Paris, Renzo - Miss Rosselli

Ondine

Logopedista nei sogni
La vita quotidiana di Amelia era quella di una donna sola che si alzava al mattino presto con le occhiaie, faceva colazione, preferibilmente con un tè, usciva per comperare soprattutto verdure al vicino mercatino, passava il pomeriggio nell’attesa di una telefonata amica per la sera. Rincasava tardi. Scriveva per lo più nelle ore notturne, dormendo poco. Le giornate si ripetevano identiche a quelle di altre donne sole. Le eccezioni erano i farmaci e gli elettroshock in cliniche misteriose per i suoi amici. Ma lei era una poetessa. Aveva un’intensa vita interiore che a poco a poco si sostituì a quella reale, facendola a pezzi. Ecco perché non si può raccontare la sua vita esteriore.
Questa di Renzo Paris non è una biografia di Amelia Rosselli, è piuttosto una rievocazione della sua persona e, al tempo stesso, il tentativo di allontanare la sua ombra, da cui era ossessionato. Erano amici amorosi, Renzo e Amelia, nel senso che tra di loro c'era un'attrazione che non si concretizzò mai in un contatto fisico. Amelia era una donna a volte aggressiva, a volte gioiosa, con una risata brutale anche verso se stessa. Amelia aveva sette anni quando il padre fu accoltellato in Francia dai fascisti, che venivano chiamati cagoulards, e quando ha appreso la notizia la tragicità ha invaso il suo corpo e non l'ha più abbandonata. Si spostò da Londra a New York a causa della persecuzione nazista ma a New York, all'uscita da scuola, si sentiva ripetere di tornarsene a casa perché era ebrea, da lì cominciò a sentire le voci, schizofrenia fu la diagnosi anche se lei, per addolcire la cosa, la definiva morbo di Parkinson. Prima di diventare una poetessa Amelia voleva diventare una musicista e Rocco Scotellaro, poeta che conobbe quando lei arrivò a Roma negli anni cinquanta e con cui ebbe un rapporto sentimentale, la introdusse alla etnomusica ma poi anche Rocco morì e con lui morì anche il tentativo per la poetessa di creare un qualcosa che somigliasse alla sua famiglia d'origine. Rocco le ricordava il padre perché aveva vissuto l'esperienza del carcere per le sue ideologie politiche e lo costringeva a chiamarla Marion, il nome della madre di Amelia, da cui Amelia si era sempre sentita indesiderata.
Un ricordo di questa poetessa dalla voce roca che mi ha affascinato e commosso. Conoscevo Amelia per aver letto alcune sue poesie, e dopo aver letto questo memoriale ed essermi inoltrata nella sua quotidianità, nella sua semplice casa, nel suo mondo interiore, me ne sono innamorata. Non era infrequente che quando ordinava tè con Renzo nel baretto di piazza Argentina le cadesse di mano la tazzina quando era in preda delle sue visioni, lei rideva di se stessa. Voleva essere parte della classe operaia e scrollarsi di dosso l'origine borghese. E' stata una lettura che ha toccato in profondità alcune mie corde, difficile ma appassionante.
 
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