una questione di struttura
Scrive Dory: “mi viene da pensare a cosa abbiamo da scrivere o da farci un film oggi in Italia, che abbia nel futuro il rilievo e la forza dei grandi capolavori della letteratura e del cinema del passato. Potrei anche estendere il ragionamento alla musica”.
Che dire? Messa così confesso che la domanda mi lascia perplesso assai. Se di “capolavori” si sta parlando, come dire? Credo che la domanda sia fuori fuoco. Ok, cominciamo, provo a spiegarmi.
Sul mio personal agreement con quanto sostenuto da Sir e da Mizar la faccio breve. Le considerazioni sul livello di istruzione, diffusione della cultura, venata insofferenza per ciò che suona come rimpianto o nostalgia per ciò che c’era e (si crede) non ci sia più, etc, etc.. Quoto tutto.
Sulla domanda invece “(…)cosa abbiamo da scrivere o da farci un film oggi in Italia (…)”, direi questo. La contestualizzazione di un’opera artistica (libro, musica, pittura, scultura, etc…) è affare di portata immensa (fin qui ti seguo Dory) sia nella catalisi della produzione artistica stessa - la scintilla insomma- che nei suoi aspetti realizzativii concreti, e finanche infine, nel modo con cui essa in un dato tempo, magari il suo, viene percepita. Affare di portata immensa dicevo, ma non decisiva.
Il cuore della questione si nasconde altrove, sostanzialmente direi, nella “capacità di sguardo” che lo scrittore (o l’artista in generale) ha sul reale, e/o su di sé, e/o su qualsiasi mix di “reale-se”. Nonché, ma va da sé, sulla capacità di tradurre quello sguardo in capolavoro, in opera d’arte.
Ma, se di “grandi capolavori”, parliamo, si tratta allora di una capacità di sguardo e di traduzione in arte assolutamente universali e senza tempo. I grandi capolavori hanno (ed avranno) la capacità di colpire il nostro cuore, la nostra mente, centrando bersagli che si annidano molto più profondamente, scuotendo impalcature che sono strutturali alla natura umana, toccando gangli che sono costitutivi ed ontologici per l’uomo.
Da questo punto di vista (ripeto ancora, senza sminuirne la portata, che senza contesto le cose non prendono forma, e carne, e sangue: cioè non sono) la contestualizzazione è un dettaglio. Enorme, si, è un dettaglio ingombrante assai… è il dettaglio in cui si declinano concretamente le cose umane e quindi la produzione artistica. Ma un dettaglio.
Ancora. Che tale “capacità di sguardo” magari poi faccia leva, come innesco, sulle fratture, sui conflitti (come si è citato in qualche post) personali o di realtà, tragici e carichi di sangue o meno, che praticamente poi si incardinano in storicissimi eventi concreti, credo ci sia del vero.
Ma anche qui ritengo che la storicità dell’accadimento, della frattura, del conflitto, non sia altro che la particolare veste di cui si abbiglia per l’occasione, qualcosa di strutturale.
Ciò che fa di Raskolnikov qualcosa che è per sempre, per tutti e non solo in Russia, non è la tremenda fine della povera vecchietta. Ciò che rende il Diario di Anna Frank quel testo che può portarci alle lacrime per sempre, noi ed i nostri pronitpoti non è tanto il fenomeno della persecuzione razziale in sé.
In entrambi i casi la questione su tappeto è la possibilità (e ahimè la capacità) del male gratuito nell’uomo.
Che Giulietta e Romeo vestissero in costume poco importa, la questione non è quella. Anche qui, quel che è in gioco, quel di cui si parla è quel qualcosa di strutturale e costitutivo che è l’amore tra la donna e l’uomo.
Per questo mi sembra che la domanda sia fuori fuoco. Potremmo discutere, volendo, su cosa si dirà e penserà in futuro della nostra epoca, magari leggendo i testi del nostro tempo, o guardandone la produzione cinematografica, ed inferendo di qui considerazioni sull’Italia di oggi. Il che è del tutto irrilevante sulla capacità e sulla possibilità che il nostro tempo (e il nostro paese) sia in grado di produrre un capolavoro, partita che si gioca invece su un terreno più profondo, non geografico e atemporale.
Insomma, riassumendo che la sto facendo lunga…
A me vien da concludere che il “grande capolavoro” è tale in quanto “opera di struttura”, o meglio, inerente le strutture costitutive dell’essere umano. Esso prende le mosse e poi si declina nella carne, nelle lacrime, nel sangue, nella gioia, nella storia insomma della singola e concretissima persona che lo crea. Di più: ciascun singolo capolavoro senza quella particolarissima carne non sarebbe mai esistito.
Ma poi va su, in alto come una freccia. E punta dritto al cuore.