Riflessioni scritte sul Brigantaggio

On. Bixio al Parlamento italiano il 18 aprile 1863:


"Si, signori. Si è inaugurato nel Mezzogiorno d'Italia un sistema di sangue. Ebbene non è con il sangue che si rimediano gli inconvenienti.... E' evidente che nel Mezzogiorno non si domanda che sangue. Ma il Parlamento non lo può seguire su quel terreno.
Nel Mezzogiorno tutti quelli che hanno un cappotto vogliono trucidare quelli che non lo hanno"

Detto da Bixio, il massacratore di Bronte, fa un certo effetto.
 
Lettera dell'ufficiale dei lancieri Enea Pasolini a Padre Ricci 1868

"... Ella dunque sa da Pierino in quali inospiti e barbari luoghi io mi trovo? Credo però che né l'eloquenza di mio fratello, né la di lei immaginazione avranno potuto far si che ella abbia un'idea esatta di questi infelici paesi. Si figuri che capitombolo è stato per me, abituato alla vita lieta e dissipata di Genova, il cadere quaggiù in questo immondezzaio fisico e morale..."

Evito di continuare


L'ufficiale Pasolini era stato inviato in Calabria, l'immondezzaio fisico e morale, il luogo barbaro e inospitale, con gente simili alle scimmie è Rossano Calabro.

Costoro erano i soldati che stavano facendo l'Unità d'Italia.

Un saluto ai barbari calabresi del forum, a cui va tutta la mia solidarietà per il loro vivere in un immondezzaio fisico e morale, e parimenti un saluto ai giovani lieti e dissipati di Genova e liguri tutti presenti sul Forum.

Viva L'Italia

 

Mizar

Alfaheimr
Viste le più disparate provenienze degli avventori del forum, mi piacerebbe sapere (facendo corna) quanto impieghereste voi a raggiungere il pronto soccorso più vicino a casa vostra.
Io vengo dal sud, sono terrone ed impiego dai 3 ai 3,30 minuti a raggiungere l'ospedale più vicino.

Comunque è vero: cattivi piemontesi e cattivi massoni che hanno fatto l'Italia a spese del meridione! :mrgreen:

Viva la Curva A :)
 
Lettera alla moglie di Nino Bixio il boia di Bronte

"...Davvero mi fa schifo tutto quello che vedo in questo paese...che paesi! Si potrebbero chiamare dei veri porcili...questo popolo in massa è almeno tre secoli indietro al nostro"

Nino Bixio, impressioni dalla Calabria
 
Padre Carlo Piccirillo 1863

"Il ladro che m'entra in casa, e in parte sostenuto dalla violenza delle proprie armi, in parte aiutato dal tradimento dei miei servitori, me ne caccia spietatamente e vi asside padrone in luogo mio, qual diritto potrà invocare in favore suo se quindi a poco, rifatto animo e rimessomi in forze, io vengo a assalirlo nella mal occupata casa, e cacciarla dal non suo nido".


I piemontesi ti entrano in casa con la violenza e il tradimento di pochi venduti (Liborio Romano), e quando i legittimi proprietari vogliono rientrare, vengono definiti briganti. L'importanza delle parole.

D'altronde come diceva il Fuhrer: "La Storia non chiederà mai al vincitore chi ha sparato il primo colpo".
 
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Il
Massacro di Pontelandolfo

Era l’alba del 1° agosto dell’anno 1861. A Pontelandolfo si avvertiva nell’aria odore di fermento. I poveri raccolti non bastavano più a pagare le tasse ed i balzelli imposti dalle autorità piemontesi. I contadini avevano assistito increduli alle gesta del generale Garibaldi. Ben presto si erano resi conto che stava dalla parte dei borghesi, dalla parte dei signorotti. Gli eccidi di Bronte, Niscemi e Regalbuto l’avevano detta lunga sulla sua appartenenza di classe a da che parte stava.
I pontelandolfesi erano stanchi delle razzie piemontesi, della guardia mobile, dei loro notabili. Le nuove disposizioni del giugno 1861 circa la coscrizione di leva avevano agitato ancora di più le acque. I giovani preferirono la macchia al nuovo padrone piemontese, preferirono gli stenti, i sacrifici, la morte. Il popolo rimpiangeva i tempi in cui governavano i Borbone (vedi foto) e non aspettava altro che il momento in cui la rabbia di un anno di vessazioni sarebbe esplosa.
L’arciprete Don Epifanio De Gregorio assieme ad una moltitudine di attivisti borbonici manteneva i contatti con i contadini, sapeva infondere loro la speranza di un domani migliore in quanto con il prossimo ritorno di Re Francesco si sarebbe ristabilito il vecchio ordine. Finalmente ci si poteva organizzare attorno ai partigiani che stazionavano sui monti e cacciare i liberali dissacratori di chiese e saccheggiatori di beni.
Nonostante il servizio al corpo di guardia fosse stato rinforzato, il giorno 2 agosto, il partigiano Gennaro Rinadi detto Sticco, si presentò al sindaco Melchiorre consegnandogli una missiva su cui c’era scritto che il sergente dei regi Marciano, comandante della brigata partigiana Frà Diavolo, chiedeva al primo cittadino 8.000 ducati, due some di armi e viveri entro 48 ore, altrimenti avrebbe messo a ferro e fuoco le case dei traditori liberali. Tale somma doveva essere consegnata al latore del biglietto.
Chiamato dal sindaco, il 3 agosto giunse in paese il colonnello della Guardia Nazionale De Marco a capo di una colonna di 200 mercenari. Una cinquantina di guardie chiusero l’entrata della piazza mentre gli altri cominciarono a razziare le case dei pontelandolfesi. Ma era rimasto ben poco da rubare, la gente era affamata. Venne saccheggiata anche la chiesa di San Rocco dove De Marco e i suoi mercenari avevano preso alloggio.
Durante la notte tra il 4 ed il 5 agosto le montagne che cingevano Pontelandolfo brulicavano di partigiani: i fuochi accesi erano tantissimi e davano coraggio alla popolazione, scoramento e paura ai liberali.


Il colonnello garibaldino De Marco inquieto diede ordine alla sua colonna di prepararsi ad abbandonare il paese.
Il 6 agosto emissari di Don Epifanio raggiunsero al galoppo l’accampamento di Cosimo Giordano per invitare i partigiani regi in chiesa a ringraziare il Signore.
La brigata Frà Diavolo composta da circa trenta partigiani, dopo l’azione di guerriglia di San Lupo si diresse verso Pontelandolfo. Il paese era in festa per la fiera di San Donato in pieno svolgimento. Tutti aspettavano con impazienza l’arrivo dei loro eroi, l’arrivo dei partigiani regi comandati da Cosimo Giordano (vedi foto) che stava combattendo la guerra santa contro gli infedeli piemontesi.
Il 7 agosto mentre il campanile rintoccava la quinta ora pomeridiana, la brigata d’eroi giunse in paese tra ali di folla in festa. L’arciprete Don Epifanio de Gregorio cominciò a lodare il signore con il Te Deum per ringraziare Francesco II. I guerriglieri, seguiti da oltre tremila popolani, si diressero verso il Corpo di Guardia, disarmarono i pochi ufficiali rimasti e lo devastarono. I quadri di
Vittorio Emanuele II e di Garibaldi furono ridotti in mille pezzi, le suppellettili furono messe sottosopra. La bandiera tricolore fu staccata e dal panno bianco si strappò lo stemma sabaudo. Il popolo eccitato, come ubriacato dall’avvenuta libertà, urlava, gridava la propria gioia.
Angelo Tedeschi da San Lupo, ritenuto essere la spia dei piemontesi, fu scovato rannicchiato nella sua stalla, sotto il fieno, e freddato con un colpo di fucile da Saverio Di Rubbo. Nella bolgia, un colpo vagante colpì, ferendolo, Pellegrino Patrocco, eremita di Sassinoro, ed un altro colpì in casa sua, uccidendolo, Agostino Vitale. L’esattore Michelangelo Perugini, liberal massone e reo di aver spremuto e ricattato i contadini, fu ammazzato e la sua casa bruciata. Il popolo poteva sfogare la propria rabbia repressa da un anno di sudditanza totale, di dittatura, di terrore, di ruberie, di violenze subite e mal celate. Cosimo Giordano ed il suo vice, seguiti dal popolo, si diressero verso la casa Comunale, ove distrussero i registri dei nati per evitare la chiamata alle armi dei giovani di Pontelandolfo in caso che i piemontesi avessero rimesso i piedi nel paese. La bandiera tricolore fu bruciata sul balcone e al suo posto venne issata quella borbonica. I prigionieri furono liberati dal carcere. Venne istituito un governo provvisorio. Pontelandolfo, dunque, era diventata il centro della reazione borbonica nel Sannio. Guerriglieri dei paesi limitrofi, specialmente quelli di Casalduni e di Campolattaro, erano venuti ad ingrossare la banda di Giordano per tenere alto l’onore del Regno delle Due Sicilie e di Francesco II.
Il 9 agosto, trenta partigiani furono scelti per attaccare la carrozza postale che ogni giorno passava per la provinciale, portando qualche passeggero e i soldi che servivano alle spese della truppa e degli impiegati piemontesi. Soldi e balzelli che il governo di Torino esigeva dalle popolazioni, che dovevano persino pagare la famosa tassa di guerra. Non vi fu alcuna azione cruenta, a tutti i passeggeri furono rubati solo i soldi ed i loro preziosi. Intanto Cosimo Giordano fece fucilare Libero D’Occhio dopo un processo sommario che lo riconobbe spia dei piemontesi e traditore della patria.
La bandiera gigliata sventolava sui pennoni più alti. Con i soldi sequestrati dai partigiani furono sfamate le famiglie che più avevano bisogno. Al Comune si distribuiva il pane, i muri delle case erano tappezzati di manifesti inneggianti alla rivolta contro i piemontesi e le strade piene di volontari. I manifesti affissi durante la notte dai partigiani della banda Giordano riportavano il proclama del Comandante in Capo Chiavone (vedi foto) che operava tra la Ciociaria e gli Ausoni.
Su ordine del Generale Cialdini il 13 agosto partì da Benevento una colonna di bersaglieri, tutti tiratori scelti, comandata dal Generale Maurizio De Sonnaz detto Requiescant per le fucilazioni facili da lui ordinate e per il massacro di parecchi preti e l’attacco ad abbazie e chiese. Il generale piemontese era a capo di novecento bersaglieri assassini e criminali di guerra. Il colonnello Negri procedeva a cavallo, con al suo fianco il garibaldino del luogo de Marco e due liberali pure del posto a far da guida ai cinquecento bersaglieri, che costituivano la colonna infame che stava dirigendosi verso Pontelandolfo. Un’altra colonna di quattrocento bersaglieri si stava portando verso Casalduni.
Era l’alba del 14 agosto. Gli ordini di Cialdini erano precisi: Pontelandolfo doveva pagare con la morte la sfida fatta al potente Piemonte.
La banda di Cosimo Giordano bivaccava a circa un chilometro dal paese, nella selva, tra i monti presso la località Marziello. I partigiani avvertiti dai pastori, s’erano appostati per tendere un agguato ai piemontesi, ma erano solo cinquanta. Una scarica di pallottole colse di sorpresa i bersaglieri. Tutti scesero da cavallo, qualcuno cadde morto, altri furono feriti, altri ancora risposero al fuoco, ma era ancora buio e la selva copriva le ombre dei partigiani borbonici, i quali continuavano a sparare sul mucchio, alla cieca, non potendo mirare giusto data l’ora mattutina. La sparatoria durò pochi minuti, ma fu feroce e ravvicinata. Gli uomini di Giordano, avvantaggiati dall’effetto sorpresa vedendo che i bersaglieri prendevano posizione di combattimento e presagendo una sconfitta, naturale, date le forze in campo, si diedero alla fuga. I bersaglieri contarono venticinque morti. Il colonnello Negri, anziché inseguire i patrioti di Giordano, diede ordine al plotone di comporre le salme dei caduti e di proseguire la marcia verso Pontelandolfo. L’esercito piemontese circondò il paese, fucile alla mano, pronto a far fuoco. Un plotone, con il De Marco e due liberali, entrò nella città ad indicare le case dei settari massoni da salvare. Portata a termine l’operazione salvataggio dei settari, che non superavano la decina, i bersaglieri si gettarono a capofitto nei vicoli e nelle strade di Pontelandolfo. Erano le quattro del mattino quando ebbe inizio l’eccidio. Le case furono incendiate. Gli abitanti, armati di roncole e forche, tentarono una sterile difesa, ma i fucili dei piemontesi ebbero inesorabilmente la meglio su di loro. Alcuni vennero stesi nella propria abitazione, altri dormienti nel proprio letto, altri mentre fuggivano. Qualcuno riusciva ad oltrepassare la porta di casa ma veniva abbattuto sull’uscio senza pietà. Grida, urla, gemiti dei feriti, pianti dei bambini. Pontelandolfo fu messa a ferro e fuoco. Tutto il paese bruciava. Nicola Biondi, contadino sessantenne, fu legato ad un palo della stalla da dieci bersaglieri, i quali denudarono la figlia Concettina, di sedici anni, e tentarono di violentarla. Ma la ragazza difese strenuamente l’onore. Dopo un’aspra colluttazione, sanguinante cadde a terra esanime. Una scarica micidiale di pallottole abbatté il padre Nicola. Decine e decine erano i cadaveri disseminati nei vicoli, nelle strade, nelle piazze. Alle ore sei metà paese era in fiamme, mentre i bersaglieri continuavano la mattanza
Ancora uccisioni, stupri, fucilate, grida, urla. I vecchi venivano fucilati subito e così i bambini che ancora dormivano nei loro letti. Dopo aver ammazzato i proprietari delle abitazioni, le saccheggiavano: oro, argento, catenine, bracciali, orecchini, oggetti di valore, orologi, pentole e piatti. Il sangue scorreva a fiumi per le strade di Pontelandolfo. Prima ad essere saccheggiata fu la chiesa di San Donato, ricca di ori, di argenti, di bronzi lavorati, di voti, persino le statue dei santi furono trafugate. Il saccheggio e l’eccidio durarono l’intera giornata del 14 agosto 1861. Donne seminude, sorprese mentre dormivano, cercavano scampo fuggendo; ma, se vecchie, venivano subito infilzate, se giovani ed avvenenti, venivano violentate e poi uccise. I morti venivano accatastati l’uno sull’altro. Chi non riusciva a morire subito doveva anche sopportare la tortura del fuoco, che veniva appiccato sopra i cadaveri con legna secca e fascine fatte portare lì da giovani sotto la minaccia delle baionette.


Dopo ore di stragi, di eccidi, di massacri, di ruberie, il generale De Sonnaz fece suonare l’adunata ed il ritiro della colonna infame. Al suono del trombettiere tutti si ritirarono. Inquadrati sull’attenti al cospetto del generale De Sonnaz e del colonnello Negri, si diressero verso Benevento, ove il giorno dopo, nei loro alloggiamenti, mercanteggiarono tutto il bottino sacro profanato. Il laconico messaggio del colonello Negri, di passaggio da Fragneto Monforte, recitavaL’ennesimo truculento eccidio era stato portato a compimento con forsennata ferocia e senza pietà alcuna verso una popolazione inerme, fiera del suo Re Borbone, fiera della sua dignità, fiera della sua libertà, fiera della sua storia ultrasecolare, fiera di essere italiana, fiera della sua religione.








di Gabriele Palladino tratto da "L'Eccidio di Pontelandolfo e Casalduni" di Antonio Ciano http://www.comune.pontelandolfo.bn.it/brigantaggio.htm




 
Conte Bianco di Saint Jorioz

Il Brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863

Non ha una grande stima dei napoletani.


"... Quelle turbe brigantesche però se fossero coordinate, disciplinate e guidate con senno militare ed intelligente energia, potrebbero diventare di qualche pensiero al nostro governo ed ai nostri capitani; imperocché hanno tutti i requisiti che mancano al soldato napoletano propriamente detto ..., cioè, sveltezza, attività, energia, sobrietà, robustezza, valore, ardimento ed intelligenza..."
 

Mizar

Alfaheimr
"...questo popolo in massa è almeno tre secoli indietro al nostro"

Nino Bixio, impressioni dalla Calabria
Ed aveva ragione :O

Baldassà, noi siamo d'accordo con te circa le questioni legate al "piemontismo" si destra (nun ce frega n'c**** e se parlate vi meniamo pure), sinistra storica (beccateve sti dazi), e giolittismo (noi ci industrializziamo, voi ..non lo so: datemi qualche prefetto!) ma ..dunque? Basta aprire un qualsiasi libro di storia delle medie.
Ciò detto, qual è il punto?
 
Voglio essere generoso e darti da riflettere prima di andare a lavoro. Noi agricoltori part-time aspiranti full, lavoriamo di buona lena il sabato e la domenica.

Conosci il maggior giacimento di gas metano dell'Europa continentale dove è ubicato? Conosci il maggior giacimento di bauxite italiano dove è ubicato?

Trovata la soluzione (smanetta su internet), dimmi perché nessuno di questi luoghi è diventato ricco?
 

Mizar

Alfaheimr
Ti facevo più intelligente. Se non l'hai capito e mi spari la cazzata del libro delle medie, vuol dire che non hai davvero mai letto n'.azzo.
Ma è vero infatti!:mrgreen:
Perché quella del libro delle medie sarebbe una ca***ta? Ti invito a controllare :sbav:
Ma se vuoi, posso citarti fonte e passaggio: vediamo chi ha ragione :mrgreen:


Conosci il maggior giacimento di gas metano dell'Europa continentale dove è ubicato? Conosci il maggior giacimento di bauxite italiano dove è ubicato?

Trovata la soluzione (smanetta su internet), dimmi perché nessuno di questi luoghi è diventato ricco?
A. Si, so a cosa ti riferisci
B. Sono anch'io del sud
C. Non è difficile capire il "perché"
D. La questione è: quanto è utile prodigarsi in Lamentationes?
 
Mizar! sarei felice e lieto di sbagliarmi, nonché avrai le mie scuse e una ritrattazione scritta, quando leggerò il testo delle scuole medie che mi riporta obiettivamente come sono andate le cose durante gli anni 1860 - 1870. Lo dico senza polemica, inviami una pagina di quel libro e ti sarò grato ad imperitura memoria.

Non è che tu abbia capito granché di quello che riporto, non c'è nessuna lamentazione, solo riscoprire una verità che ci è stata celata per 150 anni. Io sono vissuto di retorica risorgimentale, sono uno di quelli che ha adorato Cuore: la piccola vedetta lombarda, il tamburino sardo, il piccolo patriota padovano. Racconti che non ti nascondo mi hanno entusiasmato. Quando mio padre mi raccontava l'episodio di mio nonno sul ponte di Bassano, con il Re che gli sbatteva la mano sul petto e diceva: "Coraggio ragazzi". Poi scopro che noi meridionali venivamo usati come carne da macello. La metà dei morti della prima Guerra Mondiale è stata meridionale, eppure eravamo un terzo della popolazione. La mia famiglia ci ha lasciato due persone sulle montagne del Carso.
Io ho accettato l'emigrazione come qualcosa di ineluttabile, qualcosa che è insito nelle dinamiche di ogni popolo. Solo ora ho capito che ad emigrare sono i più poveri. La mia è una famiglia di emigranti, emigrante il mio trisnonno, emigrante il mio bisnonno, emigranti i miei nonni, emigrante mio padre, emigranti noi fratelli (altro tipo di emigrazione, ma sempre emigrazione è). Siamo quasi sempre tornati salvo il mio trisnonno e il mio bisnonno ed ora i miei fratelli.
Ripeto non sono lamentazioni, ma un appropriarsi della propria storia. Quella che ci è stata negata dai libri di storia delle medie, del liceo, dell'Università.

Dici di conoscere cosa è successo nel subappennio dauno, mi fa piacere, ma io abito a 10 km in linea d'aria da quei luoghi e fino a pochi anni fa non né sapevo nulla. Vedevo solo quei pozzi e mio padre mi diceva che c'era del gas.

Il tuo accusarmi di lamentazione, il tuo dire: è cosa risaputa. E' ciò che sosteneva Schopenauer: "la verità attraversa tre fasi: prima la si ridicolizza,
poi ci si oppone violentemente; infine, la si accetta come ovvia
".

Ti riporto un passo del libro di Aprile:


Se ne andarono anche dai paesi del Subappennino Dauno, quella parte del
foggiano dove il Tavoliere di Puglia comincia a ondularsi, per ergersi sino alle
asperità irpine. Vi parlo di una vicenda poco nota (in Italia, perché giornali nazionali e
tv di stato la ignorarono, mentre Reuters e BBC mandarono inviati speciali e troupe
per narrarla al mondo). E ve ne parlo, perché è uno degli episodi che meglio riassume
il rapporto fra economia del Nord (fatta con i soldi di tutti) e politica gregaria del Sud,
per opprimere i meridionali e privarli delle loro risorse.
E' una terra bellissima, il Subappenino Dauno: a est, i rilievi digradano al piano
con rotondità femminee, sensuali; a nord-est, nei giorni tersi, il Gargano si leva
azzurro-nuvola sul Tavoliere che sembra tornare a quel che era: una sterminata laguna
su cui galleggia una bassa foschia, figlia di millenni di umido; a sud-sud-ovest, già si
tocca il massiccio vulcanico del Vulture, montagna che pare aver partorito una civiltà
indipendente e altissima (da quelle pendici scendono grandi cervelli e grandi vini). I
resti dell'immensa foresta che ricopriva tutto spiegano perché Federico II veniva a
caccia qui e il suo studio sulla falconeria (innumerevoli rapaci vi volano sulla testa).
Qui hai isole linguistiche inaspettate: quel "dialetto" musicale, dolce, è franco-
provenzale, la lingua dei trovadori, della chanson des gentes.
Qui, negli anni Sessanta, si visse l'illusione che il miracolo economico fosse
possibile senza emigrare: era stato appena scoperto il più grande giacimento di gas
d'Italia, forse d'Europa: quaranta miliardi di metri cubi di metano. Per quell'area, bella
e depressa, può essere lavoro, aziende di trasformazione, istituti professionali, cultura
industriale e industrializzazione dell'agricoltura, con energia a basso costo. Dio ha
steso la sua mano sui poveri del Subappennino. Che accolgono con i fiori, manco alle
Hawaii, il rappresentante della Snia-Viscosa, ingegner Casini. Ma si capisce che
qualcosa non va, forse lo stato non la pensa come Dio. La gente di Candela, Ascoli
Satriano, Deliceto, Accadia, Castelluccio dei Sauri, Rocchetta Sant'Antonio comincia
una battaglia che durerà anni, coinvolgerà tutti, con forme di auto-organizzazione che
susciteranno la curiosità di osservatori stranieri, il disorientamento dei partiti, la
reazione dello stato. In trentamila, con i vecchi, i bimbi, donne e uomini marciano sul
capoluogo. Temono che il loro metano faccia la fine della bauxite del Gargano, che
semina scorie e disoccupati sul posto, lavoro e ricchezza a porto Marghera. Mario
Giorgio (La sconfitta del Subappennino Dauno) ha raccontato la vicenda giorno per
giorno, quasi. Vi dico come finisce: l'Eni fa quel che vuole, usa stato e partiti ascari a
Roma, politicanti indigeni sul posto; un suo funzionario locale avvia da lì la sua
carriera governativa; i dauni son piegati con promesse disattese, cooptazione di
qualche leader, richieste di centinaia di milioni, per "mancato guadagno", minacce,
brutali interventi di polizia: centinaia di denunciati, molti arresti, espatri negati agli
emigranti, "certificazione di procedimenti in corso" contro diplomati, che rischiano di
essere esclusi dai concorsi pubblici...

Il gas, Eni dixit, serviva all'industria del Nord. E lì andò. Dovettero andarsene pure
i dauni. Un'amnistia cancellò i "reati" della protesta di popolo nonviolenta. L'ordine e
la regola tornarono a regnare nel Subappennino: le risorse predate e condotte altrove,
la gente schiacciata e l'emigrazione quale sola via di sopravvivenza. Poi, il
telegramma: «At seguito interessamento onorevole Romita sottosegretario stato
Interni viene disposta data odierna assegnazione at prefetto Foggia contributo
straordinario lire venti milioni per attuazione interventi assistenziali, tramite Eca
competenti, a sollievo disoccupazione comuni interessati note vicende metanifere»:
non lavoro, ma disoccupazione con elemosina, così, domani, i ladri di metano
potranno urlare: «Basta lavorare noi, per quella gente lì!
».
 
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c è da qualche parte un bel saggio di Mario Sbriccoli sulla repressione del brigantaggio degli anni 1860 - 1870 subito dopo e a ridosso dell'unità e come reale fondamento di una legislazione e della stessa unificazione.
se ti interessa e non lo conosci o non lo trovi ..nel giro di qualche giorno vedo se riescoa rintracciarlo nella mia biblioteca
Se vuoi.
T.
 
Ti ringrazio. Grazie alla tua segnalazione ho cercato e trovato un piccolo testo di Sbriccoli sulla legislazione postunitaria.

In Basilicata scorre l'80% del petrolio italiano, oltre il 10% del fabbisogno nazionale, il più grande giacimento petrolifero dell’Europa continentale.
Le compagnie pagano localmente le royalties più basse del pianeta il 7%, contro il 50% di Paesi arabi.
Estraendo al ritmo attuale dai 47 pozzi aperti che
estraggono ogni giorno 92.900 barili gli idrocarburi presenti in questa regione si esauriranno nel 2022, lasciando
disoccupazione e inquinamento.
Facendo i dovuti conti è come se ciascuno dei 588.000
cittadini lucani versasse all’erario Italiano 4 milioni di euro l’anno senza che l’emoraggia migratoria finisca e Matera aspetta ancora una stazione ferroviaria.
 

skitty

Cat Member
Baldassarre, non scrivo mai qui perché non conosco a sufficienza gli argomenti, ma ti leggo sempre con grande interesse :)
 
..ed anche R.MARTUCCI,Emergenza e tutela dell'ordine pubblico nell'Italia liberale.Regime eccezionale e leggi per la repressione dei reati di brigantaggio (1861-1865),
Bologna 1980

e

Daniela Adorni, Il brigantaggio, in Storia d 'Italia, Annali 12,La criminalità,
Einaudi 1997,pp.283-319
 
In treno a Matera

Grazie Tavola.

Nell'altra Italia, Tav non ha lo stesso significato che ha in Val di Susa. Nell'altra Italia, quella in cui il famoso Cristo si era fermato nella famosa Eboli perché di binari per proseguire fino in Lucania non ce n'erano più, Tav si legge Tal, cioè Treno ad andamento lento. Ma così lento, che quando arriva a Baragiano, tra Salerno e Potenza, cippo chilometrico 140 e pendenza del 25 per cento, anche se è un Intercity, come il Roma-Taranto 35071 del 5 dicembre scorso, non ce la fa. E rimane lì, fermo in salita, fino a quando da Salerno o da Battipaglia non mandano una motrice a rimorchiare il convoglio e a trainarlo nella stazione di Potenza. Dove, a causa del ritardo «imprevisto» dovuto alla salita di Baragiano, ormai vissuta dai passeggeri di quella linea come le cime dello Stelvio scalate da Fausto Coppi, si lascia il treno e si sale sul pullman per proseguire la «corsa» fino a Taranto.
Ora, uno pensa che cose così siano eventi eccezionali. Invece no. Dice l'assessore regionale alle Infrastrutture della Basilicata, il verde Francesco Mollica, che lo stesso fatto, in quel punto, «si verifica non meno di quattro-cinque volte l’anno, come sanno bene Trenitalia e Rete ferroviaria italiana». Mollica ha anche minacciato di rivedere i contratti annuali di servizio con la Regione. Ma niente. E così, come un secolo fa, i lucani continuano a odiare treni e ferrovie. E non perché troppo veloci, ma perché troppo lenti, troppo pochi e pure vecchi e malandati. La Basilicata ha una rete ferroviaria di appena 356 chilometri per circa tremila passeggeri al giorno, che si traduce in un trionfo del trasporto su gomma rispetto a quello su ferro (95 contro 5 per cento) persino nel settore del trasporto pubblico. E che di fatto mantiene la regione in uno stato di isolamento come quando era «arretrata». Passasse di qui il corridoio transeuropeo Kiev-Lisbona «ci saliremmo subito», dice l'assessore Mollica, «a patto che non vi siano pericoli di amianto e ministri in conflitto d'interesse con le opere da realizzare, come sembra accada in Val di Susa». Per i lucani, il corridoio Kiev-Lisbona è la Luna. Loro, per andare da Matera a Salerno con il «sistema integrato» treno-pullman, ci mettono sette ore (Per un totale di 193 km, a piedi ci si mette meno).
Ecco perché da decenni invocano il «corridoio» Tirreno-Adriatico e sperano di essere ancora vivi il giorno in cui verranno appianate le pendenze, eliminati alcuni raggi di curvatura e aumentati gli standard di sicurezza, interventi che renderebbero i treni della linea Battipaglia-Potenza-Taranto più veloci. Non è un'esagerazione. Qui è dal 1906 che pregano affinché Matera, unico capoluogo d'Italia a esserne privo, venga toccata dalla grazia di una stazione delle Ferrovie dello Stato. Invece ecco che le radio, Rai compresa, trasmettono uno spot di Trenitalia per Natale, con il supereroe dei Fantastici 4, «La Cosa», che invita ad acquistare un biglietto in offerta speciale «per andare a trovare lo zio Pietro a Matera». «Sua sorella deve andare a trovare, sia chi ha pensato sia chi ha pagato lo spot». Lo dicevano, «fuori onda», gli stessi consiglieri regionali lucani che poi hanno scritto a Trenitalia, accusandola di aver confezionato «uno spot ingannevole e fuorviante, frutto di scarsa conoscenza della propria dotazione infrastrutturale». Ma per la stazione che non c’è un cantiere è stato aperto. Vent'anni fa. Solo che oggi, spesi seicento miliardi, s'è bloccato in una galleria. Hanno trovato, beati loro, un giacimento di gas naturale.(con quelle royalties da morti di fame?) E il treno s'è fermato un'altra volta. Un po' più giù di Eboli, però.

Carlo Vulpio
 
Per la lombarda Skitty

"Una delle ragioni dell'astio del Nord verso la Cassa per il Mezzogiorno è la
presunta pochezza dei risultati, a fronte dello sforzo (oddio...) del paese. Leggete con
me, da Le ragioni del Sud, di Domenico Ficarra: «Considerate le condizioni molto
depresse del Meridione, sotto tutti gli aspetti, il governo italiano cerca, con
sovvenzioni a fondo perduto, con prestiti di favore, con esenzioni tributarie e premi di
produzione e di esportazione, oltre che con divieti di importazione a tutela dalla
concorrenza straniera, di sollecitare le capacità produttive indigene (...).
L'amministrazione italiana invita anche imprenditori stranieri, maestri, tecnici e operai
a prendere dimora nel Meridione ma malgrado l'assistenzialismo, i risultati che
vengono conseguiti in quella regione sono molto modesti, sicuramente non
proporzionati all'impegno sopportato dal pubblico erario». E ora, perdonatemi perché
ho mentito: sempre di "Cassa" si tratta, ma per la Lombardia; per leggere il testo
esatto, sostituite "Meridione" con "Lombardia" e "italiano/a" con "austriaco/a". Non
stupitevi se a Vienna, dopo aver investito in terra lombarda, sino a nove volte quello
che si spendeva in altre regioni dell'impero, giunsero alla conclusione che
"quelli"
erano etnicamente inferiori.
"

Grazie Skitty per l'interessamento, è ovvio che io non penso che i lombardi sia etnicamente inferiori.
 
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