Il libro del futuro

Gian

New member
In parte il tuo pensiero l'ho compreso.E' sul punto di "fame" come concetto che non mi trovo d'accordo o meglio non ho capito bene il senso (ma sono tutt'occhi e attendo volentieri una delucidazione:mrgreen:).

Chi ha fame in Italia c'è sempre stato.Intendo dire che chi non sa come fare per vivere è sempre stato presente nel nostro paese, ma non sono certo stati questi ultimi a produrre arte, non ne avevano il tempo ( come hai giustamente osservato).
Quanto al benessere a volte sono proprio stati i mecenati a produrne,di arte, investendo i loro denari in idee al principio improbabili. Forse si dovrebbe fare come in altri paesi; America, Francia, Inghilterra.... dove l'arte ha ancora un posto ed un senso.

p.s.
Gian hai intervistato un simpaticone come Vincenzoni che bello!:YY

Per fame intento proprio fame:wink:
come mi ha detto Vincenzoni loro hanno vissuto di tutto, anche la fame equindi avevano cose di cui scrivere e soprattutto avevano gli stimoli, e si mettevano in testa di tutto per poter mangiare qualcosa, i più creativi come lui si sono messi a fare cinema. e l'hanno fatto ai massimi livelli. E' chiaro che poi era chi aveva i soldi che produceva questi poveracci che facevano cinema. Sia chiaro però che non voglio dire che tutti i poveracci sono stati grandi autori, come non voglio dire neanche che chi era ricco non potesse essere un grande artista. Visconti stava bene economicamente ed è stato uno dei più grandi, Vincenzoni era un poveraccio ed è stato uno dei più grandi.

p.s.
Si, è stato molto bello intervistarlo, è venuto come ospite al Festival del cinema che organizzo perchè abbiamo fatto vedere un documentario molto interessante e divertente su di lui.
 

asiul

New member
Per fame intento proprio fame:wink:
come mi ha detto Vincenzoni loro hanno vissuto di tutto, anche la fame equindi avevano cose di cui scrivere e soprattutto avevano gli stimoli, e si mettevano in testa di tutto per poter mangiare qualcosa, i più creativi come lui si sono messi a fare cinema. e l'hanno fatto ai massimi livelli. E' chiaro che poi era chi aveva i soldi che produceva questi poveracci che facevano cinema. Sia chiaro però che non voglio dire che tutti i poveracci sono stati grandi autori, come non voglio dire neanche che chi era ricco non potesse essere un grande artista. Visconti stava bene economicamente ed è stato uno dei più grandi, Vincenzoni era un poveraccio ed è stato uno dei più grandi.

Bene, quindi parliamo, non di una fame cieca tipo terzo mondo, ma diciamo molto miope. Capito!:wink:

p.s.
Si, è stato molto bello intervistarlo, è venuto come ospite al Festival del cinema che organizzo perchè abbiamo fatto vedere un documentario molto interessante e divertente su di lui.

Ora dovrai dirmi qual è questo festival altrimenti mi farai "morire" di curiosità, come un gatto!:mrgreen:
 

Zefiro

da sudovest
una questione di struttura

Scrive Dory: “mi viene da pensare a cosa abbiamo da scrivere o da farci un film oggi in Italia, che abbia nel futuro il rilievo e la forza dei grandi capolavori della letteratura e del cinema del passato. Potrei anche estendere il ragionamento alla musica”.

Che dire? Messa così confesso che la domanda mi lascia perplesso assai. Se di “capolavori” si sta parlando, come dire? Credo che la domanda sia fuori fuoco. Ok, cominciamo, provo a spiegarmi.

Sul mio personal agreement con quanto sostenuto da Sir e da Mizar la faccio breve. Le considerazioni sul livello di istruzione, diffusione della cultura, venata insofferenza per ciò che suona come rimpianto o nostalgia per ciò che c’era e (si crede) non ci sia più, etc, etc.. Quoto tutto.

Sulla domanda invece “(…)cosa abbiamo da scrivere o da farci un film oggi in Italia (…)”, direi questo. La contestualizzazione di un’opera artistica (libro, musica, pittura, scultura, etc…) è affare di portata immensa (fin qui ti seguo Dory) sia nella catalisi della produzione artistica stessa - la scintilla insomma- che nei suoi aspetti realizzativii concreti, e finanche infine, nel modo con cui essa in un dato tempo, magari il suo, viene percepita. Affare di portata immensa dicevo, ma non decisiva.

Il cuore della questione si nasconde altrove, sostanzialmente direi, nella “capacità di sguardo” che lo scrittore (o l’artista in generale) ha sul reale, e/o su di sé, e/o su qualsiasi mix di “reale-se”. Nonché, ma va da sé, sulla capacità di tradurre quello sguardo in capolavoro, in opera d’arte.

Ma, se di “grandi capolavori”, parliamo, si tratta allora di una capacità di sguardo e di traduzione in arte assolutamente universali e senza tempo. I grandi capolavori hanno (ed avranno) la capacità di colpire il nostro cuore, la nostra mente, centrando bersagli che si annidano molto più profondamente, scuotendo impalcature che sono strutturali alla natura umana, toccando gangli che sono costitutivi ed ontologici per l’uomo.

Da questo punto di vista (ripeto ancora, senza sminuirne la portata, che senza contesto le cose non prendono forma, e carne, e sangue: cioè non sono) la contestualizzazione è un dettaglio. Enorme, si, è un dettaglio ingombrante assai… è il dettaglio in cui si declinano concretamente le cose umane e quindi la produzione artistica. Ma un dettaglio.

Ancora. Che tale “capacità di sguardo” magari poi faccia leva, come innesco, sulle fratture, sui conflitti (come si è citato in qualche post) personali o di realtà, tragici e carichi di sangue o meno, che praticamente poi si incardinano in storicissimi eventi concreti, credo ci sia del vero.
Ma anche qui ritengo che la storicità dell’accadimento, della frattura, del conflitto, non sia altro che la particolare veste di cui si abbiglia per l’occasione, qualcosa di strutturale.

Ciò che fa di Raskolnikov qualcosa che è per sempre, per tutti e non solo in Russia, non è la tremenda fine della povera vecchietta. Ciò che rende il Diario di Anna Frank quel testo che può portarci alle lacrime per sempre, noi ed i nostri pronitpoti non è tanto il fenomeno della persecuzione razziale in sé.
In entrambi i casi la questione su tappeto è la possibilità (e ahimè la capacità) del male gratuito nell’uomo.
Che Giulietta e Romeo vestissero in costume poco importa, la questione non è quella. Anche qui, quel che è in gioco, quel di cui si parla è quel qualcosa di strutturale e costitutivo che è l’amore tra la donna e l’uomo.

Per questo mi sembra che la domanda sia fuori fuoco. Potremmo discutere, volendo, su cosa si dirà e penserà in futuro della nostra epoca, magari leggendo i testi del nostro tempo, o guardandone la produzione cinematografica, ed inferendo di qui considerazioni sull’Italia di oggi. Il che è del tutto irrilevante sulla capacità e sulla possibilità che il nostro tempo (e il nostro paese) sia in grado di produrre un capolavoro, partita che si gioca invece su un terreno più profondo, non geografico e atemporale.

Insomma, riassumendo che la sto facendo lunga…

A me vien da concludere che il “grande capolavoro” è tale in quanto “opera di struttura”, o meglio, inerente le strutture costitutive dell’essere umano. Esso prende le mosse e poi si declina nella carne, nelle lacrime, nel sangue, nella gioia, nella storia insomma della singola e concretissima persona che lo crea. Di più: ciascun singolo capolavoro senza quella particolarissima carne non sarebbe mai esistito.

Ma poi va su, in alto come una freccia. E punta dritto al cuore.
 
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elisa

Motherator
Membro dello Staff
da che mondo è mondo le generazioni riconoscono solo in sè stesse la capacità di espressione originale, che invece non vedono nelle generazioni che vengono dopo di loro, perchè non si riesce a valutare se non a posteriori il capolavoro, e spesso si ragiona con principi oramai superati che non esprimono più l'innovazione ma la conservazione. I mezzi per riconoscere il capolavoro di oggi non li abbiamo ancora, perchè deve essere talmente innovativo da distruggere gli schemi di cui siamo ancora dipendenti e che vengono accettati come canoni di valutazione di un capolavoro, ma sono schemi vecchi e obsoleti, quello che viene considerato capolavoro oggi non lo era ieri e così via...li abbiamo sotto gli occhi i capolavori di oggi ma non sappiamo quali sono e dove sono :)
 

Gian

New member
è vero che spesso non ci si rende conto dei capolavori nel presente, am solo a posteriori, è successo in passato, però penso che ora ci siano molti elementi critici di valutazione validi, iù di un tempo forse, e quindi ci si rende conto meglio se ci si trova davanti ad una patacca oppure a qualcosa di buono.:wink:
Per esempio:
Il divo di Sorrentino è un capolavoro, resterà nel tempo
Baaria di Tornatore non è un capolavoro forse non resterà nel tempo
Questo piccolo grande amore di Donna è una schifezza, forse si ricorderà solo per quanto è brutto:D
 

asiul

New member
è vero che spesso non ci si rende conto dei capolavori nel presente, am solo a posteriori, è successo in passato, però penso che ora ci siano molti elementi critici di valutazione validi, iù di un tempo forse, e quindi ci si rende conto meglio se ci si trova davanti ad una patacca oppure a qualcosa di buono.:wink:
Per esempio:
Il divo di Sorrentino è un capolavoro, resterà nel tempo
Baaria di Tornatore non è un capolavoro forse non resterà nel tempo
Questo piccolo grande amore di Donna è una schifezza, forse si ricorderà solo per quanto è brutto:D

Ottima recensione..quoto!:mrgreen:
 

Mizar

Alfaheimr
Scrive Dory: “mi viene da pensare a cosa abbiamo da scrivere o da farci un film oggi in Italia, che abbia nel futuro il rilievo e la forza dei grandi capolavori della letteratura e del cinema del passato. Potrei anche estendere il ragionamento alla musica”.

Che dire? Messa così confesso che la domanda mi lascia perplesso assai. Se di “capolavori” si sta parlando, come dire? Credo che la domanda sia fuori fuoco. Ok, cominciamo, provo a spiegarmi.
[...]
A me vien da concludere che il “grande capolavoro” è tale in quanto “opera di struttura”, o meglio, inerente le strutture costitutive dell’essere umano. Esso prende le mosse e poi si declina nella carne, nelle lacrime, nel sangue, nella gioia, nella storia insomma della singola e concretissima persona che lo crea. Di più: ciascun singolo capolavoro senza quella particolarissima carne non sarebbe mai esistito.

Ma poi va su, in alto come una freccia. E punta dritto al cuore.
Quoto tutto, a spada tratta


da che mondo è mondo le generazioni riconoscono solo in sè stesse la capacità di espressione originale, che invece non vedono nelle generazioni che vengono dopo di loro, perchè non si riesce a valutare se non a posteriori il capolavoro, e spesso si ragiona con principi oramai superati che non esprimono più l'innovazione ma la conservazione. I mezzi per riconoscere il capolavoro di oggi non li abbiamo ancora, perchè deve essere talmente innovativo da distruggere gli schemi di cui siamo ancora dipendenti e che vengono accettati come canoni di valutazione di un capolavoro, ma sono schemi vecchi e obsoleti, quello che viene considerato capolavoro oggi non lo era ieri e così via...li abbiamo sotto gli occhi i capolavori di oggi ma non sappiamo quali sono e dove sono :)
E-sat-ta-men-te


è vero che spesso non ci si rende conto dei capolavori nel presente, am solo a posteriori, è successo in passato, però penso che ora ci siano molti elementi critici di valutazione validi, iù di un tempo forse, e quindi ci si rende conto meglio se ci si trova davanti ad una patacca oppure a qualcosa di buono.:wink:
Per esempio:
Mhhh? Quali sarebbero questi mistici "elementi (mezzi?) critici di valutazione"?
Le veline ?
Il mercato globale?
I mezzi di informazione di massa ?
wacko.gif

huh.gif




Il divo di Sorrentino è un capolavoro, resterà nel tempo
Baaria di Tornatore non è un capolavoro forse non resterà nel tempo
Questo piccolo grande amore di Donna è una schifezza, forse si ricorderà solo per quanto è brutto:D
Qui invece sono d'accordo proprio su tutto
1145539118-Diavoli (47).gif
 

Dory

Reef Member
Il cuore della questione si nasconde altrove, sostanzialmente direi, nella �capacit� di sguardo� che lo scrittore (o l�artista in generale) ha sul reale, e/o su di s�, e/o su qualsiasi mix di �reale-se�. Nonch�, ma va da s�, sulla capacit� di tradurre quello sguardo in capolavoro, in opera d�arte.

Ma, se di �grandi capolavori�, parliamo, si tratta allora di una capacit� di sguardo e di traduzione in arte assolutamente universali e senza tempo. I grandi capolavori hanno (ed avranno) la capacit� di colpire il nostro cuore, la nostra mente, centrando bersagli che si annidano molto pi� profondamente, scuotendo impalcature che sono strutturali alla natura umana, toccando gangli che sono costitutivi ed ontologici per l�uomo.


Ancora. Che tale �capacit� di sguardo� magari poi faccia leva, come innesco, sulle fratture, sui conflitti (come si � citato in qualche post) personali o di realt�, tragici e carichi di sangue o meno, che praticamente poi si incardinano in storicissimi eventi concreti, credo ci sia del vero.
Ma anche qui ritengo che la storicit� dell�accadimento, della frattura, del conflitto, non sia altro che la particolare veste di cui si abbiglia per l�occasione, qualcosa di strutturale.

A me vien da concludere che il �grande capolavoro� � tale in quanto �opera di struttura�, o meglio, inerente le strutture costitutive dell�essere umano. Esso prende le mosse e poi si declina nella carne, nelle lacrime, nel sangue, nella gioia, nella storia insomma della singola e concretissima persona che lo crea. Di pi�: ciascun singolo capolavoro senza quella particolarissima carne non sarebbe mai esistito.

Ho fatto una cernita delle cose più significative che hai detto per brevità.

Quando ho posto a voi la domanda era perché non avevo una precisa opinione in merito, ci stavo riflettendo e non ho dato una risposta precisa su come la pensavo. Non ho mai detto che nel nostro tempo un capolavoro non può essere prodotto perché non ci sono le condizioni storico-sociali adatte. Ripeto che forse la colpa è mia che non so farmi capire.
Forse ha ragione chi ha detto che avrei dovuto chiamare questo thread lo scrittore del futuro piuttosto che il libro.

Il mio ragionamento voleva comprendere quali sono i meccanismi che smuovono l'animo e la mente di una persona e gli fanno produrre il capolavoro e in questo senso tu parli di una questione strutturale dell'uomo e non del fatto di vivere in una data epoca, e su questo sono d'accordo, mi chiedevo proprio se nella società attuale così frenetica, confusionaria e invadente (mi riferisco al bombardamento dei media) ci possa essere ancora quella "capacità di sguardo" di cui tu parli.
La tua conclusione mi pare di capire è che ci possa essere nonostante tutto perché è insita nella natura umana.

Quello che non riesco a spiegarvi è che io non ho aperto questo thread con la finalità di dirvi quello che io pensavo in merito. Come ho detto prima non avevo un'idea precisa e volevo ragionarci insieme a voi, così ho scritto il primo post come una sorta di "provocazione", e mi pare che abbia funzionato data tutta la bella discussione che ne è uscita fuori.
Questa non è una marcia indietro, l'ho detto più volte nei miei precedenti post.

L'unico punto su cui avevo già un'opinione precisa, che ho esposto, è che credo che quello sguardo può emergere in una persona solo se questa vive un conflitto (ripeto esterno o interno), si pone un problema e si dispone ad approfondirlo.
Che sia strutturale siamo d'accordo, ma non credo che "la storicità dell'accadimento, della frattura, del conflitto, non sia altro che la particolare veste di cui si abbiglia per l'occasione" credo che sia proprio la scintilla e il motore che fa emergere la scultura dal marmo. Non ricordo quale artista diceva che la scultura era già nel marmo, si trattava di togliere le parti superflue. Quindi l'aspetto strutturale sarebbe la scultura che è già nel marmo, ma cosa spinge lo scultore a prendere lo scalpello per togliere il superfluo?
Secondo quello che hai detto pensi che sia una conseguenza naturale che viene spontanea anche se una pesona vive una vita ordinaria senza particolari pensieri?
Sono domande che ti pongo senza sottintendere una particolare risposta, la chiedo a te per sapere cosa ne pensi.
 

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
Inutile ripetersi in cose già dette prima e (presumibilmente) meglio di quanto a me fosse dato di fare; ha ragione Mizar a sottolineare l'essenza intima del conflitto, ove questo venga - oggi - restituito al suo senso originario. Non esistono più o sono in disuso arieti e catapulte, inutili archi e frecce: guerra (ed è banale ripeterlo) non è che manifestazione, 'fenomenologia' dell'insanabile scissione umana nella dimensione del suo stesso intero. Si distrugge per potere creare, il nuovo sulle macerie del vecchio, il sepolto sotto i resti di ciò che meritava di essere lasciato indietro - non tutto il prodotto di una civiltà, del resto, raggiunge eccellenze tali da potersi tramandare. Fango ed oro colato: coesistono sempre, da sempre.

Né va impedito all'artista, sulla base di certo orientamento delle 'masse', di poter continuare ad esistere. Cambiano i modi, gli stili, l'approccio filosofico-estetico al dominio che fu delle Muse, e tuttavia l'uomo è sempre qui: inesauribile, irretito più che mai tra le maglie laceranti dei suoi problemi, assorto nelle culture e nelle morali - e conseguenti ideali - che via via e con fatica costruisce come palliativi per trovare una direzione. Smettere di credere all'artista considerando solamente il suo circostante, significa in altro linguaggio sottovalutare la portata e la potenza della domanda, fuggendo la conclusione fondamentale per ogni opera d'arte: è il punto interrogativo a tenere in vita l'artista e la sua opera, quanto cerchiamo affannosamente di estinguere attraverso l'austero metodo e la discorsività o, per contro, tramite l'intuizione immediata dell'arte non può esaurirsi nelle nostre possibilità, od altrimenti verrà meno quel costituente la natura umana propria di ogni opera: la domanda implicita, appunto.

Saggiamente Zefiro scrive
A me vien da concludere che il “grande capolavoro” è tale in quanto “opera di struttura”, o meglio, inerente le strutture costitutive dell’essere umano. Esso prende le mosse e poi si declina nella carne, nelle lacrime, nel sangue, nella gioia, nella storia insomma della singola e concretissima persona che lo crea. Di più: ciascun singolo capolavoro senza quella particolarissima carne non sarebbe mai esistito.

Ed io non posso che quotare.


Insomma, il bello è nell'essere umano.
 
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fabiog

New member
Nessuno vuol impedire all'artista di esistere, ma se la totalità degli " artisti " di oggi è quella dell'orintamento della massa poveri noi.
Ormai non li considero artisti, sono solo " mercanti nel tempio" vendono il loro prodotto, educati da anni e anni nel modo di pensare sanno che cosa dare alla gente, sanno che cosa alla gente piace sentire : belle parole, un pò di finta trasgressione e la solita tediosa finta ribellione ecco gli artisti di oggi ( o almeno la maggior parte ). Non sono artisti, sono piccolo idoli spesso adorati dalle masse che li credono artisti e me li vedo come alla fine di un concerto, di un film diretto o recitato ,o di un libro scritto se la ridono per aver venduto l'ennesimo prodotto tarocco.
Manca, almeno per me, un artista che sappia tirar fuori l'anima nera di tutti noi, il nostro doppelganger, che ci faccia vedere quanto questa società sia spesso ipocrita e cattiva e farlo in modo nuovo ed originale non allineato
 

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
Nessuno vuol impedire all'artista di esistere, ma se la totalità degli " artisti " di oggi è quella dell'orintamento della massa poveri noi.
Ormai non li considero artisti, sono solo " mercanti nel tempio" vendono il loro prodotto, educati da anni e anni nel modo di pensare sanno che cosa dare alla gente, sanno che cosa alla gente piace sentire : belle parole, un pò di finta trasgressione e la solita tediosa finta ribellione ecco gli artisti di oggi ( o almeno la maggior parte ).

Cialtroni di tale fatta non meritano spazio qui.
Quanto meno tra le mie parole.

L'artista esiste ancora e possiede ancora grande possanza, parlavo prima di fango ed oro colato.

me li vedo come alla fine di un concerto, di un film diretto o recitato ,o di un libro scritto se la ridono per aver venduto l'ennesimo prodotto tarocco.

Sarebbe già un traguardo eccedente ogni ottimismo tal rendersi conto da se stessi della loro inconsistenza.
Quanto vi è di tragico, credo io, è la convinzione superba della loro 'artisticità' - non ridono delle malefatte, perché tali non sono.

Manca, almeno per me, un artista che sappia tirar fuori l'anima nera di tutti noi, il nostro doppelganger, che ci faccia vedere quanto questa società sia spesso ipocrita e cattiva e farlo in modo nuovo ed originale non allineato

Non la vedo così.
Creatore di bellezza non è solamente chi palesi contraddizioni o manifesti quanto di marcio una società covi, v'è molto di più nel suo fare arte; raccontare di anime nere può essere professione di un buon saggista, o, perché no, di un filosofo, solo in misura parziale ed incompleta può esserlo di chi invece si lascia guidare dall'intuizione.

Non sono nemmeno d'accordo sull'assenza di una figura del tipo suddetto.
Ne priva forse (e drammaticamente) l'Italia, ma basta guardarsi un poco intorno per scorgere nuovi avventori della bellezza.


Probabilmente v'è un malinteso di fondo in tutto questo argomentare e nell'impostazione data al topic; la tendenza generale è quella di far confluire nell'artista una pluralità di ruoli non affatto competenti alla sua natura: se qualcosa di buono Croce ci ha lasciato è proprio il principio di non colpevolezza dell'artista, in quanto egli è sciolto da vincoli e precetti della e verso la società, della e verso la morale o qualunque etica data per valida nella sua provvisorietà. L'uomo d'arte per come lo intendo io è privo di catene, egli è signore del suo regno, suddito soltanto alla sua intuizione. Che la bellezza necessiti di transitare in una qualsiasi forma per giungere a noi, non ha importanza alcuna: il bello non ha (o non dovrebbe avere) censure o censori così come nessun artista può essere tale se non libero.
 

Dory

Reef Member
Inutile ripetersi in cose già dette prima e (presumibilmente) meglio di quanto a me fosse dato di fare; ha ragione Mizar a sottolineare l'essenza intima del conflitto, ove questo venga - oggi - restituito al suo senso originario. Non esistono più o sono in disuso arieti e catapulte, inutili archi e frecce: guerra (ed è banale ripeterlo) non è che manifestazione, 'fenomenologia' dell'insanabile scissione umana nella dimensione del suo stesso intero. Si distrugge per potere creare, il nuovo sulle macerie del vecchio, il sepolto sotto i resti di ciò che meritava di essere lasciato indietro - non tutto il prodotto di una civiltà, del resto, raggiunge eccellenze tali da potersi tramandare. Fango ed oro colato: coesistono sempre, da sempre.

Né va impedito all'artista, sulla base di certo orientamento delle 'masse', di poter continuare ad esistere. Cambiano i modi, gli stili, l'approccio filosofico-estetico al dominio che fu delle Muse, e tuttavia l'uomo è sempre qui: inesauribile, irretito più che mai tra le maglie laceranti dei suoi problemi, assorto nelle culture e nelle morali - e conseguenti ideali - che via via e con fatica costruisce come palliativi per trovare una direzione. Smettere di credere all'artista considerando solamente il suo circostante, significa in altro linguaggio sottovalutare la portata e la potenza della domanda, fuggendo la conclusione fondamentale per ogni opera d'arte: è il punto interrogativo a tenere in vita l'artista e la sua opera, quanto cerchiamo affannosamente di estinguere attraverso l'austero metodo e la discorsività o, per contro, tramite l'intuizione immediata dell'arte non può esaurirsi nelle nostre possibilità, od altrimenti verrà meno quel costituente la natura umana propria di ogni opera: la domanda implicita, appunto.

Saggiamente Zefiro scrive


Ed io non posso che quotare.


Insomma, il bello è nell'essere umano.

Da quello che dite tu e Mizar mi pare di capire, e correggimi se sbaglio, che l'opera d'arte debba essere un effetto privo di causa, che nasce dal nulla solo perché scaturisce dall'essere umano che strutturalmente, come dice Zefiro, è predisposto a creare arte?

Stamattina mi è venuta in mente un'immagine che forse può spiegare meglio cosa voleva dire la mia domanda, qual era il suo scopo.
Consideriamo un sasso (opera d'arte) fermo in cima ad una montagna (epoca storica). Questo sasso avrà una sua energia potenziale (capacità dell'uomo di produrre opere d'arte) proporzionale all'altezza della montagna (?). Questa energia potenziale si trasformerà in energia cinetica nel rotolare del sasso lungo il pendio (realizzazione effettiva dell'opera, cioè scrittura del libro, della musica, produzione del film, etc...). Ma il sasso non rotola giù se non interviene una forza, un input, che rompe il suo equilibrio iniziale e gli permettere di fare quel minimo spostamento per rotolare giù.

Ammesso che la mia opinione sul fatto che serva quell'input (che io ho chiamato conflitto), mentre mi pare che la vostra opinione sia che non serve nessun input, il punto interrogativo, su cui chiedevo di ragionare insieme a voi poiché non avevo un'idea precisa, era quanto conta l'altezza della montagna, cioè se un determinato periodo storico possa essere tale da favorire la produzione di opere d'arte o sfavorirla. Oppure tutti i periodi storici hanno la stessa altezza e la prolificità degli artisti è indipendente da questo?

Dalla risposta a questa domanda si può quindi capire se nella nostra epoca è possibile che qualcuno riesca a scrivere "il libro del futuro" cioè il libro che nel futuro potrà essere considerato un capolavoro al pari di quei libri del passato che noi riteniamo capolavori.

E' più chiara messa così la questione? :mrgreen:
Me lo fate sapere per favore se ora si capisce? Comincio a pensare di non sapere più scrivere... non ho mai pensato di essere eccellente, ma neppure così incapace.. :( :mrgreen::mrgreen:

PS. Mizar non dirmi che avevi già capito perfettamente perché altrimenti ti vengo a cercare dovunque stai e ti strangolo :mrgreen::mrgreen:
 

Mizar

Alfaheimr
Da quello che dite tu e Mizar mi pare di capire, e correggimi se sbaglio, che l'opera d'arte debba essere un effetto privo di causa, che nasce dal nulla solo perché scaturisce dall'essere umano che strutturalmente, come dice Zefiro, è predisposto a creare arte?

Stamattina mi è venuta in mente un'immagine che forse può spiegare meglio cosa voleva dire la mia domanda, qual era il suo scopo.
Consideriamo un sasso (opera d'arte) fermo in cima ad una montagna (epoca storica). Questo sasso avrà una sua energia potenziale (capacità dell'uomo di produrre opere d'arte) proporzionale all'altezza della montagna (?). Questa energia potenziale si trasformerà in energia cinetica nel rotolare del sasso lungo il pendio (realizzazione effettiva dell'opera, cioè scrittura del libro, della musica, produzione del film, etc...). Ma il sasso non rotola giù se non interviene una forza, un input, che rompe il suo equilibrio iniziale e gli permettere di fare quel minimo spostamento per rotolare giù.

Ammesso che la mia opinione sul fatto che serva quell'input (che io ho chiamato conflitto), mentre mi pare che la vostra opinione sia che non serve nessun input, il punto interrogativo, su cui chiedevo di ragionare insieme a voi poiché non avevo un'idea precisa, era quanto conta l'altezza della montagna, cioè se un determinato periodo storico possa essere tale da favorire la produzione di opere d'arte o sfavorirla. Oppure tutti i periodi storici hanno la stessa altezza e la prolificità degli artisti è indipendente da questo?

Dalla risposta a questa domanda si può quindi capire se nella nostra epoca è possibile che qualcuno riesca a scrivere "il libro del futuro" cioè il libro che nel futuro potrà essere considerato un capolavoro al pari di quei libri del passato che noi riteniamo capolavori.

E' più chiara messa così la questione? :mrgreen:
Me lo fate sapere per favore se ora si capisce? Comincio a pensare di non sapere più scrivere... non ho mai pensato di essere eccellente, ma neppure così incapace.. :( :mrgreen::mrgreen:

PS. Mizar non dirmi che avevi già capito perfettamente perché altrimenti ti vengo a cercare dovunque stai e ti strangolo :mrgreen::mrgreen:
Ce provo io.
Le montagne di cui parli sono solo accidenti. A volte non son neppure certo esse esistano. L'energia è nel sasso e solo nel sasso. Tant'è vero che la stragran parte dei sassi di una altura restan lì per tutta la vita. Né è scientificamente provato che la potenziale è proporzionale ad h. Se così fosse, si escluderebbe la libertà di scegliere. Se così fosse, non accadrebbe ciò che accade: l'arrestarsi ingiurioso del sasso, pur già in caduta. Ciò, temo, -questo sceglierci- distingue creativamente noi sassi dal resto della natura.
Esso - sasso tra sassi :mrgreen: - sceglie di rotolare o sceglie di non farlo.
Nella sua scelta e nel suo fare di certo sarà condizionato dal profilo della montagna; né le sue opere [in 9.8 meno attrito] potran non esser forgiate e colorate in/da quel monte.
Ciò non è un ŏrīri ex nihilo: ché vi è la spinta molecolare del sasso, la sua tempra, i suoi spigoli, il suo carbonio o silicio, la pioggia caduta sul suo grigio capo (ghgh), i suoi pietrosi genitori ed altro.
In fondo, come direbbe il sasso-Heidegger, c'è la sua stessa sassosità.
Per queste ragioni non credo possibile un avvicinamento metaforico energia potenziale-epoca storica. Ripeto che se così fosse avremmo un meccanismo uniformante che prescinde candidamente dalle differenze insite nell'essere uomini. Ciò implicherebbe anche un tendenziale accostamento di F-cineticha e potenziale...tamquam non esset.
Infatti, come dicevo in altri post, grandi geni son nati in periodi in cui la suddetta montagna era piùttosto una flebile collina [da Shire degli Hobbit!] con consquenziale F-pot minima...mentre Fk si è dimostrata grande!

In breve, è innegabile il fatto che un epoca storica condizioni l'opera di un artista. Ma ciò non è meno vero per qualunque altro uomo. L'opera artistica, per sua natura - affermazione libera in oscillazione tra ricordo ed oblio -, potrà percorrere qualunque possibile via, finanche impensabile.
Ed ecco che in periodi di pace sociale, conosciamo scritti di guerre ed atrocità; che in periodi di guerra conosciamo languide elegie; che in uomini tormentati dalla fame conosciamo tanto romanzi di miseria quanto poemi di fuga; ecco che in pieno e spregevole romaticismo arriva uno dei più odiosamente raziocinanti filosofi della storia dell'uomo.
Si, certo Dory! La montagna avrà sempre un locus nella genesi di un'opera d'arte: ma questo locus è ineffabile, può prendere ogni posibile via. Tanto che solo a posteriori ci è possibile indicare un passo ed esclamare (idiotamente) "Eh si! Questo (traccia q) è proprio un segno di quella montagna! Ciò diremmo non comprendendo che, se in luogo della incriminata traccia q ci fosse stata una anodina traccia s o addirittura una ossimorca (ex post) traccia -q [
1145539421-Diavoli (9).gif
] avremmo parimenti scorto una possibile impronta della fantomatica montagna.

Io credo piuttosto che l'artista tenda a ricreare tensoni già sue proprie - in quanto uomo - in un'opera. Cosi come egli ritrova tracce o simboli o metafore delle sue tensioni...sul volto della montagna. Come dicevo, la montagna come "occasione".
 

Dory

Reef Member
Ah, finalmente ci siamo capiti!! La risposta stavolta è perfettamente pertinente a ciò di cui volevo parlare e conoscere il vostro parere!
Bene allora mi pare anche di capire che è stata mia la colpa di non aver spiegato bene cosa intendevo e sono molto contenta che finalmente si sia capito!

Grazie Mizar, stavolta la tua risposta mi è piaciuta molto e l'ho ben capita!! :mrgreen:
 

Mizar

Alfaheimr
Ah, finalmente ci siamo capiti!! La risposta stavolta è perfettamente pertinente a ciò di cui volevo parlare e conoscere il vostro parere!
Bene allora mi pare anche di capire che è stata mia la colpa di non aver spiegato bene cosa intendevo e sono molto contenta che finalmente si sia capito!

Grazie Mizar, stavolta la tua risposta mi è piaciuta molto e l'ho ben capita!! :mrgreen:
Quando non ci si capisce, la colpa è sempre di entrambi i parlanti: ché essi hanno ogni strumento linguistico a disposzione per comprendrsi.
 

Zefiro

da sudovest
la forza di una domanda

Dory scrive: “Quello che non riesco a spiegarvi è che io non ho aperto questo thread con la finalità di dirvi quello che io pensavo in merito. Come ho detto prima non avevo un'idea precisa e volevo ragionarci insieme a voi, così ho scritto il primo post come una sorta di "provocazione", e mi pare che abbia funzionato data tutta la bella discussione che ne è uscita fuori. “Questa non è una marcia indietro, l'ho detto più volte nei miei precedenti post.”

Un commento metodologico, o meglio tautologico tutto per Dory (si, ce l’ho con proprio te! :mrgreen:).
Una domanda è una domanda. Di fronte ad una domanda non penso siano poi molte le possibilità, solo quattro credo o almeno ne vedo al momento: o la si ignora, o si risponde, o si “cerca” di rispondere” o si cerca di riformularla meglio. Una domanda che sia tale è fatta per sapere e capire, nulla di più, nulla di meno, qualunque altra considerazione è in sovrappiù. Questo in generale.
Nel caso di specie aggiungo che, come già accennavo in altro post, personalmente sono molto sensibile agli spin off, alle ricadute, agli effetti, al “prodotto” magari imprevisto ed inaspettato di un qualcosa nel momento in cui ci si lavora su, intesi come cartina tornasole della bontà o meno dell’istanza di partenza. La qualità dei post che leggo, “il prodotto” della domanda iniziale, qualità dicevo, a mio modestissimo avviso elevata assai, la dice lunga sulla “bontà” intrinseca della domanda stessa. Io per metter giù due righe, sbagliate o giuste che siano, ci ho dovuto rifletter su e di questo ti ringrazio (e sono serio…)

Ancora una osservazione: ma hai qualcosa contro le “marce indietro” Dory? E’ già almeno un paio di volte che ti vedo menzionarle con flavour negativo. Se, si, I completely disagree. L’esercizio del chiedere, indagare, provare a capire oltre che faticoso è complicatuccio assai, procede sempre a zig zag e ben spesso costringe a parziali dietro front e clamorosi “indietro tutta”. Personalmente tengo in grandissima considerazione una onesta (sottolineo ‘onesta’ almeno una quindicina di volte, credo vada da sé…) “marcia indietro”. Trovo che sia una “abilità” ad altissimo valore aggiunto, indizio peraltro della capacità di esercizio della liberta suprema e più difficile (Ah! Se mi resta difficile dire, anche solo a me stesso: avevo torto…): quella dai nostri pregiudizi intesi in senso letterale, libertà anche quindi da ciò “che pensavamo prima” .

Infine, se parliamo di domande, impossibile non quotare D=i (il cui bel post peraltro quoto in toto) che acutamente scrive: “(…) Smettere di credere all'artista considerando solamente il suo circostante, significa in altro linguaggio sottovalutare la portata e la potenza della domanda (…). Si, penso anche io che le domande siano creature interessanti un bel po’, ad energia potenziale altissima, tendente ad infinito: cominci a farne rotolare una e non sai mai che valanga ne verrà fuori.
 
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Zefiro

da sudovest
chi ha lanciato il sasso?

Il passo che mi ha fatto seriamente preoccupare è il seguente, by Dory: “(…) mi pare di capire, e correggimi se sbaglio, che l'opera d'arte debba essere un effetto privo di causa, che nasce dal nulla solo perché scaturisce dall'essere umano che strutturalmente, come dice Zefiro, è predisposto a creare arte? (…) Oh beh… Se hai dubbi sulla tua capacità di lasciar intendere ciò che pensi quando scrivi benvenuta nel club! :wink: Perché davvero non pensavo di sostenere niente del genere.

“Nasce dal nulla”? “Privo di causa”? Scherziamo? Eppure avevo scritto: “ (…) prende le mosse e poi si declina nella carne, nelle lacrime, nel sangue, nella gioia, nella storia insomma della singola e concretissima persona che lo crea. Di più: ciascun singolo capolavoro senza quella particolarissima carne non sarebbe mai esistito (…)” provo a chiarire quel che penso procedendo per passi. Dunque…

Utilizzando l’esempio del sasso in bilico sulla cima di una montagna osservo che, senza una mano –una mano di carne, concreta– che dia la spinta, nessun sasso rotola giù, niente energia cinetica. Ci vuole una persona e una storia, la sua. Il contesto appunto. Ma siamo nel campo del “necessario” ma non “sufficiente”. Non tutte le persone e non tutte le storie generano (o possono generare) un “grande capolavoro”.

Affinché ciò avvenga è necessario interagire con le strutture costitutive dell’uomo. E’ questo il livello profondissimo che vanno a perturbare i “grandi capolavori”, è qui, in questa specie di ombelico ultimo che i “grandi capolavori” si aggirano toccando qua e là con conseguenze imprevedibili a priori. Ma ancora non basta. Siamo ancora nel necessario.

Il terzo e ineludibile ingrediente è l’artista, la capacità di tradurre in “grande capolavoro” il tutto. E qui mi fermo, almeno per il momento, che per me quest’ultima è cosa misteriosa assai che nella sua essenza mi sfugge: perché a volte si a volte no? Perché certe persone si altre no? dov’è il "trucco"?

Di più: perché a volte si ed a volte no, perché certe persone si e certe no, “a parità di contesto?” Il “trucco” potrebbe essere più complesso di quel che sospettiamo: qualcuno lancia il sasso giù della montagna, lo vediamo rotolare, ma non abbiamo visto chi e soprattuto come. Mi trovo qui, ancora una volta a quotare il post di Mizar "(...) la montagna come occasione (...). Si, con un trucco di questa portata, dove davvero la mano è più veloce dell'occhio, temo che la montagna -cioè il contesto, l'epoca storica- non possa essere la chiave di volta per capire cosa sia successo.
Il meglio che riesco a dire è la già menzionata “capacità di guardare”, integrata (utilizzando ora l’osservazione di D=i) dalla “capacità domanda”, e completata infine dal quel talento misterioso, il genio, del quale io non ho capito nulla ma che intuisco come essenziale anche esso per la reificazione del “grande capolavoro”.

Tornando alla concretissima mano che spinge il sasso o scaglia la freccia, interroghiamoci ora sulla necessità, o sulla natura in qualche modo facilitativa di un contesto che deve essere conflittuale. Dove il conflitto, la frattura, la crisi, può essere: o tutto interna a sé, o in relazione con il reale, o in una qualsiasi composizione percentuale di esse. E ancora sulla necessità o meno che tale contesto sia in qualche modo non dico tragico, ma almeno “difficile”. Credo che questo sia vero. E’ di tutta evidenza che lo è. Ma non credo sia vero in “assoluto”.

Il grande capolavoro può scaturire come esito di un conflitto certo, ma anche come prodotto di una armonia, di una profonda consonanza. Anche in questo caso interne a sé, o col reale, o in qualsiasi composizione percentuale di esse.

Penso al Colonnato del Bernini, alla Pietà di Michelangelo, all’Eneide di Virgilio, all’ “Inno alla gioia” di LVB. Siamo in presenza in questi casi di risultati derivanti armonie interne, anche se magari locali e temporanee, come nel caso di LVB, o da profondissimi sentire religiosi: volevano rappresentare e raccontare ciò in cui credevano intimamente. Cattolici romani nella fattispecie, quindi all’epoca allineati che più allineati non si può. E finanche -voglio estremizzare ma così è- da produzioni su commissione del potente, magari con finalità ideologche, con le conseguenti prosaicissime retribuzioni in solido: ricchezze, onori, fama gloria, potere.
Poche ve ne erano di pance piene come quelle degli studi di arte e architettura (aggiungiamo Borromini?) dei grandi artisti del barocco ai tempi delle commesse papali. Pochissime le persone vezzeggiate e coccolate da quel geniale e illuminato servo del padrone che era Mecenate come gli artisti che operarono sotto Augusto. Gli uni e gli altri hanno resa eterna Roma. Uno scherzetto da niente...
Su Leonardo sorvolo: avrà pur avuto i suoi problemi, i suoi conflitti, ma in generale era ricercatissimo e con parcelle da capogiro. Di quei "consulenti" che solo i capi di stato si potevano permettere.

Il sostenere quindi le capacità catalizzatrici del conflitto e della crisi caratterizzate da profili più o meno difficili come necessari alla generazione di un “grande capolavoro” credo quindi equivalga a sostenere uno statement senz’altro vero, ma non universale.

Non vale sempre insomma. E quindi il vero snodo è altrove. Nella struttura appunto.
 
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Gian

New member
Sono abbastanza daccordo con questi ultimi post di Zefiro e Mizar...
Quello che voglio dire, e che già ho detto in precedenza è che inevitabilmente serve l'uomo col suo genio che possa produrre arte, ma poi penso che sia necessaria una qualche esperienza vissuta, o comunque sentita. E' la scossa di cui parla Dory, senza quella non può nascere il capolavoro, non può nascere senza un coinvolgimento, anche se solo emotivo.
Per esempio: sono stati fatti molti film sulla seconda guerra mondiale e tutto quanto ne concerne, non tutti sono stati fatti da persone che l'hanno vissuta, però certo i capolavori sono venuti fuori da persone che l'hanno vissuta o sentita emotivamente in modo particolare.

Però ci tengo a ribadire che secondo me chi ha vissuto certe esperienze soprattutto di tipo drammatico, ha trovato più semplice e naturale produrre certe opere di qualità, è un dato di fatto.
Per esempio: cito di nuovo Vincenzoni (ora Mizar mi sa che si arrabbia:wink::mrgreen:), è un dato di fatto che lui dopo aver vissuto certe situazioni (guerra, fame,...) abbia fatto così tanti film di qualità. E come lui tanti altri.

Per concludere e sintetizzare ripeto che chi ha "fame" fa di tutto per riuscire a mangiare e chi ha un certo genio, una certa creatività produce arte e questa in questi casi è spesso di gran valore.
 

Mizar

Alfaheimr
Sono abbastanza daccordo con questi ultimi post di Zefiro e Mizar...
Quello che voglio dire, e che già ho detto in precedenza è che inevitabilmente serve l'uomo col suo genio che possa produrre arte, ma poi penso che sia necessaria una qualche esperienza vissuta, o comunque sentita. .
Sono felice di leggere ciò. Qualcuno infatti, ancor oggi, parla del canto di un uccello o del suono di una cascata o del profilo di un delfino o della nobiltà di un aquila come fossero "opera d'arte".


E' la scossa di cui parla Dory, senza quella non può nascere il capolavoro, non può nascere senza un coinvolgimento, anche se solo emotivo.
Si, è vero. Ma spero questo discorso non conduca a deliri positivisti sul tema: chi (genio) viva le esperienze x, y, z sarà sicuramente/probabilmnte/presumibilmente/forse/con certa qual percentuale/magari condizionato nella maniera tot dal fanomeno.
Questo, non mi convince


Per esempio: sono stati fatti molti film sulla seconda guerra mondiale e tutto quanto ne concerne, non tutti sono stati fatti da persone che l'hanno vissuta, però certo i capolavori sono venuti fuori da persone che l'hanno vissuta o sentita emotivamente in modo particolare..
Ecco, appunto :mrgreen:
A me è capitato di leggere libri di persone che "vissero" questo evento storico. Alcuni di essi son vicini al sublime; altri son poco meno che pessimi - ciò a volte è dovuto, a mio parere, ad una eccessiva 'vicinanza' ed a consequenziale incapacità, diciamo, icastica.
Mi è capitato anche di leggere libri di persone che non vissero affatto la Seconda Guerra. Uno di questi libri ha in oggetto suddetta guerra ed ha...totalmente rivoluzionato il genere del romanzo storico avviandosi a divenire uno dei più importanti colossi di prosa del secondo Novecento.



Però ci tengo a ribadire che secondo me chi ha vissuto certe esperienze soprattutto di tipo drammatico, ha trovato più semplice e naturale produrre certe opere di qualità, è un dato di fatto.
Per esempio: cito di nuovo Vincenzoni (ora Mizar mi sa che si arrabbia:wink::mrgreen:), è un dato di fatto che lui dopo aver vissuto certe situazioni (guerra, fame,...) abbia fatto così tanti film di qualità. E come lui tanti altri.
Si si vero ! Vero anche per gente come Mann, Proust, o Visconti :mrgreen:
 
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