81° Poeticforum - Le poesie che amiamo

alessandra

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In notevole ritardo - ero in vacanza - apro l'81° Poeticforum e aspetto le vostre proposte!
 

Pathurnia

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Una poesia, dico una poesia, di..
Italo Calvino. o_O
Ebbene sì!
Ma cosa non ha saputo fare quest'uomo?
Eccola. Non ho trovato il titolo.


Visitando necropoli con donne
viene l’ora del tè: già il pomeriggio
è andato. E s’avvicina l’ora
di cominciare un nuovo amore
e insieme l’ora di finirlo.
Così passa l’età. Chissà se un segno
lasceremo, magari senza accorgercene:
una pietra squadrata tra le pietre
dell’enorme piramide, o una spoglia
d’ossa in un loculo.


Fonte: https://italocalvino.it/calvino-poeta/
 

alessandra

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Ieri ho sofferto il dolore, di Alda Merini

Ieri ho sofferto il dolore,
non sapevo che avesse una faccia sanguigna,
le labbra di metallo dure,
una mancanza netta d’orizzonti.
Il dolore è senza domani,
è un muso di cavallo che blocca
i garretti possenti,
ma ieri sono caduta in basso,
le mie labbra si sono chiuse
e lo spavento è entrato nel mio petto
con un sibilo fondo
e le fontane hanno cessato di fiorire,
la loro tenera acqua
era soltanto un mare di dolore
in cui naufragavo dormendo,
ma anche allora avevo paura
degli angeli eterni.
Ma se sono così dolci e costanti,
perchè l’immobilità mi fa terrore?

(da “La terra santa”)
 

alessandra

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Alda Merini

Amai teneramente dei dolcissimi amanti

senza che essi sapessero mai nulla.

E su questi intessei tele di ragno

e fui preda della mia stessa materia.

In me l’anima c’era della meretrice

della santa della sanguinaria e dell’ipocrita.

Molti diedero al mio modo di vivere un nome

e fui soltanto una isterica.

(da “La gazza ladra”)
 

Pathurnia

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Eccomi. Dai "Canti orfici" di Dino Campana, la poesia (nonostante non vada a capo;))

PAMPA

Quiere Usted Mate? uno spagnolo mi profferse a bassa voce, quasi a non turbare il profondo silenzio della Pampa. – Le tende si allungavano a pochi passi da dove noi seduti in circolo in silenzio guardavamo a tratti furtivamente le strane costellazioni che doravano l’ignoto della prateria notturna. – Un mistero grandioso e veemente ci faceva fluire con refrigerio di fresca vena profonda il nostro sangue nelle vene: – che noi assaporavamo con voluttà misteriosa – come nella coppa del silenzio purissimo e stellato.

Quiere Usted Mate? Ricevetti il vaso e succhiai la calda bevanda.

Gettato sull’erba vergine, in faccia alle strane costellazioni io mi andavo abbandonando tutto ai misteriosi giuochi dei loro arabeschi, cullato deliziosamente dai rumori attutiti del bivacco. I miei pensieri fluttuavano: si susseguivano i miei ricordi: che deliziosamente sembravano sommergersi per riapparire a tratti lucidamente trasumanati in distanza, come per un’eco profonda e misteriosa, dentro l’infinita maestà della natura. Lentamente gradatamente io assurgevo all’illusione universale: dalle profondità del mio essere e della terra io ribattevo per le vie del cielo il cammino avventuroso degli uomini verso la felicità a traverso i secoli. Le idee brillavano della più pura luce stellare. Drammi meravigliosi, i più meravigliosi dell’anima umana palpitavano e si rispondevano a traverso le costellazioni. Una stella fluente in corsa magnifica segnava in linea gloriosa la fine di un corso di storia. Sgravata la bilancia del tempo sembrava risollevarsi lentamente oscillando: – per un meraviglioso attimo immutabilmente nel tempo e nello spazio alternandosi i destini eterni. . . .

Un disco livido spettrale spuntò all’orizzonte lontano profumato irraggiando riflessi gelidi d’acciaio sopra la prateria. Il teschio che si levava lentamente era l’insegna formidabile di un esercito che lanciava torme di cavalieri colle lancie in resta, acutissime lucenti: gli indiani morti e vivi si lanciavano alla riconquista del loro dominio di libertà in lancio fulmineo. Le erbe piegavano in gemito leggero al vento del loro passaggio. La commozione del silenzio intenso era prodigiosa.

Che cosa fuggiva sulla mia testa? Fuggivano le nuvole e le stelle, fuggivano: mentre che dalla Pampa nera scossa che sfuggiva a ratti nella selvaggia nera corsa del vento ora più forte ora più fievole ora come un lontano fragore ferreo: a tratti alla malinconia più profonda dell’errante un richiamo:... dalle criniere dell’erbe scosse come alla malinconia più profonda dell’eterno errante per la Pampa riscossa come un richiamo che fuggiva lugubre.

Ero sul treno in corsa: disteso sul vagone sulla mia testa fuggivano le stelle e i soffi del deserto in un fragore ferreo: incontro le ondulazioni come di dorsi di belve in agguato: selvaggia, nera, corsa dai venti la Pampa che mi correva incontro per prendermi nel suo mistero: che la corsa penetrava, penetrava con la velocità di un cataclisma: dove un atomo lottava nel turbine assordante nel lugubre fracasso della corrente irresistibile.

. . . . . . . . . . . . . . . . .

Dov’ero? Io ero in piedi: Io ero in piedi: sulla pampa nella corsa dei venti, in piedi sulla pampa che mi volava incontro: per prendermi nel suo mistero! Un nuovo sole mi avrebbe salutato al mattino! Io correvo tra le tribù indiane? Od era la morte? Od era la vita? E mai, mi parve che mai quel treno non avrebbe dovuto arrestarsi: nel mentre che il rumore lugubre delle ferramenta ne commentava incomprensibilmente il destino. Poi la stanchezza nel gelo della notte, la calma. Lo stendersi sul piatto di ferro, il concentrarsi nelle strane costellazioni fuggenti tra lievi veli argentei: e tutta la mia vita tanto simile a quella corsa cieca fantastica infrenabile che mi tornava alla mente in flutti amari e veementi. La luna illuminava ora tutta la Pampa deserta e uguale in un silenzio profondo. Solo a tratti nuvole scherzanti un po’ colla luna, ombre improvvise correnti per la prateria e ancora una chiarità immensa e strana nel gran silenzio.

La luce delle stelle ora impassibili era più misteriosa sulla terra infinitamente deserta: una più vasta patria il destino ci aveva dato: un più dolce calor naturale era nel mistero della terra selvaggia e buona. Ora assopito io seguivo degli echi di un’emozione meravigliosa, echi di vibrazioni sempre più lontane: fin che pure cogli echi l’emozione meravigliosa si spense. E allora fu che nel mio intorpidimento finale io sentii con delizia l’uomo nuovo nascere: l’uomo nascere riconciliato colla natura ineffabilmente dolce e terribile: deliziosamente e orgogliosamente succhi vitali nascere alle profondità dell’essere: fluire dalle profondità della terra: il cielo come la terra in alto, misterioso, puro, deserto dall’ombra, infinito. Mi ero alzato. Sotto le stelle impassibili, sulla terra infinitamente deserta e misteriosa, dalla sua tenda l’uomo libero tendeva le braccia al cielo infinito non deturpato dall’ombra di Nessun Dio.

Fonte: https://www.rodoni.ch/busoni/lulu/campana.html
 

alessandra

Lunatic Mod
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Prima poesia.

Visitando necropoli con donne
viene l’ora del tè: già il pomeriggio
è andato. E s’avvicina l’ora
di cominciare un nuovo amore
e insieme l’ora di finirlo.
Così passa l’età. Chissà se un segno
lasceremo, magari senza accorgercene:
una pietra squadrata tra le pietre
dell’enorme piramide, o una spoglia
d’ossa in un loculo.


Italo Calvino

Fonte: https://italocalvino.it/calvino-poeta/
 

Pathurnia

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Questa poesia del grande Italo mi fa un po' sorridere, per la simpatia che mi ispira. Eh già, visitare cimiteri, necropoli et similia mette il magone anche a me. Italo, signorilmente controllato, non è immune da pensieri malinconici sulla caducità delle cose. Ne fanno le spese le signore presenti; per quanto sia l'ora del tè, occasione terrena e reale, il poeta è rimasto con l'amaro sapore della finitudine sule labbra, e gli amori pur nuovi sono già passati, nella sua mente.
Ma io dico, non potevano andare allo zoo così gli animali con i loro sani istinti avrebbero suggerito pensieri più vitali?
:p
 

alessandra

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Colgo nella poesia un'essenza lievemente ironica che mi ricorda un po' il suo modo di scrivere romanzi (il che non è certo strano, ragiono a "voce alta" :mrgreen:). Sì, i suoi pensieri sono un po' malinconici, amori che iniziano e in un attimo finiscono, il tempo che passa molto in fretta, e poi cosa diventeremo? Qualcuno si ricorderà di noi solo perché casualmente passerà accanto alla nostra tomba o anche per qualcos'altro? Ma in realtà mi sembra che il pensiero di quel té con donne prevalga sulla malinconia.
 

alessandra

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Andiamo finalmente avanti...
Ieri ho sofferto il dolore, di Alda Merini

Ieri ho sofferto il dolore,
non sapevo che avesse una faccia sanguigna,
le labbra di metallo dure,
una mancanza netta d’orizzonti.
Il dolore è senza domani,
è un muso di cavallo che blocca
i garretti possenti,
ma ieri sono caduta in basso,
le mie labbra si sono chiuse
e lo spavento è entrato nel mio petto
con un sibilo fondo
e le fontane hanno cessato di fiorire,
la loro tenera acqua
era soltanto un mare di dolore
in cui naufragavo dormendo,
ma anche allora avevo paura
degli angeli eterni.
Ma se sono così dolci e costanti,
perchè l’immobilità mi fa terrore?

(da “La terra santa”)
 

Pathurnia

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Non sono una fan di Alda Merini ma questa poesia mi pare davvero ricca di immagini potenti.
Credo che riesca a comunicare in modo eccellente lo stato d'animo di sofferenza e angoscia.
[modalità commento classico ma insincero]

Non ho capito come fa tecnicamente il muso di cavallo a bloccare i garretti potenti, ma forse era un cavallo contorsionista.
[modalità commento scemo ma spontaneo]
:geek:
 

alessandra

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Le immagini del dolore in questa poesia sono molto efficaci, sono riuscita a immedesimarmici, tutti abbiamo provato almeno una volta la sensazione della mancanza totale di orizzonti, indipendentemente dai motivi, indipendentemente dal fatto che agli occhi dei più e anche ai nostri (una volta passata la sofferenza intensa) ne valesse la pena o meno. L'ultimo verso, sempre che l'abbia interpretato bene, mi sembra consolante, come se in fin dei conti la morte le facesse ancora più paura del dolore (alla faccia degli angeli).
 

alessandra

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Ed ecco di nuovo Alda Merini!



Amai teneramente dei dolcissimi amanti

senza che essi sapessero mai nulla.

E su questi intessei tele di ragno

e fui preda della mia stessa materia.

In me l’anima c’era della meretrice

della santa della sanguinaria e dell’ipocrita.

Molti diedero al mio modo di vivere un nome

e fui soltanto una isterica.

(da “La gazza ladra”)
 

Pathurnia

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Amai teneramente dei dolcissimi amanti
senza che essi sapessero mai nulla.
E su questi intessei tele di ragno
e fui preda della mia stessa materia.

Questa strofa mi convince, sono sempre stata una cultrice dei "fiori non colti", anche se poi la Merini ammette che la sua fantasia l'ha imprigionata, avvincendola alle sue molteplici pulsioni.
La conclusione era prevedibile: il potere maschile unito alla tendenza ad etichettare le persone ne hanno definito la personalità patologizzandola.
Tutto sommato si può essere d'accordo con il contenuto espresso in una composizione anche se come poesia non risulta eccelsa. O, perlomeno, a me la Merini continua a non piacere.
 

alessandra

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La poesia mi ha colpito perché ha espresso qualcosa che conosco molto bene con parole che ovviamente non avrei mai saputo usare e che rendono l'idea in maniera perfetta.
Ho visto proprio poco tempo fa uno stralcio di intervista alla Merini, che parlava del dolore del sogno e lo confrontava con quello della realtà, molto più forte e meno sopportabile. Avrei voluto conoscere questa donna.
 

alessandra

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Prossima proposta dai "Canti orfici" di Dino Campana

PAMPA

Quiere Usted Mate? uno spagnolo mi profferse a bassa voce, quasi a non turbare il profondo silenzio della Pampa. – Le tende si allungavano a pochi passi da dove noi seduti in circolo in silenzio guardavamo a tratti furtivamente le strane costellazioni che doravano l’ignoto della prateria notturna. – Un mistero grandioso e veemente ci faceva fluire con refrigerio di fresca vena profonda il nostro sangue nelle vene: – che noi assaporavamo con voluttà misteriosa – come nella coppa del silenzio purissimo e stellato.

Quiere Usted Mate? Ricevetti il vaso e succhiai la calda bevanda.

Gettato sull’erba vergine, in faccia alle strane costellazioni io mi andavo abbandonando tutto ai misteriosi giuochi dei loro arabeschi, cullato deliziosamente dai rumori attutiti del bivacco. I miei pensieri fluttuavano: si susseguivano i miei ricordi: che deliziosamente sembravano sommergersi per riapparire a tratti lucidamente trasumanati in distanza, come per un’eco profonda e misteriosa, dentro l’infinita maestà della natura. Lentamente gradatamente io assurgevo all’illusione universale: dalle profondità del mio essere e della terra io ribattevo per le vie del cielo il cammino avventuroso degli uomini verso la felicità a traverso i secoli. Le idee brillavano della più pura luce stellare. Drammi meravigliosi, i più meravigliosi dell’anima umana palpitavano e si rispondevano a traverso le costellazioni. Una stella fluente in corsa magnifica segnava in linea gloriosa la fine di un corso di storia. Sgravata la bilancia del tempo sembrava risollevarsi lentamente oscillando: – per un meraviglioso attimo immutabilmente nel tempo e nello spazio alternandosi i destini eterni. . . .

Un disco livido spettrale spuntò all’orizzonte lontano profumato irraggiando riflessi gelidi d’acciaio sopra la prateria. Il teschio che si levava lentamente era l’insegna formidabile di un esercito che lanciava torme di cavalieri colle lancie in resta, acutissime lucenti: gli indiani morti e vivi si lanciavano alla riconquista del loro dominio di libertà in lancio fulmineo. Le erbe piegavano in gemito leggero al vento del loro passaggio. La commozione del silenzio intenso era prodigiosa.

Che cosa fuggiva sulla mia testa? Fuggivano le nuvole e le stelle, fuggivano: mentre che dalla Pampa nera scossa che sfuggiva a ratti nella selvaggia nera corsa del vento ora più forte ora più fievole ora come un lontano fragore ferreo: a tratti alla malinconia più profonda dell’errante un richiamo:... dalle criniere dell’erbe scosse come alla malinconia più profonda dell’eterno errante per la Pampa riscossa come un richiamo che fuggiva lugubre.

Ero sul treno in corsa: disteso sul vagone sulla mia testa fuggivano le stelle e i soffi del deserto in un fragore ferreo: incontro le ondulazioni come di dorsi di belve in agguato: selvaggia, nera, corsa dai venti la Pampa che mi correva incontro per prendermi nel suo mistero: che la corsa penetrava, penetrava con la velocità di un cataclisma: dove un atomo lottava nel turbine assordante nel lugubre fracasso della corrente irresistibile.

. . . . . . . . . . . . . . . . .

Dov’ero? Io ero in piedi: Io ero in piedi: sulla pampa nella corsa dei venti, in piedi sulla pampa che mi volava incontro: per prendermi nel suo mistero! Un nuovo sole mi avrebbe salutato al mattino! Io correvo tra le tribù indiane? Od era la morte? Od era la vita? E mai, mi parve che mai quel treno non avrebbe dovuto arrestarsi: nel mentre che il rumore lugubre delle ferramenta ne commentava incomprensibilmente il destino. Poi la stanchezza nel gelo della notte, la calma. Lo stendersi sul piatto di ferro, il concentrarsi nelle strane costellazioni fuggenti tra lievi veli argentei: e tutta la mia vita tanto simile a quella corsa cieca fantastica infrenabile che mi tornava alla mente in flutti amari e veementi. La luna illuminava ora tutta la Pampa deserta e uguale in un silenzio profondo. Solo a tratti nuvole scherzanti un po’ colla luna, ombre improvvise correnti per la prateria e ancora una chiarità immensa e strana nel gran silenzio.

La luce delle stelle ora impassibili era più misteriosa sulla terra infinitamente deserta: una più vasta patria il destino ci aveva dato: un più dolce calor naturale era nel mistero della terra selvaggia e buona. Ora assopito io seguivo degli echi di un’emozione meravigliosa, echi di vibrazioni sempre più lontane: fin che pure cogli echi l’emozione meravigliosa si spense. E allora fu che nel mio intorpidimento finale io sentii con delizia l’uomo nuovo nascere: l’uomo nascere riconciliato colla natura ineffabilmente dolce e terribile: deliziosamente e orgogliosamente succhi vitali nascere alle profondità dell’essere: fluire dalle profondità della terra: il cielo come la terra in alto, misterioso, puro, deserto dall’ombra, infinito. Mi ero alzato. Sotto le stelle impassibili, sulla terra infinitamente deserta e misteriosa, dalla sua tenda l’uomo libero tendeva le braccia al cielo infinito non deturpato dall’ombra di Nessun Dio.

Fonte: https://www.rodoni.ch/busoni/lulu/campana.html
 

Pathurnia

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Ho riletto questo brano, che come molti degli scritti di Campana non rispetta i canoni della poesia tradizionale, ma per la sua intensa espressività assurge comunque alla dignità di componimento lirico (secondo me e secondo molta critica del tempo).
L'immagine conclusiva << ..allora fu che nel mio intorpidimento finale io sentii con delizia l’uomo nuovo nascere: l’uomo nascere riconciliato colla natura ineffabilmente dolce e terribile >> mi fa intuire quanta passione e quanta sensibilità albergassero nell'animo di quest'uomo singolare. E un pochino mi arrabbio per quel suo ostinato amore per il paese natale che lo faceva sempre ritornare a Marradi, allo stigma di malato mentale, mentre penso a quanti luoghi ha visto, in quanti posti è stato anche felice e poteva rimanerci a scrivere e a lavorare, a esaltarsi ed esaltarci con le sue opere. Difficilmente ho visto una mano felice come la sua nel descrivere momenti di fusione con l'universo. Forse un po' Herman Hesse, ma con un afflato mistico e panteistico che in Campana è assente.
No, il nostro non ha nulla di mistico, è materia vibrante dentro la materia del mondo. Peccato che sia finito così.:cry:
 

alessandra

Lunatic Mod
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Sicuramente è un brano intenso, ostico per i miei gusti, un po' meno dopo aver letto qualcosa sulla vista di questo poeta così sfortunato, nato in tempi in cui la malattia mentale era un'onta e ad essa non vi era rimedio.
Leggo che aveva un rapporto molto conflittuale con i genitori, in particolare con la madre, e che a un certo punto della vita furono loro a spingerlo ad andare in Argentina, per "liberarsene" o per sfuggire allo stigma sociale? Che tristezza in entrambi i casi, chissà se una volta lì trovò un po' di pace, ma forse ormai la malattia era andata troppo avanti.
 

alessandra

Lunatic Mod
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Ora vado ad aprirne un altro, vediamo se con l'avvicinarsi di settembre riusciremo a farlo "stagionare" un po' meno, ma il problema è che sono io a essere sempre più stagionata in tutte le stagioni :ROFLMAO:
 
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