Lettera di Dante
Cara Beatrice,
mi sono perduto per una selva oscura.
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte, NO!
Non voglio andare all’inferno! Ti prego, adorabile Beatrice, lasciati addomesticare. La mia sofferenza altrimenti sarebbe si forte, che ne uscirebbe un poema.
Che cosa vuol dire addomesticare? Lasciami fare una digressione. No, sta tranquilla, niente reminescenze virgiliane. Questo è vissuto due millenni dopo, si chiamava Antoine De Saint-Exupéry, e di complicato aveva solo il nome. Quello che scriveva era chiaro e fresco e dolce come le acque del Petrarca. Leggi un po’…
In quel momento apparve la lonza.
"Buon giorno", disse la lonza.
"Buon giorno", rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
"Sono qui", disse la voce, "sotto al melo..."
"Chi sei?" domandò il piccolo principe, "sei molto carino..."
"Sono una lonza", disse la lonza.
"Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, “sono così triste..."
"Non posso giocare con te", disse la lonza, "non sono addomesticata".
"Ah! scusa", fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
"Che cosa vuol dire <addomesticare>?"
"Non sei di queste parti, tu", disse la lonza, "che cosa cerchi?"
"Cerco gli uomini", disse il piccolo principe.
"Che cosa vuol dire <addomesticare>?"
"È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire <creare dei legami>..."
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la lonza. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una lonza uguale a centomila lonze. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo".
"Comincio a capire" disse il piccolo principe. "C'è un fiore... credo che mi abbia addomesticato..."
"La mia vita è monotona.”, continuò la lonza, “Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano..."
La lonza tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
"Per favore... addomesticami", disse.
"Volentieri", disse il piccolo principe, "Che cosa bisogna fare?”
"Bisogna essere molto pazienti", rispose la lonza. "In principio tu ti sederai un pò lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino..."
Il piccolo principe ritornò l'indomani.
"Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la lonza.
"Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore...”
Così il piccolo principe addomesticò la lonza.
E quando l'ora della partenza fu vicina:
"Ah!" disse la lonza, "... piangerò".
"La colpa è tua", disse il piccolo principe, "io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi..."
"È vero", disse la lonza.
"Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"È certo", disse la lonza.
"Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la lonza, "il colore del grano".
Poi soggiunse:
"Và a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto".
Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.
"Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente", disse. "Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia lonza. Non era che una lonza uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo".
E le rose erano a disagio.
"Voi siete belle, ma siete vuote", disse ancora. "Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perché è lei che ho riparata col paravento. Perché su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa".
E ritornò dalla lonza.
"Addio", disse.
"Addio", disse la lonza. "Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli occhi", ripetè il piccolo principe, per ricordarselo.
"È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".
"È il tempo che ho perduto per la mia rosa..." sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa..."
"Io sono responsabile della mia rosa..." ripetè il piccolo principe per ricordarselo.
Mi piacerebbe, dolce Beatrice, che noi ci addomesticassimo. Mi piacerebbe essere un orso in primavera. “Allora, tu stai passeggiando da sola per i campi quando ad un tratto vedi arrivare nella tua direzione un orso adorabile dalla pelliccia vellutata e dagli occhi simpatici, che ti fa: 'senta signorina, non le andrebbe di rotolarsi un po' con me sull'erba?'. Tu e l'orsetto vi abbracciate e giocate a rotolare giù lungo il pendio tutto ricoperto di trifogli per ore e ore. Carino, no?” Mi piacerebbe ritrovare la dritta via, che ho perduto innamorandomi di te.
Assieme a te giungerei nel paradiso senza fare alcuna fatica.
Non lasciar che arrivi Virgilio, che poi mi porta in giro per due cantiche ed è davvero un inferno!
Ti aspetto.
Tuo Dante