Nori, Paolo - Chiudo la porta e urlo

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Libro incluso nella cinquina finalista del Premio Strega 2025

Presentato da Giuseppe Antonelli nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica al Premio Strega 2025

Raffaello Baldini è un poeta grandissimo eppure pochi sanno chi è, e di quei pochi pochissimi ne hanno riconosciuto la voce.

Perché scrive nel bel dialetto di Sant'Arcangelo di Romagna? Ma no. Paolo Nori ci rammenta che è poeta enorme anche nel bell'italiano con cui il poeta ha sempre tradotto a pie' di pagina i suoi versi. E quante storie si trascinano appresso quei versi, quante immagini suscitano, quanti personaggi, quanto universo c'è in quel mondo apparentemente piccolo. Come sua consuetudine, Paolo Nori attraversa l'avventura poetica di Baldini quasi come non ci fosse altro intorno, di sé facendo il filtro di una bellezza che viene su come da un fontanile e fa paura, perché ci lascia straniti. Ecco che - non diversamente da quanto è accaduto con Dostoevskji e Achmatova - l'immaginazione di Baldini si scioglie dentro quella di Nori, fatta com'è di caratteri e di accadimenti apparentemente minimi: i morti che "non dicono niente e sanno tutto", gli uomini che invece di calarsi gli anni se li crescono, lo stare lì di una donna davanti alla circonvallazione per guardare "che passa il mondo". Fra spinte e controspinte, fra il "cominciamo pure" e il "continuiamo pure" che ricorrono a battere il ritmo, impariamo che, sempre più, la scrittura di Nori è la messa a fuoco progressiva di un carattere, il suo: il suo essere "coglione", il suo essere "bastiancontrario", il suo essere "matto come un russo", il suo essere innamorato di un poeta come Raffaello Baldini, il suo magone davanti alla casa dei Nori come fosse una scatola di bottoni, il suo stare a vedere la vita come va avanti a ogni svolto imprevisto dello stare al mondo.

Proposto da Giuseppe Antonelli al Premio Strega 2025 con la seguente motivazione:
«“Io, quella lì era una storia”. In Chiudo la porta e urlo di Paolo Nori la vita diventa letteratura, la poesia diventa racconto. Il gioco di specchi tra le poesie di Raffaello Baldini e l’autobiografia di uno scrittore sessantenne si frantuma in acuminate schegge narrative. Frammenti di un racconto umoroso – curioso, pensoso, a tratti furioso – sul senso della vita e della letteratura. Tasselli di un mosaico sghembo il cui disegno complessivo s’intuisce solo visto da lontano, dalla distanza dei ricordi. “Io mi ricordo tutto”. E dunque memoriale degli affetti e delle letture: amarcord sempre in bilico tra italiano e dialetto. La doppia anima delle poesie di Baldini – scritte nel suo dialetto di Sant’Arcangelo di Romagna e da lui stesso tradotte in italiano – riflessa in una lingua che del dialetto trattiene l’intimo ritmo, le cadenze interiori. Esito di una lunga ricerca e di una lenta conquista, come ricorda Nori: “una lingua che non era una lingua neutra e non era una lingua scritta da uno che ci teneva si vedesse che aveva dato sette esami di filologia, era una lingua che aveva molto a che fare con l’italiano che si parlava a Parma”. Una ricerca filologica, nondimeno, che passa attraverso i testi e i documenti di Baldini conservati negli archivi e scava al tempo stesso nel proprio vissuto. Tutt’uno con la ricerca esistenziale di un senso (“ho passato gli anni a chiedermi Quand’è che si vive?”), a volte ritrovato in una manciata di versi. Nella capacità della poesia di Baldini di cogliere quei momenti – impalpabili e sorprendenti – in cui “succede una cosa semplicissima e meravigliosa: si vive”. Il risultato è un romanzo così allegro e disperato che non sembra neanche un romanzo. Un atto di fede nella letteratura che ci fa ridere, pensare, sognare, commuovere: vera benedizione che ci fa sopportare tutto il male detto del mondo.»

COMMENTO

Più che un romanzo, questo libro a me sembra un monologo teatrale, un monologo di Nori uomo e scrittore su di sé e su Baldini poeta, anzi pare che Nori prenda a pretesto il parlare di Baldini per parlare di sé. E peraltro ne spiega i motivi; nondimeno, per sua stessa ammissione, pare che questa pratica l'abbia usata anche in altri suoi "romanzi" (che personalmente non ho letto). Ebbene, com'è intuibile dal tono di queste mie parole, questo primo approccio con Nori non è stato di mio gradimento, nonostante ne riconosca il valore: se trattasi di romanzo, per me ci dev'essere un capo e una coda, un filo logico, una consequenzialità, una trama riconoscibile. Se questa voleva essere una biografia mista ad autobiografia, quantomeno avrei voluto saperlo prima. Sono perplessa, francamente, sulla sua inclusione nella cinquina dello Strega, anche se non dovrei esserlo, visto quello che vi è stato incluso negli ultimi anni. Detto ciò, proverò, in futuro, a leggere qualcos'altro del professor Nori, ma per ora non ci siamo.
 
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