Ondine
Logopedista nei sogni
E' la prima volta che mi capita di leggere un romanzo scritto a quattro mani, ed in particolare scritto da un uomo ed una donna.
La cosa mi ha inizialmente incuriosito e poi mi ha lentamente affascinato perché, oltre alla doppia lettura della storia, narrata a capitoli alternati prima da Giovanni e poi da Silvia, ho intravisto i tratti autobiografici dei due autori e questo mi è piaciuto molto.
Entrambi gli scrittori si trasferiscono dalla campagna alla città e tra loro si instaura un rapporto non solamente professionale ma anche sentimentale (da parte di Pavese soprattutto), inoltre la Garufi è anche una psicoanalista e questo romanzo è pieno di significati simbolici così come è pieno di elementi tipici dello scrivere pavesiano come il ritorno al paese, la ricerca di se stessi attraverso il ritorno alle origini, alla campagna che diventa così lo specchio delle emozioni dei due protagonisti, soprattutto del personaggio maschile.
C'è un continuo gioco speculare in questo romanzo: i due autori riversano sui loro personaggi elementi propri (la Garufi introduce temi psicoanalitici e Pavese descrive un rapporto amoroso squilibrato dove l'uomo insegue la donna sfuggente e poi c'è la nostalgia legata al ricordo del paese della propria infanzia con i suoi colori, i suoi profumi, i suoi rituali), una stessa scena viene raccontata due volte e in due modi diversi, lo specchio è quello dove si riflette la Silvia cittadina, dove si trucca, dove si maschera ma è anche quello che la costringe a tornare al passato perché dopo aver letto il telegramma deve ritornare al paese natio, lo specchio è quello dove si riflette Giovanni a Maratea, nella stanza di Silvia quando era bambina dove tutto le parla di lei, dove è costretto a guardare dentro se stesso e ai propri sentimenti perché dietro l'apparente calma fisica si nasconde l'inquietudine per la sofferenza d'amore.
Mi sembra che mano a mano il racconto, dal punto di vista della scrittura, diventi omogeneo, nel senso che i due autori si condizionano a vicenda, Pavese cerca di mantenere il distacco dal suo personaggio di cui inizialmente si conosce poco o nulla ma col tempo gli elementi autobiografici diventano più prepotenti, la Garufi invece è inizialmente molto presa dalla descrizione del suo personaggio di cui ci racconta molto per poi allargare il proprio orizzonte di scrittura descrivendo anche gli elementi naturali del paese.
Mi sembra che attraverso il romanzo Cesare e Bianca cerchino di capire il loro rapporto reale, come in una seduta analitica, e ad un certo punto la terapia si interrompe, non si sa perché, e il romanzo termina improvvisamente all'undicesimo capitolo e "Fuoco grande" viene definito un "romanzo incompiuto" ma a me così non è sembrato perché la storia termina proprio con lo svelamento di un segreto della vita passata di Silvia a Giovanni (che in realtà aveva capito già tutto ma non lo voleva vedere) e questo segreto spiega tante cose, il comportamento di Silvia, e permette a Giovanni una presa di coscienza di sé, per cui dal mio punto di vista tutto torna e tutto ha un suo senso.
E' un romanzo da leggere più con i sensi che con la testa perché tutta la storia rimane sospesa su una nuvola ed emergono fortemente i turbamenti dei protagonisti, le loro contraddizioni, la loro voglia di amore ma anche i loro egoismi.
L'ultimo capitolo è scritto da Giovanni e alla fine mi sembra che lui si risvegli da un sogno, è un finale che ho trovato molto poetico e per me è perfetto così, con le tante domande che lascia ancora aperte perché per me più importante della storia è come la storia viene raccontata e questa scrittura così simbolica e semplice nei suoi significati nascosti mi piace moltissimo e la ricerco.
La cosa mi ha inizialmente incuriosito e poi mi ha lentamente affascinato perché, oltre alla doppia lettura della storia, narrata a capitoli alternati prima da Giovanni e poi da Silvia, ho intravisto i tratti autobiografici dei due autori e questo mi è piaciuto molto.
Entrambi gli scrittori si trasferiscono dalla campagna alla città e tra loro si instaura un rapporto non solamente professionale ma anche sentimentale (da parte di Pavese soprattutto), inoltre la Garufi è anche una psicoanalista e questo romanzo è pieno di significati simbolici così come è pieno di elementi tipici dello scrivere pavesiano come il ritorno al paese, la ricerca di se stessi attraverso il ritorno alle origini, alla campagna che diventa così lo specchio delle emozioni dei due protagonisti, soprattutto del personaggio maschile.
C'è un continuo gioco speculare in questo romanzo: i due autori riversano sui loro personaggi elementi propri (la Garufi introduce temi psicoanalitici e Pavese descrive un rapporto amoroso squilibrato dove l'uomo insegue la donna sfuggente e poi c'è la nostalgia legata al ricordo del paese della propria infanzia con i suoi colori, i suoi profumi, i suoi rituali), una stessa scena viene raccontata due volte e in due modi diversi, lo specchio è quello dove si riflette la Silvia cittadina, dove si trucca, dove si maschera ma è anche quello che la costringe a tornare al passato perché dopo aver letto il telegramma deve ritornare al paese natio, lo specchio è quello dove si riflette Giovanni a Maratea, nella stanza di Silvia quando era bambina dove tutto le parla di lei, dove è costretto a guardare dentro se stesso e ai propri sentimenti perché dietro l'apparente calma fisica si nasconde l'inquietudine per la sofferenza d'amore.
Mi sembra che mano a mano il racconto, dal punto di vista della scrittura, diventi omogeneo, nel senso che i due autori si condizionano a vicenda, Pavese cerca di mantenere il distacco dal suo personaggio di cui inizialmente si conosce poco o nulla ma col tempo gli elementi autobiografici diventano più prepotenti, la Garufi invece è inizialmente molto presa dalla descrizione del suo personaggio di cui ci racconta molto per poi allargare il proprio orizzonte di scrittura descrivendo anche gli elementi naturali del paese.
Mi sembra che attraverso il romanzo Cesare e Bianca cerchino di capire il loro rapporto reale, come in una seduta analitica, e ad un certo punto la terapia si interrompe, non si sa perché, e il romanzo termina improvvisamente all'undicesimo capitolo e "Fuoco grande" viene definito un "romanzo incompiuto" ma a me così non è sembrato perché la storia termina proprio con lo svelamento di un segreto della vita passata di Silvia a Giovanni (che in realtà aveva capito già tutto ma non lo voleva vedere) e questo segreto spiega tante cose, il comportamento di Silvia, e permette a Giovanni una presa di coscienza di sé, per cui dal mio punto di vista tutto torna e tutto ha un suo senso.
E' un romanzo da leggere più con i sensi che con la testa perché tutta la storia rimane sospesa su una nuvola ed emergono fortemente i turbamenti dei protagonisti, le loro contraddizioni, la loro voglia di amore ma anche i loro egoismi.
L'ultimo capitolo è scritto da Giovanni e alla fine mi sembra che lui si risvegli da un sogno, è un finale che ho trovato molto poetico e per me è perfetto così, con le tante domande che lascia ancora aperte perché per me più importante della storia è come la storia viene raccontata e questa scrittura così simbolica e semplice nei suoi significati nascosti mi piace moltissimo e la ricerco.