Jessamine
Well-known member
TRAMA:
Esilarante e stranamente tenero, l’esperimento di “ibernazione” narcotica di una giovane donna, aiutata e incoraggiata da una delle peggiori psichiatre della storia. New York, all’alba del nuovo millennio. La protagonista gode di molti privilegi, almeno in apparenza. È giovane, magra, carina, da poco laureata alla Columbia e vive, grazie a un’eredità, in un appartamento nell’Upper East Side di Manhattan. Ma c’è qualcosa che le manca, c’è un vuoto nella sua vita che non è semplicemente legato alla prematura perdita dei genitori o al modo in cui la tratta il fidanzato che lavora a Wall Street. Afflitta, decide di lasciare il lavoro in una galleria d’arte e di imbottirsi di farmaci per riposare il più possibile. Si convince che la soluzione sia dormire un anno di fila per non provare alcun sentimento e forse guarire. Tra flashback di film anni ’80 – Mickey Rourke in 9 settimane e ½ e Whoopi Goldberg –, dialoghi surreali e spassosi, descrizioni di una New York patetica e scintillante, il libro ci spinge a chiederci se davvero si può sfuggire al dolore, mettendo a nudo il lato più oscuro e incomprensibile dell’umanità.
COMMENTO:
Sono molto combattuta nel provare a dare un'opinione su questo libro.
Ne ho sentito parlare, l'ho comprato e l'ho letto, il tutto nel giro di una settimana (quando di solito la maggior parte dei libri stazionano nella mia wishlist per mesi, anche quelli di autori che conosco e apprezzo già).
Non so cosa mi abbia attirato di questo libro, né cosa mi abbia spinto a leggerlo tenendo un ritmo per i miei standard piuttosto sostenuto: probabilmente una certa aria di familiarità con la protagonista. Che, intendiamoci, ho visceralmente detestato. Ma ho compreso meglio di quanto vorrei ammettere: ho detestato la sua inezia anche davanti a un mondo fatto di privilegi, ma ho sentito ogni suo sentimento di autodistruzione. L'ho biasimata per ogni pensiero meschino nei confronti dell'unica amica che provi a starle vicina, ma ho vissuto la sua stessa repulsione, in passato. Ho odiato la sua incapacità di riconoscere l'origine di un dolore che non vuole nemmeno definire tale, ho odiato quel suo annichilimento anestetizzato (qui portato all'estremo, ma iniziato ben prima della sua avventrura condita da sonniferi), ma ho riconosciuto ogni cosa.
E, giunta ad un certo punto, succede qualcosa: dopo quelle che sembrano infinite pagine di nulla, dopo il ripetersi di gesti meccanici e confusi, un disegno comincia a emergere chiaramente. La protagonista resta insopportabile, ma la pena che ho provato per lei è infinita.
Leggere questo libro e risucire a provare pietà e tenerezza per questa protagonista è stato un po' come perdonarmi, ecco.
E questa non è una recensione, ma mi perdono anche questo.
Esilarante e stranamente tenero, l’esperimento di “ibernazione” narcotica di una giovane donna, aiutata e incoraggiata da una delle peggiori psichiatre della storia. New York, all’alba del nuovo millennio. La protagonista gode di molti privilegi, almeno in apparenza. È giovane, magra, carina, da poco laureata alla Columbia e vive, grazie a un’eredità, in un appartamento nell’Upper East Side di Manhattan. Ma c’è qualcosa che le manca, c’è un vuoto nella sua vita che non è semplicemente legato alla prematura perdita dei genitori o al modo in cui la tratta il fidanzato che lavora a Wall Street. Afflitta, decide di lasciare il lavoro in una galleria d’arte e di imbottirsi di farmaci per riposare il più possibile. Si convince che la soluzione sia dormire un anno di fila per non provare alcun sentimento e forse guarire. Tra flashback di film anni ’80 – Mickey Rourke in 9 settimane e ½ e Whoopi Goldberg –, dialoghi surreali e spassosi, descrizioni di una New York patetica e scintillante, il libro ci spinge a chiederci se davvero si può sfuggire al dolore, mettendo a nudo il lato più oscuro e incomprensibile dell’umanità.
COMMENTO:
Sono molto combattuta nel provare a dare un'opinione su questo libro.
Ne ho sentito parlare, l'ho comprato e l'ho letto, il tutto nel giro di una settimana (quando di solito la maggior parte dei libri stazionano nella mia wishlist per mesi, anche quelli di autori che conosco e apprezzo già).
Non so cosa mi abbia attirato di questo libro, né cosa mi abbia spinto a leggerlo tenendo un ritmo per i miei standard piuttosto sostenuto: probabilmente una certa aria di familiarità con la protagonista. Che, intendiamoci, ho visceralmente detestato. Ma ho compreso meglio di quanto vorrei ammettere: ho detestato la sua inezia anche davanti a un mondo fatto di privilegi, ma ho sentito ogni suo sentimento di autodistruzione. L'ho biasimata per ogni pensiero meschino nei confronti dell'unica amica che provi a starle vicina, ma ho vissuto la sua stessa repulsione, in passato. Ho odiato la sua incapacità di riconoscere l'origine di un dolore che non vuole nemmeno definire tale, ho odiato quel suo annichilimento anestetizzato (qui portato all'estremo, ma iniziato ben prima della sua avventrura condita da sonniferi), ma ho riconosciuto ogni cosa.
E, giunta ad un certo punto, succede qualcosa: dopo quelle che sembrano infinite pagine di nulla, dopo il ripetersi di gesti meccanici e confusi, un disegno comincia a emergere chiaramente. La protagonista resta insopportabile, ma la pena che ho provato per lei è infinita.
Leggere questo libro e risucire a provare pietà e tenerezza per questa protagonista è stato un po' come perdonarmi, ecco.
E questa non è una recensione, ma mi perdono anche questo.