77° Poeticforum - Le poesie che amiamo

Pathurnia

Well-known member

The Hollow Men, Gli uomini vuoti di Thomas Stearns Eliot (stralcio)​


Siamo gli uomini vuoti
Siamo gli uomini impagliati
Che appoggiano l’un l’altro
La testa piena di paglia. Ahimé!
Le nostre voci secche, quando noi
Insieme mormoriamo
Sono quiete e senza senso
Come vento nell’erba rinsecchita
O come zampe di topo sopra i vetri infranti
Nella nostra arida cantina

Figure senza forma, ombre senza colore,
Forza paralizzata, gesto privo di moto;

Coloro che han traghettato
Con occhi diritti, all’altro regno della morte
Ci ricordano – se pure lo fanno – non come anime
Perdute e violente, ma solo
Come gli uomini vuoti
Gli uomini impagliati.

II

Occhi che in sogno non oso incontrare
Nel regno di sogno della morte
Questi occhi non appaiono:
Laggiù gli occhi sono
Luce di sole su una colonna infranta
Laggiù un albero ondeggia
E voci vi sono
Nel cantare del vento
Più distanti e più solenni
Di una stella che si spegne.

Non lasciate che sia più vicino
Nel regno di sogno della morte
Lasciate anche che porti
Travestimenti così delicati
Pelliccia di topo, pelliccia di cornacchia, doghe incrociate
In un campo
Comportandomi come si comporta il vento
Non più vicino –

Non quel finale incontro
Nel regno del crepuscolo

III

Questa è la terra morta
Questa è la terra dei cactus
Qui le immagini di pietra
Sorgono, e qui ricevono
La supplica della mano di un morto
Sotto lo scintillìo di una stella che si va spegnendo.

È proprio così
Nell’altro regno della morte
Svegliandoci soli
Nell’ora in cui tremiamo
Di tenerezza
Le labbra vorrebbero baciare
Innalzano preghiere a quella pietra infranta.

IV

Gli occhi non sono qui
Qui non vi sono occhi
In questa valle di stelle morenti
In questa valle vuota
Questa mascella spezzata dei nostri regni perduti

In quest’ultimo dei luoghi d’incontro
Noi brancoliamo insieme
Evitiamo di parlare
Ammassati su questa riva del tumido fiume

Privati della vista, a meno che
Gli occhi non ricompaiano
Come la stella perpetua
Rosa di molte foglie
Del regno di tramonto della morte
La speranza soltanto
Degli uomini vuoti.​
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Lei saliva con altri
da una stazione del metrò
mangiava con altri a una tavola calda
aspettava con altri in una lavanderia
ma una volta l’ho vista da sola
davanti a un giornale murale

Usciva con altri da un grattacielo d’uffici
si pigiava con altri ad una bancarella
era seduta con altri presso un campo-giochi di sabbia
ma una volta l’ho vista dalla finestra
giocare a scacchi da sola

Era sdraiata con altri su un prato del parco
rideva con altri in un
labirinto di specchi
gridava con altri sull’ottovolante
e poi sola la vidi soltanto
camminare nei miei desideri

Ma oggi nella mia casa aperta:
la cornetta era girata dall’altra parte
la matita era a sinistra dell’agenda
a sinistra la tazza del tè e il manico pure
a sinistra
e vicino la mela sbucciata in senso inverso
(e non finita di sbucciare)
le tende raccolte a sinistra
e la chiave della porta di casa nella tasca sinistra
della mia giacca
Ti sei tradita, o mancina!
O era per lasciarmi un messaggio?

Vederti IN UN CONTINENTE STRANIERO
io vorrei
perché finalmente in mezzo agli altri
ti vedrei sola
e tu fra mille altri vedresti
ME
e finalmente ci verremmo incontro.


Peter Handke

(Traduzione di Anna Maria Carpi)

da “La donna mancina”, Garzanti, 1979
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Avarizia

Ho conosciuto un vecchio
ricco, ma avaro: avaro a un punto tale
che guarda i soldi nello specchio
per veder raddoppiato il capitale.
Allora dice: – Quelli li do via
perché ci faccio la beneficenza;
ma questi me li tengo per prudenza… –
E li ripone nella scrivania.

Trilussa
 

Pathurnia

Well-known member
Padre, se anche tu non fossi il mio

Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo,
per te stesso egualmente t’amerei.
Ché mi ricordo d’un mattin d’inverno
che la prima viola sull’opposto
muro scopristi dalla tua finestra
e ce ne desti la novella allegro.
Poi la scala di legno tolta in spalla
di casa uscisti e l’appoggiasti al muro.
Noi piccoli stavamo alla finestra.

E di quell’altra volta mi ricordo
che la sorella mia piccola ancora
per la casa inseguivi minacciando
(la caparbia aveva fatto non so che).
Ma raggiuntala che strillava forte
dalla paura ti mancava il cuore:
ché avevi visto te inseguir la tua
piccola figlia, e tutta spaventata
tu vacillante l’attiravi al petto,
e con carezze dentro le tue braccia
avviluppavi come per difenderla
da quel cattivo che eri il tu di prima.

Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo,
fra tutti quanti gli uomini già tanto
pel tuo cuore fanciullo t’amerei.

Camillo Sbarbaro
 

Shoshin

Shikata ga nai
Non inghiotto piú carboni ardenti
come fossero sorsi d’acqua pura,
ho imparato ad andarmene
prima di bruciare viva,
io qui sto in una comunità di alberi
che mi precede nel silenzio,
e so di un luogo dentro ognuno di noi
piú piccolo della capocchia di uno spillo
disarmato e solo, franabile
ma dove quando hai perso tutti,
come in una nevicata, posata la neve,
non c’è nient’altro che la sorpresa,
il nuovo mondo vuoto e sereno
le mani inoperose la schiena leggera,
e benedetta sia la scoperchiatura che fa la gioia.

Chandra Candiani da 'Pane del bosco.' Einaudi
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Iniziamo dalla prima proposta...

The Hollow Men, Gli uomini vuoti di Thomas Stearns Eliot (stralcio)​


Siamo gli uomini vuoti
Siamo gli uomini impagliati
Che appoggiano l’un l’altro
La testa piena di paglia. Ahimé!
Le nostre voci secche, quando noi
Insieme mormoriamo
Sono quiete e senza senso
Come vento nell’erba rinsecchita
O come zampe di topo sopra i vetri infranti
Nella nostra arida cantina

Figure senza forma, ombre senza colore,
Forza paralizzata, gesto privo di moto;

Coloro che han traghettato
Con occhi diritti, all’altro regno della morte
Ci ricordano – se pure lo fanno – non come anime
Perdute e violente, ma solo
Come gli uomini vuoti
Gli uomini impagliati.

II

Occhi che in sogno non oso incontrare
Nel regno di sogno della morte
Questi occhi non appaiono:
Laggiù gli occhi sono
Luce di sole su una colonna infranta
Laggiù un albero ondeggia
E voci vi sono
Nel cantare del vento
Più distanti e più solenni
Di una stella che si spegne.

Non lasciate che sia più vicino
Nel regno di sogno della morte
Lasciate anche che porti
Travestimenti così delicati
Pelliccia di topo, pelliccia di cornacchia, doghe incrociate
In un campo
Comportandomi come si comporta il vento
Non più vicino –

Non quel finale incontro
Nel regno del crepuscolo

III

Questa è la terra morta
Questa è la terra dei cactus
Qui le immagini di pietra
Sorgono, e qui ricevono
La supplica della mano di un morto
Sotto lo scintillìo di una stella che si va spegnendo.

È proprio così
Nell’altro regno della morte
Svegliandoci soli
Nell’ora in cui tremiamo
Di tenerezza
Le labbra vorrebbero baciare
Innalzano preghiere a quella pietra infranta.

IV

Gli occhi non sono qui
Qui non vi sono occhi
In questa valle di stelle morenti
In questa valle vuota
Questa mascella spezzata dei nostri regni perduti

In quest’ultimo dei luoghi d’incontro
Noi brancoliamo insieme
Evitiamo di parlare
Ammassati su questa riva del tumido fiume

Privati della vista, a meno che
Gli occhi non ricompaiano
Come la stella perpetua
Rosa di molte foglie
Del regno di tramonto della morte
La speranza soltanto
Degli uomini vuoti.​
 

Pathurnia

Well-known member
Pochi giorni fa, commentando il film "Assassinio a Venezia", mi è capitato di accennare al fatto che non sono particolarmente ricettiva nei confronti dei cosiddetti film horror, pieni di scene macabre e spaventosi effetti speciali. In realtà non sono insensibile nei confronti dell'orrore, ma questo è un atteggiamento emotivo che ricollego, più che alle atmosfere cupe e alle scene sepolcrali, agli esseri umani quando sono insensibili, inerti, passivi e quasi senz'anima. Per me questo è l'orrore. Ebbene, ho scoperto che questo mio sentire è molto più "Eliottiano" di quanto io immaginassi.:unsure:
Infatti in questa poesia-poemetto che ho così crudelmente mozzato (e ne chiedo venia a chiunque ami la letteratura), Eliot esprime lo sgomento di fronte agli esseri umani del suo tempo. Ricordiamo che la poesia è stata composta nel 1925.
Ma in fondo gli uomini vuoti, gli uomini "impagliati" del 1925, che nel poemetto si presentano in prima persona ("noi") non si differenziano certo da quelli del terzo millennio che stiamo vivendo, non sono diversi da noi.
Il vuoto non è solo quello esistenziale, ma anche quello che creiamo, spesso deliberatamente, quando "l'ombra cade" tra il pensiero e l'azione, tra il potere e il fare, senza che noi interveniamo. E' un vuoto fatto di usura delle parole "secche", della loro inconsistenza, della sterilità di chi popola desolatamente ("figura senza forma, ombra senza colore, / forza paralizzata, gesto privo di moto") una "valle di stelle morenti".
Gli uomini vuoti brancolano, ammassati sulla riva di un fiume che assomiglia molto a un dantesco Stige pieno di accidiosi, girano irresoluti intorno a sterili simulacri. Attraverso una serie di simboli, metafore e quei correlativi oggettivi la cui "invenzione" è tradizionalmente attribuita a Eliot, i versi si susseguono evocando un vuoto e una desolazione più grandi perfino di quelli che abitano il regno della morte.
Un'intuizione mi suggerisce un parallelismo tra quei versi "Noi siamo gli uomini impagliati/Che si appoggiano l’uno sull’altro/ Le teste imbottite di paglia" e la maggior parte degli individui contemporanei, con le teste piene di paglia (o immondizia) così generosamente fornita dalla società dello spettacolo, dallo star system, dal consumismo e da una certa politica fatta di vuote formule.
Così l'uomo vuoto mi appare come un uomo contemporaneo rivolto all'affermazione di sé attraverso squallidi simboli consumistici, impegnato a mostrarsi giovane godereccio e dinamico anche in età matura, incapace (come affermerebbe Recalcati, e prima di lui Lacan), di essere padre e di farsi portatore dell'esperienza del limite, della legge, e quindi di educare figli responsabili. L'uomo di paglia moderno, ammutolito dalla propria stessa insignificanza, può solo estinguersi.
*
Questa poesia profetica ed apocalittica, che è stata da molti accostata all'universo concettuale di Conrad, chiude il film "Apocalipse now", che a sua volta nasce dal capolavoro di Conrad "Cuore di Tenebra". Sulle labbra di Kurtz morente questi versi hanno il sapore di una definitiva, sinistra profezia.
 
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alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Per ora non ce la faccio a commentare, perciò inserisco la seconda proposta.

Lei saliva con altri
da una stazione del metrò
mangiava con altri a una tavola calda
aspettava con altri in una lavanderia
ma una volta l’ho vista da sola
davanti a un giornale murale

Usciva con altri da un grattacielo d’uffici
si pigiava con altri ad una bancarella
era seduta con altri presso un campo-giochi di sabbia
ma una volta l’ho vista dalla finestra
giocare a scacchi da sola

Era sdraiata con altri su un prato del parco
rideva con altri in un
labirinto di specchi
gridava con altri sull’ottovolante
e poi sola la vidi soltanto
camminare nei miei desideri

Ma oggi nella mia casa aperta:
la cornetta era girata dall’altra parte
la matita era a sinistra dell’agenda
a sinistra la tazza del tè e il manico pure
a sinistra
e vicino la mela sbucciata in senso inverso
(e non finita di sbucciare)
le tende raccolte a sinistra
e la chiave della porta di casa nella tasca sinistra
della mia giacca
Ti sei tradita, o mancina!
O era per lasciarmi un messaggio?

Vederti IN UN CONTINENTE STRANIERO
io vorrei
perché finalmente in mezzo agli altri
ti vedrei sola
e tu fra mille altri vedresti
ME
e finalmente ci verremmo incontro.


Peter Handke

(Traduzione di Anna Maria Carpi)

da “La donna mancina”, Garzanti, 1979
 

Pathurnia

Well-known member
Dopo tutto il lavoro degli ultimi giorni a portar cenere e carbone ho guardato nella gerla e c'era sul fondo una poesia che si disperava perché non l'avevo regalata a nessuno. Le ho chiesto "Quanti anni hai?" e mi ha risposto che è stata scritta molto tempo fa, ma che nessuno la prende in considerazione. Allora ho pensato che forse su questo forum potrebbe trovare asilo e un posto al calduccio, anche se è una poesiucola così. Poverina, accoglietela, in fondo non è malvagia.

LA SORPRESA

Appare fra i pini,
vestito di verde,
in mano un curioso fagotto.
Dischiudo il cancello.
Ripassando le favole
mi auguro un genio dei boschi.
Mi dice: "Frulliamo?"
Sapessi, bel giovine, quanto frullo di mio!
"Aspirapolvere, allora?"
No grazie, la polvere
è un ottimo filtro antimondo.
"Robottino per torte?"
Son già tutte torte le storie, carino
non hai niente per raddrizzare il destino?
"Ho un pappagallino, che ogni mattina
ripete: ti amo"
Lo voglio!
Accarezzo il pennuto
pregustando il diuturno saluto
lui solleva una palpebra
e dice
"Fot....ti amo!"

:eek:
 

Pathurnia

Well-known member
Lei saliva con altri
da una stazione del metrò
mangiava con altri a una tavola calda
aspettava con altri in una lavanderia
ma una volta l’ho vista da sola
davanti a un giornale murale

Usciva con altri da un grattacielo d’uffici
si pigiava con altri ad una bancarella
era seduta con altri presso un campo-giochi di sabbia
ma una volta l’ho vista dalla finestra
giocare a scacchi da sola

Era sdraiata con altri su un prato del parco
rideva con altri in un
labirinto di specchi
gridava con altri sull’ottovolante
e poi sola la vidi soltanto
camminare nei miei desideri

Ma oggi nella mia casa aperta:
la cornetta era girata dall’altra parte
la matita era a sinistra dell’agenda
a sinistra la tazza del tè e il manico pure
a sinistra
e vicino la mela sbucciata in senso inverso
(e non finita di sbucciare)
le tende raccolte a sinistra
e la chiave della porta di casa nella tasca sinistra
della mia giacca
Ti sei tradita, o mancina!
O era per lasciarmi un messaggio?

Vederti IN UN CONTINENTE STRANIERO
io vorrei
perché finalmente in mezzo agli altri
ti vedrei sola
e tu fra mille altri vedresti
ME
e finalmente ci verremmo incontro.


Peter Handke

(Traduzione di Anna Maria Carpi)

da “La donna mancina”, Garzanti, 1979
Di questa poesia colgo soprattutto il potere suggestivo delle immagini, ma il loro senso è più profondo. Il poeta coglie la quotidianità della sua amata e anche se ne avverte il fascino misterioso vorrebbe di più.
Al di là delle mille incarnazioni che mettiamo in atto ogni istante, infatti, c'è in ognuno di noi una essenza inesprimibile ed è quella che Peter Handke forse vorrebbe cogliere, della sua donna. La osserva, quasi la spia cercando di sorprendere gli attimi in cui ella si svela, come se continuamente lo spingesse l'urgenza di un interrogativo: chi sei tu davvero?
Ma come sempre, di fronte all'Altro, siamo incerti giocatori che cercano di ricomporre il puzzle della sua identità e troppo (davvero troppo) spesso finiamo per ricostruire un ritratto conforme a ciò che desideriamo.
Forse la magia dell'amore è tutta in questo magnifico inganno.
 
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qweedy

Well-known member
Lei saliva con altri
da una stazione del metrò
mangiava con altri a una tavola calda
aspettava con altri in una lavanderia
ma una volta l’ho vista da sola
davanti a un giornale murale

Usciva con altri da un grattacielo d’uffici
si pigiava con altri ad una bancarella
era seduta con altri presso un campo-giochi di sabbia
ma una volta l’ho vista dalla finestra
giocare a scacchi da sola

Era sdraiata con altri su un prato del parco
rideva con altri in un
labirinto di specchi
gridava con altri sull’ottovolante
e poi sola la vidi soltanto
camminare nei miei desideri

Ma oggi nella mia casa aperta:
la cornetta era girata dall’altra parte
la matita era a sinistra dell’agenda
a sinistra la tazza del tè e il manico pure
a sinistra
e vicino la mela sbucciata in senso inverso
(e non finita di sbucciare)
le tende raccolte a sinistra
e la chiave della porta di casa nella tasca sinistra
della mia giacca
Ti sei tradita, o mancina!
O era per lasciarmi un messaggio?

Vederti IN UN CONTINENTE STRANIERO
io vorrei
perché finalmente in mezzo agli altri
ti vedrei sola
e tu fra mille altri vedresti
ME
e finalmente ci verremmo incontro.


Peter Handke

(Traduzione di Anna Maria Carpi)

da “La donna mancina”, Garzanti, 1979
Solo a me il contenuto di questa poesia ha dato un senso d'inquietudine? So bene che nel 1979 sarebbe stata perfetta, ma con gli occhi di oggi a me arriva l'impressione di una persona molto gelosa, che è infastidita dal vedere la ragazza insieme ad altre persone, che ride, che lavora, che si diverte con altri. E' in pace solo quando la vede sola, come sola è nei suoi pensieri e nella sua immaginazione. E' un'infatuazione a senso unico, lo stalker la segue di nascosto, la vede in compagnia ma la immagina tutta per sé, vorrebbe che la ragazza non conoscesse nessuno come fosse in un continente straniero, in modo che finalmente potesse riuscire a farsi vedere da lei.
Ho estremizzato un bel po', ma più la rileggo più mi arriva la sensazione di un sentimento malato da parte del poeta, non amore, ma ossessione, dato che lei nemmeno lo vede, né lo conosce.

Comunque mi è piaciuta l'interpretazione positiva di Path.
 

Pathurnia

Well-known member
Però ci potrebbe essere una terza ipotesi. Quando dice:
Ma oggi nella mia casa aperta:
la cornetta era girata dall’altra parte
la matita era a sinistra dell’agenda
a sinistra la tazza del tè e il manico pure
a sinistra
e vicino la mela sbucciata in senso inverso
(e non finita di sbucciare)
le tende raccolte a sinistra
e la chiave della porta di casa nella tasca sinistra
della mia giacca

Ti sei tradita, o mancina!
O era per lasciarmi un messaggio?


Ecco, a me quella chiave di casa di lui, ma nella tasca sbagliata, suscita una certa inquietudine. Perché lei dovrebbe aver avuta la chiave di lui, l'accesso alle tende, eccetera?
Non è che in fondo lui sta combattendo contro l'ombra speculare di se stesso? Contro il proprio doppio?
**
Ho letto su wikipedia che lo stesso ha scritto un romanzo e poi diretto un film, entrambi con lo stesso titolo "La donna mancina", ma questo non chiarisce il mistero, anzi.
Io passo.
 

qweedy

Well-known member
Però ci potrebbe essere una terza ipotesi. Quando dice:
Ma oggi nella mia casa aperta:
la cornetta era girata dall’altra parte
la matita era a sinistra dell’agenda
a sinistra la tazza del tè e il manico pure
a sinistra
e vicino la mela sbucciata in senso inverso
(e non finita di sbucciare)
le tende raccolte a sinistra
e la chiave della porta di casa nella tasca sinistra
della mia giacca

Ti sei tradita, o mancina!
O era per lasciarmi un messaggio?


Ecco, a me quella chiave di casa di lui, ma nella tasca sbagliata, suscita una certa inquietudine. Perché lei dovrebbe aver avuta la chiave di lui, l'accesso alle tende, eccetera?
Non è che in fondo lui sta combattendo contro l'ombra speculare di se stesso? Contro il proprio doppio?
**
Ho letto su wikipedia che lo stesso ha scritto un romanzo e poi diretto un film, entrambi con lo stesso titolo "La donna mancina", ma questo non chiarisce il mistero, anzi.
Io passo.
Io ho inteso anche questi versi in chiave psicopatologica. Ma chissa' cosa intendeva veramente trasmettere, non lo conosco affatto.
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Prossima proposta.

Avarizia

Ho conosciuto un vecchio
ricco, ma avaro: avaro a un punto tale
che guarda i soldi nello specchio
per veder raddoppiato il capitale.
Allora dice: – Quelli li do via
perché ci faccio la beneficenza;
ma questi me li tengo per prudenza… –
E li ripone nella scrivania.

Trilussa
 

Pathurnia

Well-known member
Arguto Trilussa, poeta che ci raccontava le debolezze umane con un sorriso (forse) amaro.
Piccola nota autobiografica: era l'unico poeta di cui mia madre (donna tutt'altro che sentimentale o amante della poesia lirica) mi recitava a memoria le composizioni. E a questo ricordo dedico la seguente, che lei conosceva e recitava molto bene
LA VISPA TERESA di Trilussa


«La vispa Teresa
«avea tra l’erbetta
«a volo sorpresa
«gentil farfalletta,

«e tutta giuliva
«stringendola viva,
«gridava a distesa:
« — L’ho presa! l’ho presa!

«A lei supplicando,
«l’afflitta gridò:
« — Vivendo, volando,
«che male ti fo?
450px-La_vispa_Teresa_%28Trilussa%29_%28page_6_crop%29.jpg

«Tu, sì, mi fai male
«stringendomi l’ale!
«Deh! lasciami; anch’io
«son figlia di Dio!: —
«Confusa, pentita,
«Teresa arrossì,
«dischiuse le dita
«quella fuggì.



Se questa è la storia
che sanno a memoria
i bimbi di un anno,
pochissimi sanno
che cosa le avvenne
quand’era era ventenne.


Un giorno di festa
la vispa Teresa
uscendo di chiesa
si alzava la vesta
per farsi vedere
le calze chiffonne,
chè a tutte le donne
fa molto piacere.

Armando, il pittore,
vedendola bella,
le chiese il favore
di far da modella.
Teresa arrossì
ma disse di sì.
— Verrete? - Verrò:
ma badi, però...
— Parola d’onore!
rispose il pittore.



Il giorno seguente,
Armando l’artista,
stringendo furente
la nuova conquista,
gridava a distesa:
— T’ho presa! t’ho presa! —

A lui supplicando
Teresa gridò:
— Su, su, mi fa male
la spina dorsale
mi lasci, chè anch’io
son figlia di Dio...

Se ha qualche programma
ne parli alla mamma...
A tale minaccia
Armando tremò,
dischiuse le braccia...
ma quella restò.

Perduto l’onore,
sfumata la stima,
la vispa Teresa
più vispa di prima,
per niente pentita,
per niente confusa,
capì che l’amore
non è che una scusa.

Per circa tre lustri
fu cara a parecchi:
fra giovani e vecchi,
fra oscuri ed illustri,
la vispa Teresa
fu presa e ripresa.


Contenta e giuliva
s’offriva e soffriva.


(La donna che s’offre,
se apostrofa l’esse,
ha tutto interesse
di dire che soffre).
]

Ma giunta ai cinquanta
con l’anima affranta,
col viso un po’ tinto,
col resto un po’ finto,



per torsi d’impaccio
dai prossimi acciacchi,
apriva uno spaccio
di sali e tabacchi


Un giorno, un cliente,
chiedendo un toscano,
le porse la mano
così... casualmente:
Teresa la prese,
la strinse e gli chiese:
— Mi vuole sposare?
Farebbe un affare! —




Ma lui di rimando,
rispose: — No, no!...
Vivendo e fumando
che male ti fo? —
Confusa e pentita
Teresa arrossì,
dischiuse le dita
e quello fuggì.


Ed ora Teresa,
pentita davvero,
non ha che un pensiero:
d’andarsene in chiesa.


Con l’anima stracca
si siede e stabacca,
offrendo al Signore
gli avanzi di un cuore
che batte la fiacca


Ma, spesso, fissando
con l’occhio smarrito
la polvere gialla
che resta sul dito,



le sembra il detrito
di quella farfalla
che un giorno ghermiva
stringendola viva.



Così, come allora,
Teresa risente
la voce innocente
che prega ed implora:
— Deh! lasciami; anch’io
son figlia di Dio!"




— Fu proprio un bel caso! —
sospira Teresa
fiutando la presa
che sale nel naso.
- Se qui non son lesta
mi scappa anche questa! —

E fiuta e rifiuta,
tossisce e sternuta:
il naso è una tromba
che squilla e rimbomba
e pare che l’eco
si butti allo spreco...
Tra un fiotto e un rimpianto,
tra un soffio e un eccì,
la vispa Teresa ...
........
Lasciamola lì.



 
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