«Tutto splende, esulta e muore. È in un paese con un sole così che vorrei vivere. Ma io non posso sognarlo. Qui non siamo nel paese del sole. Siamo in un paese di paludi, piovischio e foschia. Non posso farci niente, nemmeno se mi mettessi a sognare con forza. Nemmeno se mi mettessi a sognare con tutte le mie forze. E io non posso sognare.»
Non si può crescere in un paese di paludi, di piogge, di nebbie, di terre livide dove tutto muore, senza rimanerne segnati per sempre: di più, senza assomigliare a quel paesaggio inamabile. Né vivere in una casa fatiscente, sperduta fra boschi, malerbe e acque solitarie, dove anche l’amore è intollerabile violenza, senza desiderare che il mondo intero esploda «in una girandola di sangue». Nera come una zingara, taciturna come uno strano fiore selvatico, traboccante di rancore e di disprezzo per se stessa, Galla vorrebbe solo andarsene via, lontano dai troppi lutti, dal peso delle innumerevoli sorelle, da un padre abbrutito dal lavoro, dalla madre che ama troppo per sopportarne la dolente presenza. Ma l’unica possibilità di fuga, oltre ai sogni, è la vecchia e fragile bicicletta dal lamento di salamandra morente, e l’unica meta la scuola dov’è interna, a trentacinque chilometri, in città. Un tragitto che separa due vite e due mondi inconciliabili – la pietraia che non dà frutti e le terre miracolate dalla fertilità –, e che un sabato Galla decide di percorrere per rivedere la madre: sarà un giorno di vacanza sinistro e fatale, dove tutto precipiterà, rivelandole il senso di ogni cosa. Perché il malevolo, straziante paese da cui proveniamo – sembra dirci Inès Cagnati con la sua prosa di insolente intensità – è la carne stessa di cui siamo fatti, e possiamo, se non sbarazzarcene, almeno intravedere nel ricordo le meraviglie di cui era fiorito.
Adelphi prosegue l'encomiabile lavoro di traduzione e pubblicazione delle opere della romanziera francese Ines Cagnati. Dopo "Génie la matta" uscito nel 2022, infatti, è stato da poco pubblicato "Giorno di vacanza". Pur essendo tra loro diverse, le due opere hanno vari punti in comune: in primis le protagoniste sono entrambe di giovane età (Genie è una bambina mentre Galla è una quattordicenne), abituate a cavarsela da sole per via dell'assenza – più affettiva che fisica – dei genitori; in secondo luogo, dalle pagine emana una tristezza invincibile ed un'ineluttabilità soverchiante. In "Giorno di vacanza" la desolazione, il grigiore della pietraia, il senso di attesa di Galla che anela il ritorno a casa per parlare soprattutto con la madre e vedere la sorellina di tre anni, il lamento della bicicletta, unica proprietà della ragazza, il cane che l'accoglie ed accudisce, lo stato di abbandono della casa… tutto concorre a creare nel lettore uno stato di prostrazione, quasi d'ansia per ciò che potrebbe accadere che si trasforma in angoscia nel finale. Un titolo come questo risulta perciò quasi beffardo: il "giorno di vacanza" sarà in realtà il giorno della resa dei conti, l'anticamera di un inevitabile disastro annunciato. Non v'è nulla di gioioso in questa storia, non v'è speranza né redenzione. Tutto è grigiore, abbandono e perdita. Eppure, per la bravura della Cagnati e per la sua capacità di costringerci ad entrare in contatto anche con quelle storie che forse eviteremmo di conoscere, questo libro è da leggere. Perché una tristezza più grande e profonda, ci conduca a riflettere e magari ad accettare la nostra, per quanto nera e fredda ci paia la notte del cuore.
Non si può crescere in un paese di paludi, di piogge, di nebbie, di terre livide dove tutto muore, senza rimanerne segnati per sempre: di più, senza assomigliare a quel paesaggio inamabile. Né vivere in una casa fatiscente, sperduta fra boschi, malerbe e acque solitarie, dove anche l’amore è intollerabile violenza, senza desiderare che il mondo intero esploda «in una girandola di sangue». Nera come una zingara, taciturna come uno strano fiore selvatico, traboccante di rancore e di disprezzo per se stessa, Galla vorrebbe solo andarsene via, lontano dai troppi lutti, dal peso delle innumerevoli sorelle, da un padre abbrutito dal lavoro, dalla madre che ama troppo per sopportarne la dolente presenza. Ma l’unica possibilità di fuga, oltre ai sogni, è la vecchia e fragile bicicletta dal lamento di salamandra morente, e l’unica meta la scuola dov’è interna, a trentacinque chilometri, in città. Un tragitto che separa due vite e due mondi inconciliabili – la pietraia che non dà frutti e le terre miracolate dalla fertilità –, e che un sabato Galla decide di percorrere per rivedere la madre: sarà un giorno di vacanza sinistro e fatale, dove tutto precipiterà, rivelandole il senso di ogni cosa. Perché il malevolo, straziante paese da cui proveniamo – sembra dirci Inès Cagnati con la sua prosa di insolente intensità – è la carne stessa di cui siamo fatti, e possiamo, se non sbarazzarcene, almeno intravedere nel ricordo le meraviglie di cui era fiorito.
Adelphi prosegue l'encomiabile lavoro di traduzione e pubblicazione delle opere della romanziera francese Ines Cagnati. Dopo "Génie la matta" uscito nel 2022, infatti, è stato da poco pubblicato "Giorno di vacanza". Pur essendo tra loro diverse, le due opere hanno vari punti in comune: in primis le protagoniste sono entrambe di giovane età (Genie è una bambina mentre Galla è una quattordicenne), abituate a cavarsela da sole per via dell'assenza – più affettiva che fisica – dei genitori; in secondo luogo, dalle pagine emana una tristezza invincibile ed un'ineluttabilità soverchiante. In "Giorno di vacanza" la desolazione, il grigiore della pietraia, il senso di attesa di Galla che anela il ritorno a casa per parlare soprattutto con la madre e vedere la sorellina di tre anni, il lamento della bicicletta, unica proprietà della ragazza, il cane che l'accoglie ed accudisce, lo stato di abbandono della casa… tutto concorre a creare nel lettore uno stato di prostrazione, quasi d'ansia per ciò che potrebbe accadere che si trasforma in angoscia nel finale. Un titolo come questo risulta perciò quasi beffardo: il "giorno di vacanza" sarà in realtà il giorno della resa dei conti, l'anticamera di un inevitabile disastro annunciato. Non v'è nulla di gioioso in questa storia, non v'è speranza né redenzione. Tutto è grigiore, abbandono e perdita. Eppure, per la bravura della Cagnati e per la sua capacità di costringerci ad entrare in contatto anche con quelle storie che forse eviteremmo di conoscere, questo libro è da leggere. Perché una tristezza più grande e profonda, ci conduca a riflettere e magari ad accettare la nostra, per quanto nera e fredda ci paia la notte del cuore.