Pochi giorni fa, commentando il film "Assassinio a Venezia", mi è capitato di accennare al fatto che non sono particolarmente ricettiva nei confronti dei cosiddetti film horror, pieni di scene macabre e spaventosi effetti speciali. In realtà non sono insensibile nei confronti dell'orrore, ma questo è un atteggiamento emotivo che ricollego, più che alle atmosfere cupe e alle scene sepolcrali, agli esseri umani quando sono insensibili, inerti, passivi e quasi senz'anima. Per me questo è l'orrore. Ebbene, ho scoperto che questo mio sentire è molto più "Eliottiano" di quanto io immaginassi.

Infatti in questa poesia-poemetto che ho così crudelmente mozzato (e ne chiedo venia a chiunque ami la letteratura), Eliot esprime lo sgomento di fronte agli esseri umani del suo tempo. Ricordiamo che la poesia è stata composta nel 1925.
Ma in fondo gli uomini vuoti,
gli uomini "impagliati" del 1925, che nel poemetto si presentano in prima persona ("noi") non si differenziano certo da quelli del terzo millennio che stiamo vivendo, non sono diversi da noi.
Il vuoto non è solo quello esistenziale, ma anche quello che creiamo, spesso deliberatamente, quando "l'ombra cade" tra il pensiero e l'azione, tra il potere e il fare, senza che noi interveniamo. E' un vuoto fatto di usura delle parole "secche", della loro inconsistenza, della sterilità di chi popola desolatamente ("figura senza forma, ombra senza colore, / forza paralizzata, gesto privo di moto") una "valle di stelle morenti".
Gli uomini vuoti brancolano, ammassati sulla riva di un fiume che assomiglia molto a un dantesco Stige pieno di accidiosi, girano irresoluti intorno a sterili simulacri. Attraverso una serie di simboli, metafore e quei correlativi oggettivi la cui "invenzione" è tradizionalmente attribuita a Eliot, i versi si susseguono evocando un vuoto e una desolazione più grandi perfino di quelli che abitano il regno della morte.
Un'intuizione mi suggerisce un parallelismo tra quei versi
"Noi siamo gli uomini impagliati/Che si appoggiano l’uno sull’altro/ Le teste imbottite di paglia" e la maggior parte degli individui contemporanei, con le teste piene di paglia (o immondizia) così generosamente fornita dalla società dello spettacolo, dallo star system, dal consumismo e da una certa politica fatta di vuote formule.
Così l'uomo vuoto mi appare come un uomo contemporaneo rivolto all'affermazione di sé attraverso squallidi simboli consumistici, impegnato a mostrarsi giovane godereccio e dinamico anche in età matura, incapace (come affermerebbe Recalcati, e prima di lui Lacan), di essere padre e di farsi portatore dell'esperienza del limite, della legge, e quindi di educare figli responsabili. L'uomo di paglia moderno, ammutolito dalla propria stessa insignificanza, può solo estinguersi.
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Questa poesia profetica ed apocalittica, che è stata da molti accostata all'universo concettuale di Conrad, chiude il film "Apocalipse now", che a sua volta nasce dal capolavoro di Conrad "Cuore di Tenebra". Sulle labbra di Kurtz morente questi versi hanno il sapore di una definitiva, sinistra profezia.