Mi sono imbattuta in questo autore per caso: ho partecipato ad una rassegna di letture nella biblioteca del mio paese e in uno degli incontri è stato letto il primo racconto di questo libro, dal titolo “L’avvelenatrice”. Mi ha colpito moltissimo, complice anche la “lettrice-attrice” che lo ha interpretato più che letto, gioco forza ho deciso di leggerlo.
Devo dire che non sono rimasta delusa, anzi, la lettura mi è piaciuta molto e mi ha fatto venire voglia di scoprire maggiormente l’autore, leggendo qualcos’altro della sua produzione.
Questo libro in particolare è una raccolta di quattro racconti ben confezionati, mi verrebbe da definirli “bignami di romanzi”, perché racchiudono nella forma compressa del racconto l’universo di un intero romanzo: i protagonisti, infatti, evolvono nelle poche pagine a loro concesse in modo completo e verosimile, spesso invertendosi nei ruoli.
In ogni racconto compare santa Rita: citazione che rimarrebbe abbastanza misteriosa se alla fine del libro non ci fosse una sezione in cui Schmitt stesso spiega l’origine dei suoi racconti in una sorta di note e appunti in forma di diario.
Quest’ultima parte mi è sembrata la ciliegina sulla torta, perché l’autore vi si svela in modo molto trasparente, sembra quasi di conoscerlo, e mi sembra un tizio che mi piacerebbe incontrare.
Ah, giusto: santa Rita è la santa delle cause perse (e anche delle cose perse). In questi racconti, che sono stati premiati con il Premio Goncourt 2010, ci sta tutta.
Devo dire che non sono rimasta delusa, anzi, la lettura mi è piaciuta molto e mi ha fatto venire voglia di scoprire maggiormente l’autore, leggendo qualcos’altro della sua produzione.
Questo libro in particolare è una raccolta di quattro racconti ben confezionati, mi verrebbe da definirli “bignami di romanzi”, perché racchiudono nella forma compressa del racconto l’universo di un intero romanzo: i protagonisti, infatti, evolvono nelle poche pagine a loro concesse in modo completo e verosimile, spesso invertendosi nei ruoli.
In ogni racconto compare santa Rita: citazione che rimarrebbe abbastanza misteriosa se alla fine del libro non ci fosse una sezione in cui Schmitt stesso spiega l’origine dei suoi racconti in una sorta di note e appunti in forma di diario.
Quest’ultima parte mi è sembrata la ciliegina sulla torta, perché l’autore vi si svela in modo molto trasparente, sembra quasi di conoscerlo, e mi sembra un tizio che mi piacerebbe incontrare.
Ah, giusto: santa Rita è la santa delle cause perse (e anche delle cose perse). In questi racconti, che sono stati premiati con il Premio Goncourt 2010, ci sta tutta.