonimo di talmente tante cose» che è impossibile enumerare. Anche se poi è proprio l'amore il tema che tiene unite la storia del bisnonno e quella del bambino, che vede la sua giovane mamma finire troppo presto sottoterra e comparire al suo posto una rude matrigna, gentile solo quando mastica pinne di foca. Il destino di un uomo che prima di essere molto vecchio e dunque bisnonno è stato giovane, il destino di un bambino sofferente che amava leggere: in comune hanno l'onda del tempo che li ha travolti. «Il tempo si mette d'impegno per cambiare le cose, sembra proprio che non riesca a lasciarle così come sono, però trascura sempre qualche dettaglio». I dettagli che il tempo dimentica nella sua corsa - una moltitudine di alloggi, poesie, soldatini parlanti, amplessi, barche e ghiacciai - sono la materia di questa storia, dove tutto è così duramente, così crudelmente reale che è impossibile raccontarlo senza chiedere aiuto al registro della fiaba."
Ho scelto la riflessione sul libro di Elisabetta Rasi per raccontare
questo splendido libro di Jón Stéfansson.
La radice poetica di questo scrittore,assieme ad una sensibilità d'animo fuori dal comune,hanno fatto di questo libro una porta aperta sul tutto ,
sulla vita che trascorre inesorabile ,e i suoi punti di riferimento sempre in mutazione.
Ma poi ci sono i ricordi.Che a volte riposano,a volte tornano prepotenti a raccontarci chi siamo stati e perché siamo adesso così.
L'inesorabile trascorrere del tempo va fermato ogni tanto,ed io so che mi fa bene...andare a cercare,a toccare,a riguardare le mie piccole conchiglie di mare,i miei sassi,le mie storie tristi e felici.
E poi arriverà il tempo di restituire tutto a quel tutto che ho vissuto.
Io stessa ,con le mie mani e il mio cuore.
«Un giorno, prima o poi, li riporterò tutti e due sulla Snæfellsnes e li lascerò al loro posto: il sasso sulla collina, la conchiglia in mare. Grazie per avermeli dati in prestito, dirò.»
Che libro meraviglioso.
Io vorrei rileggerlo un giorno,
vorrei ritrovare quell' atmosfera
che ho percepito
e che ha spostato la mia vita
in un luogo che io ho riconosciuto .
La Potenza della scrittura
è straordinaria. Ma non è da tutti.
Donare meraviglia al lettore,non è cosa
da poco.Riuscire a spostare la sua vita addirittura
è una Grazia concessa a pochi.
Tradurre Stefánsson credo voglia dire seguire un'onda mobile e abbastanza impervia, tanto dinamica e imprevedibile è la sintassi narrativa e la scrittura stessa di questo autore, in primo luogo dal punto di vista del tempo. Nella trilogia che gli ha dato ammirazione critica, traduzioni in una ventina di Paesi e un prestigio che nel 2017 gli è valso una candidatura al Nobel, molto a lungo il lettore non capisce in quale epoca si trova. La vita dell'uomo sembra rispondere alle leggi dell'eternità, oppure ritagliarsi a fatica una sua ombra sullo sfondo intemporale delle leggende e degli eroi mitici. Ma nelle affascinanti architetture letterarie di Stefánsson eroi mitici sono i più comuni degli uomini: a una cronologia leggendaria appartengono tutti i viventi, anche e soprattutto quelli che non lasciano traccia nei grandi avvenimenti, i protagonisti oscuri della sempre difficile quotidianità.
Certo la quotidianità della remota terra islandese, un'isola perduta in un mare più scuro della notte, è particolarmente dura, come sperimentano i due protagonisti di «Crepitio di stelle»: il personaggio chiamato "il bisnonno", e il bambino che probabilmente si chiama Jón Kalman come l'autore, suo pronipote. Ma Stefánsson non insegue né l'autobiografia né si culla nell'ovattata nebbia dei ricordi famigliari, neppure denuncia la crudezza delle esperienze. Nei suoi libri biografia e autobiografia affluiscono nell'invenzione romanzesca perché ciò che gli interessa sono le trame del destino, che si nutrono allo stesso modo del vissuto e di tutto ciò che nel vissuto si innerva: sogni, speranze, illusioni. Come in una cantata o in una di quelle saghe nordiche che sembrano molto presenti all'immaginazione dell'autore.
Il bisnonno è un personaggio che passa il tempo della sua vita a cadere e risorgere. Ciò che non cambia è il legame che lo avvince alla sua compagna, dura e tenace e pronta a ogni fatica in nome di un sentimento che sarebbe fatuo e riduttivo chiamare amore, un «sinonimo di talmente tante cose» che è impossibile enumerare. Anche se poi è proprio l'amore il tema che tiene unite la storia del bisnonno e quella del bambino, che vede la sua giovane mamma finire troppo presto sottoterra e comparire al suo posto una rude matrigna, gentile solo quando mastica pinne di foca. Il destino di un uomo che prima di essere molto vecchio e dunque bisnonno è stato giovane, il destino di un bambino sofferente che amava leggere: in comune hanno l'onda del tempo che li ha travolti. «Il tempo si mette d'impegno per cambiare le cose, sembra proprio che non riesca a lasciarle così come sono, però trascura sempre qualche dettaglio». I dettagli che il tempo dimentica nella sua corsa - una moltitudine di alloggi, poesie, soldatini parlanti, amplessi, barche e ghiacciai - sono la materia di questa storia, dove tutto è così duramente, così crudelmente reale che è impossibile raccontarlo senza chiedere aiuto al registro della fiaba."
Ho scelto la riflessione sul libro di Elisabetta Rasi per raccontare
questo splendido libro di Jón Stéfansson.
La radice poetica di questo scrittore,assieme ad una sensibilità d'animo fuori dal comune,hanno fatto di questo libro una porta aperta sul tutto ,
sulla vita che trascorre inesorabile ,e i suoi punti di riferimento sempre in mutazione.
Ma poi ci sono i ricordi.Che a volte riposano,a volte tornano prepotenti a raccontarci chi siamo stati e perché siamo adesso così.
L'inesorabile trascorrere del tempo va fermato ogni tanto,ed io so che mi fa bene...andare a cercare,a toccare,a riguardare le mie piccole conchiglie di mare,i miei sassi,le mie storie tristi e felici.
E poi arriverà il tempo di restituire tutto a quel tutto che ho vissuto.
Io stessa ,con le mie mani e il mio cuore.
«Un giorno, prima o poi, li riporterò tutti e due sulla Snæfellsnes e li lascerò al loro posto: il sasso sulla collina, la conchiglia in mare. Grazie per avermeli dati in prestito, dirò.»
Che libro meraviglioso.
Io vorrei rileggerlo un giorno,
vorrei ritrovare quell' atmosfera
che ho percepito
e che ha spostato la mia vita
in un luogo che io ho riconosciuto .
La Potenza della scrittura
è straordinaria. Ma non è da tutti.
Donare meraviglia al lettore,non è cosa
da poco.Riuscire a spostare la sua vita addirittura
è una Grazia concessa a pochi.