Io l'ho amato da morire
forse perché le mie aspettative non erano certamente quelle di leggere un thriller, ma quelle di leggere una storia di Dickens, che io adoro. E la figura di Dickens giganteggia ben bene ^^
Per una Fedele Lettrice che ha scoperto Dickens su suggerimento di King (le allusioni a Scrooge mi avevano sempre incuriosito) e che ha cominciato ad amarlo fin dalle prime pagine, scoprendo un inestimabile tesoro, questo Drood non poteva non esercitare un grosso richiamo, accresciuto dalla curiosità di leggere qualcosa di quel cattivone (ahahahahah) di Simmons, specialmente dopo aver appreso – credo da Carmillaonline – che “l’uomo Dan Simmons non è all’altezza dello scrittore” neanche chi l’ha scritto ci viva insieme e possa veramente testimoniare sull’uomo Simmons; e anche dal commento di un’altra lettrice, un commento interessante che testimoniava della particolarità del romanzo.
Ed in effetti è davvero un libro particolare, che sfugge ad una rigida classificazione (come tutti i buoni libri), e si colloca a metà tra biografia, fantastico/horror e romanzo storico: davvero una miscela interessante. E lo stile, poi! Stando almeno alla traduzione, sembra che Simmons si sia sforzato di riprodurre qualcosa di simile ad un buon romanzo d’appendice. Infatti la vicenda è scritta e narrata in prima persona da Wilkie Collins, amico e collaboratore di Dickens, e, per quanto riguarda la resa stilistica, la cosa è <>iperfettamente plausibile, e questo, amici e vicini, è un grande, enorme, immane merito di Simmons.
Il libro è evidentemente frutto di un’intensa e minuziosa ricerca su Dickens e Collins, che si nutre di innumerevoli e variegate fonti, partorendo (data la mole del libro è il verbo più adatto) un romanzone ricchissimo (anche troppo, penseranno sicuramente alcuni lettori) di dettagli, a volte anche un po’ prolisso (non che la cosa mi disturbi), pieno di immagini vivide, dotato quindi di altissima abilità descrittiva (che va soprattutto a vantaggio della Londra delle altre ssssuburre, ma ovviamente anche dei personaggi).
Confesso che, nel verificare alcune delle fonti utilizzate da Simmons (che è stato così gentile da elencare nella postfazione – grazie di cuore!) sono stata colta da sublime emozione nel vedere foto di luoghi e personaggi (alcuni, che pensavo invenzioni letterarie, esistono invece davvero!), come la casa di Dickens, Gad’s Hill Place, la sua giovane compagna Ellen, sua moglie, i suoi figli, le due amanti di Collins (accidenti, quant’era brutta Martha R.!). Questo riscontro mi ha permesso di capire, appunto, quale immane lavoro documentario ci sia dietro questo bel tomone.
L’elemento fantastico (incerto e aperto all’interpretazione del lettore, anche se io sono del parere che la spiegazione di Dickens sia vera) non è pesante e invasivo, e l’ho particolarmente apprezzato (anche perché come ben si sa io amo il fantastico). Dickens, sebbene venga quasi continuamente attaccato mediante elenco ed esagerazione dei suoi difetti, giganteggia come personaggio; anzi, si può dire che giganteggi proprio grazie al filtro negativo di Collins, io narrante del tutto particolare. Ben prima della commovente dichiarazione d’amore del finale (“Non ho amato nessuno. Ma, che Dio mi perdoni, ho amato Charles Dickens” e il resto non lo scrivo perché è troppo bello da leggere) si capisce bene che il problema di Wilkie è quello di essere amato e accettato da un uomo che, in fondo, considera come un padre (e che, secondo una certa tradizione molto antica, vuole emulare e soppiantare).
Wilkie non è un personaggio facile e nonostante tutto ispira una certa compassione nonché la curiosità di leggere i suoi romanzi, che saranno senz’altro belli (ecco un’altra eredità piacevole). Anche Dickens doveva essere, nella realtà, poco somigliante al suo alter ego letterario Copperfield, eppure la sua onestà, il suo romanticismo, la sua vitalità, il suo senso dell’umorismo, la sua genialità mi paiono fuori discussione.
Sono innamorata ancor di più di Dickens e ringrazio di cuore Simmons.
Un’ultima cosa: questo libro ha un prezzo onesto ed è un buon prodotto editoriale. Buona carta, buona stampa, 800 e passa pagine scritte fittamente di ottima storia, e per finire bella copertina. Perché certe case editrici non imparano da questo ammirevole esempio?