Evaristo, Bernardine - Radici bionde

Jessamine

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TRAMA:
Con un rivoluzionario atto di fantasia, Bernardine Evaristo immagina un mondo in cui la tratta atlantica degli schiavi viene ribaltata lungo la linea del colore: sono i neri (anzi, i nehri) ad aver fondato un impero coloniale a partire dal Regno Unito di Grande Ambossa, e i bianchi (anzi, i bianki) a essere razziati dall’Europa e trasportati come schiavi al di là del mare, nelle Isole del Giappone Occidentale. La vicenda che seguiamo è quella di Doris, strappata da bambina alle campagne feudali inglesi e venduta ai ricchissimi proprietari di una piantagione, che da adulta sceglie finalmente di inseguire (grazie anche a una ferrovia sotterranea…) la libertà.

Pubblicato originariamente nel 2008, candidato all’Orange Prize per la letteratura femminile e all’Arthur C. Clarke Award per la fantascienza, animato da una fervida potenza immaginativa che non serve a far evadere il lettore dalla realtà, ma a mostrargliela in maniera nuova e dirompente, questo originalissimo romanzo d’avventura è oggi più attuale che mai.

COMMENTO:
Sono molto in difficoltà nel cercare di mettere in ordine le mie riflessioni su questo libro. Il mio problema principale credo sia il modo in cui ne ho fruito: l'ho ascoltato in audiolibro, e per quanto io sia una fervida sostenitrice del fatto che letture "ascoltate" raggiungano lo stesso scopo e abbiano lo stesso valore di quelle "lette" (mi sembra assurdo anche doverlo specificare, ma vista l'indignazione di chi vorrebbe bandire gli audiolibri da goodreads perché "così barate nella sfida" temo che la precisione sia necessaria), è indubbio che per come io utilizzo gli audiolibri una piccola differenza ci sia. Gli audiolibri io li ascolto solamente quando sono alla guida, e dunque la mia concentrazione, per forza di cose, è un po' altalenante, ed è comunque focalizzata in prima istanza su quello che succede attorno a me. Per questo mi sono resa conto che ciò che per me funziona meglio, quando si tratta di audiolibri, sono quei libri che si focalizzano soprattutto e principalmente sulla trama, lasciando poco spazio a riflessioni stilistiche e strutturali. E infatti ho apprezzato soprattutto la seconda parte di questo libro, quando la trama accelera e si fa più pressante.
Ecco, credo che il punto di forza di "Radici bionde" non sia la trama, ma tutta quell'attenzione al sistematico ribaltamento di così tanti dettagli che anche solo la lettura tradotta (per quanto la traduzione sia davvero ottima, per il poco che posso capirne e per i raffronti fatti con alcuni brani in inglese letti nelle recensioni straniere) un po' fa perdere. Figuriamoci se poi il libro viene letto in circostanze di attenzione un po' calante, con pensieri che a volte si insinuano e senza la possibilità di rileggere o di fermarsi a riflettere quando necessario.
Il punto attorno a cui tutto ruota è una domanda interessantissima, che forse non è stata sfruttata in tutte le sue potenzialità: cosa sarebbe successo se la tratta degli schiavi si fosse mossa su una direttiva diversa, vedendo gli africani razziare l'Europa per rapire schiavi da sfruttare nelle piantagioni dell'Asia? Ovviamente, la risposta è quella che si può facilmente immaginare: non sarebbe cambiato nulla. È interessante vedere come questo ribaltamento mostri in modo tanto semplice e diretto quanto assurde fossero le convinzioni degli schiavisti, ma tutto si esaurisce un po' qui. Non so cosa mi sarei aspettata, ma forse avrei voluto che questo "gioco narrativo" avesse una portata più ampia.
Mi rendo anche conto che probabilmente lo scopo dell'autrice non fosse questo, e forse va bene così: pur essendo il suo un romanzo piuttosto crudo, esplicito davanti all'insensata violenza e alla sofferenza degli schiavi, c'è una certa ironia di fondo che probabilmente fa il paio con le intenzioni del romanzo. Forse, mi viene da pensare, questo romanzo è davvero un gioco fantastico, un bellissimo esercizio di fantasia che sì, coinvolge temi delicati e difficili, e lo fa con cognizione di causa, ma non vuole andare oltre. E credo sia una posizione del tutto legittima. La struttura stessa del romanzo mi fa pensare che questo intento stia davvero alla base di tutto: non c'è una struttura lineare, ci sono salti temporali, ci sono sezioni dedicate a decaloghi, a brani tratti da manuali schiavisti, c'è un ondeggiare di fantasia che avvolge tutto.
Insomma, faccio fatica a farmi un'idea precisa di questo romanzo. Ci sono cose che non ho apprezzato, ma credo che si tratti più che altro di aspettative mancate. Aspettative che però mi sono costruita io, che non per forza la Evaristo avrebbe dovuto rispettare.
Insomma, sono confusa, ma al tempo stesso mi rendo conto che era da tanto tempo che un romanzo non mi dava così tanto da pensare: credo che non lo dimenticherò in fretta e che le mie riflessioni non si esauriranno qui, e questo per me è già un successo.
 

MonicaSo

Well-known member
Un'idea molto originale: parlare del razzismo invertendo le parti. I bianchi sono schiavizzati dai neri ma niente cambia nei rapporti tra dominato e dominatore.
Che effetto fa? Bah, sinceramente non mi ha dato modo di riflettere "maggiormente" sul tema, che conosco e sul quale ho letto tante storie e visto film ecc... quindi semplicemente un "bel" modo, diverso dal solito, di raccontare il razzismo.
Forse, sapendo che tutto è frutto di fantasia, non so se si possa definire distopia, l'ho trovato meno crudele del Radici originale... e la Evaristo ha saputo anche raccontare, in certi momenti, con leggerezza (o è stata una mia impressione, pensando al tutto come a una favola?).
è comunque una storia da leggere, la consiglio
 

qweedy

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Letto! Ho apprezzato molto l'originalità di aver ribaltato la prospettiva della storia, credo sia questo il pregio maggiore di questo romanzo.
Ad essere vittime della tratta degli schiavi sono i bianki, mentre i nehri hanno fondato l’impero coloniale di Grande Ambossa a partire dal Regno Unito. La protagonista è Doris, donna di origini inglesi strappata alla sua famiglia e alla sua patria in giovane età, ridotta in schiavitù dai nehri. Dopo un’adolescenza e una prima età adulta vissuta all’insegna di una rassegnazione quasi completa, Doris deciderà di riconquistare finalmente la libertà tanto desiderata. Originale anche l'alterazione del linguaggio e la creazione di nuove parole.

Però questo romanzo non mi ha convinto completamente: l'uso della satira grottesca rende difficile affezionarsi ai protagonisti, anche alla stessa Doris. Non mi ha coinvolta nè emozionata, il lettore rimane spettatore esterno di questa denuncia sociale della schiavitù.
Forse per il tema della schiavitù, come per altri temi dolorosi, preferisco il registro drammatico a quello ironico/sarcastico.
 
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