72° Poeticforum - Le poesie che amiamo

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Emily Dickinson

Pathurnia, da brava poetessa, è stata bravissima a mostrare l'altra faccia del pensiero di Emily.
Quello che si prova dopo aver "visto il sole" è il dolore intenso della perdita. Qualcosa che si ha avuto e che non si ha più.
Quello che si prova senza averlo visto, secondo me, è un dolore sordo o forse un non-dolore. Non credo si soffra di un dolore atroce per qualcosa che non si conosce, si prova malinconia, tristezza, senso di mancanza, ma non il vero dolore, quello che lacera le viscere. Se penso a un bambino che perde un genitore e poi a un bambino che non lo ha mai conosciuto, quello che soffre intensamente è il primo, nel momento in cui avviene la perdita. Se penso a una persona che non ha mai conosciuto l'amore e poi a una che l'ha avuto e poi lo perde, il dolore è più intenso nel secondo caso.
Ma chi non ha visto il sole non ha conosciuto "il colore del grano", per dirla col Piccolo principe; in un certo senso non ha conosciuto la vita.
In sintesi, meglio gioia e poi dolore o vita piatta? Non lo so. In teoria credo sia meglio la prima ipotesi, ma in concreto ho terrore del dolore intenso e questo spesso mi porta alla passività.
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Ismail Kadare

Bella questa immagine del sole che, prima di affrontare il dolore del mondo, vuole continuare a dormire come un bambino. E anche come un adulto che cerca di prolungare il sonno per non affrontare la giornata.
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Questa è la prossima proposta.

L'ARTE DI PERDERE.

L’arte di perdere non è difficile da imparare;
così tante cose sembrano pervase dall’intenzione
di essere perdute, che la loro perdita non è un disastro.

Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta il turbamento
delle chiavi perdute, dell’ora sprecata.

L’arte di perdere non è difficile da imparare.
Poi pratica lo smarrimento sempre più, perdi in fretta:
luoghi, e nomi, e destinazioni verso cui volevi viaggiare.

Nessuna di queste cose causerà disastri.
Ho perduto l’orologio di mia madre.

E guarda! L’ultima, o la penultima, delle mie tre amate case.

L’arte di perdere non è difficile da imparare.
Ho perso due città, proprio graziose.

E, ancor di più, ho perso alcuni dei reami che possedevo, due fiumi, un continente.

Mi mancano, ma non è stato un disastro.
Ho perso persino te (la voce scherzosa, un gesto che ho amato).

Questa è la prova. È evidente,

l’arte di perdere non è difficile da imparare,

benché possa sembrare un vero (scrivilo!) disastro.



Elizabeth Bishop (Worcester, 8 febbraio 1911 – Boston, 6 ottobre 1979)
 

Pathurnia

if you have to ask what jazz is you'll never know
Vorrei poter commentare questa poesia parlando innanzitutto della vita di Elizabeth, ma è difficile.
Parlare brevemente delle vite degli altri espone al rischio di schematizzare e semplificare e quindi mi limiterò a pochi cenni biografici.
<<Elizabeth Bishop nasce nel 1911, in Massachusetts, e nello stesso anno perde suo padre William a causa di una malattia. Non ci vorrà molto perché “perda” anche sua madre, ricoverata in manicomio e da lì mai più uscita fino alla morte, nel 1934. Elizabeth, così, è costretta a fare il giro dei parenti: prima affidata ai nonni, poi a una zia, i suoi primi anni di vita sono un circuito continuo di distacchi e riadattamenti, affetti perduti e legami nuovi, case lasciate indietro e luoghi estranei a cui doversi abituare>>.
Fonte: https://femministerie.wordpress.com...zabeth-bishop-la-poesia-e-le-cose-che-cadono/
In seguito avrà altre drammatiche perdite, avrà un grande amore ma la donna da lei amata si suiciderà, sarà un'alcoolista ma anche una grande scrittrice e poetessa, vincerà il Pulitzer ma perderà il Brasile, sua patria d'elezione durante 16 lunghi anni, per tornare definitivamente negli Stati Uniti.
Cambiamenti drastici, perdite che sono quasi mutilazioni, di fronte alle quali esiste solo "One Art" (che è il titolo della poesia di cui stiamo parlando adesso): l'arte di perdere con stile, con ostinazione nel voler andare avanti, con apparente compostezza. Una padronanza di sé che però si sgretola quando la perdita riguarda un "tu" appena accennato, un riferimento racchiuso fra parentesi, quel verso <<Ho perso persino te >>. L'allusione squarcia l'apparente pacatezza del discorso per lasciar apparire il vuoto tremendo che Elizabeth , con il suo abituale understatement, definisce "un disastro".
A questo disastro Elizabeth contrappone la sua ironia e la sua eroica resistenza al dolore, perché accettare di perdere è anche accettare di sentirsi perduti, fare spazio al vuoto, ed è da quel vuoto che nasce la poesia.
bishop-vc113-3-outside.jpg

Nella foto. Elizabeth Bishop davanti allo studio costruito per lei da Lota De Macedo Soares, la sua amata.
 
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alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Per ora non sono in vena di commentare. Inserisco la prossima poesia.



Trattieni l’azzurro,
cielo.
Trattieni le rocce,
terra.
Trattieni i flauti,
vento.
Trattenete le date,
direzioni.
Trattenete le elegie,
minareti.
Trattenete le ali,
uccelli.
Trattenete le ragazze,
sorgenti.
E tu, Mamma,
trattieni le ombre e le preghiere.
Chi ama canta
e non c’è canto
che non sia di libertà.

Faraj Bayrakdar


Specchi dell’assenza (Interlinea, 2017), a cura di Elena Chiti
 

Pathurnia

if you have to ask what jazz is you'll never know
Per ora non sono in vena di commentare. Inserisco la prossima poesia.



Trattieni l’azzurro,
cielo.
Trattieni le rocce,
terra.
Trattieni i flauti,
vento.
Trattenete le date,
direzioni.
Trattenete le elegie,
minareti.
Trattenete le ali,
uccelli.
Trattenete le ragazze,
sorgenti.
E tu, Mamma,
trattieni le ombre e le preghiere.
Chi ama canta
e non c’è canto
che non sia di libertà.

Faraj Bayrakdar


Specchi dell’assenza (Interlinea, 2017), a cura di Elena Chiti
Questa poesia mi fa pensare che quel trattenere così insistentemente ripetuto sia in fondo il segno di una sfida, perché non è possibile frenare o indirizzare il volo degli uccelli, l'azzurro del cielo, il vento, le sorgenti. E come tutte queste cose anche l'impeto dell'amore non può essere impastoiato, limitato, frenato in qualunque maniera. In questo caso quel piccolo accenno alla figura materna sembra perfino ironico: questa madre fatta di ombre e rinunce, preghiere e sottomissione non potrà fare niente per frenare il volo della figlia.
 
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