Pamuk, Orhan - Le notti della peste

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Nell’aprile del 1901 un piroscafo si avvicina silenzioso all’isola di Mingher, «perla del Mediterraneo orientale». Dall’imbarcazione scendono due persone: il dottor Bonkowski – il maggior specialista di malattie infettive dell’Impero ottomano – e il suo assistente. Bonkowski è lí per conto del sultano: deve indagare su un nemico invisibile ma mortale, che rischia di mettere in ginocchio un Impero già da molti definito il «grande malato d’Europa» e innescare cosí una reazione a catena nei delicatissimi equilibri continentali. Sull’isola di Mingher, si dice, c’è la peste. Il morbo viene rapidamente confermato, ma imporre le corrette misure sanitarie rappresenta la vera sfida, soprattutto quando le esigenze della scienza e della medicina piú nuova si scontrano con le credenze religiose. In quest’isola multiculturale dove musulmani e cristiani ortodossi cercano di convivere pacificamente, la malattia funge da acceleratore delle tensioni sociali e non solo: poco dopo aver parlato con il governatore e chiesto che venga imposta la quarantena, il corpo del dottor Bonkowski viene trovato senza vita in un vicolo.
In un drammatico crescendo la peste dilaga, spingendo le autorità a rafforzare le misure di contenimento: queste però aumentano le frizioni tra le varie identità dell’isola (e dell’Impero), tra chi le asseconda e chi nega l’esistenza stessa della malattia, o l’efficacia della quarantena, gettando la comunità nelle tenebre di una notte non soltanto sanitaria.
Le notti della peste è un’opera-mondo grandiosa, universale, attraversata da echi di Tolstoj, di Manzoni, del Conrad di Nostromo, di Camus. Romanzo storico e allegorico (tra le righe si legge la deriva di ogni nazionalismo verso l’autocrazia dell’uomo forte), brulicante di personaggi e di storie, di guerre, amori e immortali tensioni etiche. In cui il particolare – le esistenze dei singoli individui travolti dalla Storia – si apre all’universale – il rapporto tra paura e potere, tra vita e destini generali, tra fede e ragione, tra modernità e tradizione.

La quarta di copertina sintetizza abbastanza bene le linee fondamentali di questo imponente romanzo storico, perciò io cercherò di dirvi altro. Potrei dirvi, per esempio, che naturalmente leggendo il titolo mi sono immediatamente venuti in mente Camus e Manzoni, ma poi, durante la lettura li ho accantonati: Pamuk non è stupido, sa bene che parlando di peste il rischio del paragone illustre è dietro l'angolo, perciò trova il modo, neanche troppo velatamente, di differenziarsi. Per questo ed altri motivi, Le notti della peste è un'epopea che, pur raccontando una storia ambientata centoventi anni fa, richiama fortemente l'attualità e le vicende storico-politiche e sociali di cui siamo tutti testimoni. E così mentre leggiamo del Sultano apprensivo e tiranno che ama i gialli di Sherlock Holmes il pensiero ci vola ai tanti capi di Stato moderni e alle loro scelte guerrafondaie e sconsiderate; così leggendo di quarantene, isolamenti, gente che non li rispetta e morti a non finire non possiamo non pensare a quanto tutti noi abbiamo vissuto fino a poco tempo fa e il silenzio dell'isola di Mingher ci riporta a silenzi a noi altrettanto prossimi. Ed ancora, Pamuk in quest'opera ci lascia un messaggio implicito, ma fortissimo: egli ci mostra, in maniera incontestabile, a cosa può portare il pregiudizio e quali possono essere le conseguenze di ideologie e convinzioni estremizzate… conseguenze nefaste per tutti, non solo per chi attua comportamenti sbagliati. Leggere questo libro non è facile, è molto lungo, pieno di dettagli e spesso stancante, ma credo che sia un'ottima occasione per riportare alla mente certi messaggi che sembrano così difficili da introiettare e, da ultimo, per scoprire o rileggere un autore da Nobel, una voce impegnata, controversa, originale, unica con i suoi pregi e i suoi difetti, ma sempre e comunque importante nella letteratura mondiale moderna.
 
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