La distruzione della morte.

Apart

New member
Dunque ciò che qui ci interessa è il nostro rapporto con la morte. In che rapporto siamo con la morte, con la nostra condizione di finitudine? Siamo anche nel rapporto che hai detto tu, Dallolio. Vorremo sfuggirla, annullarla. Non è meglio ascoltarla, invece, anzichè tentare di sfuggire continuamente alla nostra condizione? La morte ha da rivelarci molte cose, anche nuove. Chissà, un giorno davvero riusciremo nel tentativo di sconfiggerla. Allora quello sarà un nuovo giorno, e forse non sapremo neanche più riconoscerci.
 

Nerst

enjoy member
La morte ha da rivelarci molte cose, anche nuove.

Quoto al 100%


Ma perchè vivere la morte con terrore? Non sarebbe meglio accettarla per quello che è, ossia l' annullamento di noi stessi?
Dopo tutto le vostre parole mi chiedo: La paura della morte è legata all' essenza che è in noi ed è chiamata "anima" (se esiste, io non ci credo) e che possa essere intrappolata in un girone infernale o cos' altro?

Per quel che mi riguarda penso alla morte quasi tutti i giorni e l' accetto come una cosa che dovrà capitarmi e spero il meno dolorosamente possibile, e quando ci penso resta il rammarico di non potermi più fare una bella passeggiata tra gli alberi, tra la gente, mangiare una bella pizza e leggere libri.
 

Sopraesistito

Black Cat Member
Quoto al 100%


Ma perchè vivere la morte con terrore? Non sarebbe meglio accettarla per quello che è, ossia l' annullamento di noi stessi?

E cosa c'è di "non terrorizzante" nella tua definizione?

Io penso che il terrore della morte (non dell'idea di morte, ma il terrore che si prova in quello stesso istante in cui la vita sfugge tra le dita) sia perfettamente naturale e giusto. Ci sono emozioni e concetti che siamo abituati a trovare "negativi" perchè sono troppo forti per noi o perchè ci danneggiano, ma fanno comunque parte del nostro essere e non vi è utilità a rifuggirli o a negarli se è lì che ci porta la vita, a mio parere.
 

Apart

New member
La paura della morte è legata all' essenza che è in noi ed è chiamata "anima" (se esiste, io non ci credo) e che possa essere intrappolata in un girone infernale o cos' altro?

Tralasciando tutte le rappresentazioni dell'immaginario collettivo che rendono quantomeno paurosa la morte, penso che a farci paura della morte sia, più di tutto, l'inconoscibilità, il mistero che c'è dopo. Sappiamo che muoriamo ma non sappiamo cosa accadrà dopo: possiamo prefigurarcelo, si, ma non farne esperienza, tantomeno abbiamo testimonianze. Dunque è l'inconoscibilità, il buio più totale a spvantarci.

resta il rammarico di non potermi più fare una bella passeggiata tra gli alberi, tra la gente, mangiare una bella pizza e leggere libri.

Bello, Nerst, questo pezzo.
 

Dallolio

New member
Quoto al 100%


Ma perchè vivere la morte con terrore? Non sarebbe meglio accettarla per quello che è, ossia l' annullamento di noi stessi?
Dopo tutto le vostre parole mi chiedo: La paura della morte è legata all' essenza che è in noi ed è chiamata "anima" (se esiste, io non ci credo) e che possa essere intrappolata in un girone infernale o cos' altro?

Per quel che mi riguarda penso alla morte quasi tutti i giorni e l' accetto come una cosa che dovrà capitarmi e spero il meno dolorosamente possibile, e quando ci penso resta il rammarico di non potermi più fare una bella passeggiata tra gli alberi, tra la gente, mangiare una bella pizza e leggere libri.

Intervento molto bello e molto vero.
Un domani comunque questo rammarico non ci sarà più, sempre che la scienza abbia finalmente modo di esprimersi liberamente e sempre che si smetta di buttare soldi nelle sciocchezze più disparate (e, visto la latente paura che tali sciocchezze nascondono, "disperate").
Anche Condorcet ipotizzava un'era dell'umanità in cui finalmente il progresso e la scienza avrebbero sconfitto la morte e fatto trionfare l'Uomo. Saremo noi ancora vivi a quel tempo? E in caso affermativo, sapremo gestire le sfide che una vita lunghissima ci porrà?
@Apart Forse non sapremo più riconoscerci, probabilmente hai ragione e su questo tema bisognerebbe meditare, tuttavia io desidero con tutte le mie forze che questo avvenga e se ciò in un domani lontanissimo avverrà io ne gioirò interamente.
 

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
Ah, i vecchi positivisti di una volta! Credevo fossero estinti, e invece - tecchete! - spuntano come le scolopendre da sotto le pietre umide! :paura:

Pensando ad una ipotetica dissoluzione del problema morte (sempre che lo sia, e non sia piuttosto una benedizione), la prima riflessione, e parecchio banale, è che di fatto nulla se ne possa dire: così come i vaneggiamenti delle sinistre al potere, loro non sono abituate a comandare, noi non lo siamo ad essere immortali. La morte è - più banalmente ancora - il fenomeno biologico più comune e diffuso, nessun altro fenomeno di fatto copre una percentuale statistica del 100% in efficienza, le anomalie genetiche, le patologie innate o acquisite, le variazioni, la stessa divisione in generi maschile e femminile, zodiaci e nature, tutto si arrende all'unica certezza universale, tanto estesa e infallibile e implacabile quanto la vita stessa.
Com'è noto, negli esseri umani non può intendersi e non si intende quale compimento meccanico di un mero processo biologico; tutte le culture note vi hanno attribuito un'aura simbolica, in quanto avvenimento in sé insignificante ma rinviante ad altro, e la qualità superiore di esperienza produttrice di senso. Ben lo dice Heidegger, con la sua solita macchinosità geniale: siamo innanzi tutto essere-per-la-morte, il primo momento degli umani non è il presente, ma l'avvenire. Se fossimo vincolati al presente come le altre fiere prive di una coscienza autoreferenziale, saremmo immortali (Borges docet), mentre è il nostro vivere nell'istante che sta per seguire la mortalità. Essere-per-la-morte dicevo, la possibilità dell'impossibile che agisce reatroattivamente informando di senso tutto il segmento dell'esistenza presa nel suo esserci: dato un parametro certo e assoluto, la funzione si diparte secondo la dinamica A->B e successivamente da B<-A. In parole molto più spicciole, sei vivo, questo è un parametro sufficiente affinché tu possa essere tutto ciò che vuoi o sei, ma spicciati che si crepa, e non ci saranno altre occasioni. La vita degli esseri umani è concentrata tacitamente sul momento estremo, è in relazione ad esso che si dipana e realizza. Noi siamo progetti in quanto mortali.
Dall'altra parte, come dimenticare Eschilo e il suo senso del tragico, la sua caleidoscopica ed annientante lucidità sulle umane cose? Altro che specie eletta, dal dio o dall'evoluzione non importa, siamo esseri tra gli esseri, parti una natura indifferenti alle sue parti singolari e determinate, anzi, dirò di più, parte di un sistema che bada solo all'equilibrio della vita. L'essere coscienti della sua immensa contraddizione non ci rende privilegiati, è un caso ed una inezia. E come il Greco insegna, sciocco ed inutile macchiarsi della somma colpa della hybris ribellandosi all'ordine delle cose, l'Attico non chiede una vita eterna, piuttosto una buona vita. Scevra dalla malattia, dalla decadenza, dalla vecchiaia e dalla povertà. Abbiamo forse dimenticato le fiere e truci parole di Sileno, interrogato dal re Mida?

«Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto.»

Ed ho escluso finora, attenendomi alla visione globale della natura, in cui l'uomo è relegato al suo ruolo di essere accidentale in un'economia che lo sovrasta. Ma vogliamo contare i sentimenti eroici propri della nostra razza? Gli altari innalzati alla danza e alla lotta, il gusto esasperato del pericolo e della minaccia, ciò che origina la qualità fondamentale e più importante: il coraggio. In alcune culture, specialmente locali, la morte è vista addirittura come uno scandalo, un'indivia degli dei, dal momento che per noi tutto ha il suo gusto vissuto, rapace e irripetibile. Per noi ogni momento potrebbe essere l'ultimo, ed è grandiosità distillata e pronta ad esplodere, nel racconto di quest'essere effimero e caduco, conduttore di immanente bellezza proprio perché non dura. Se la morte nell'istante della sua esperienza incute il più sacro e profondo dei timori, la forza e la vita che cronologicamente la precedono fanno sì di valorizzare l'esistenza e di compierla nel più completo dei modi. L'alea in cui siamo avvolti e le infinite possibilità che un giorno si esauriranno insieme a noi, funzionano da catalizzatori, non da deterrenti.

E come dimenticare, spostandoci altrove, le parole di Borges sul suo immortale?

«Essi sapevano che in un tempo infinito ad ogni uomo accadono tutte le cose. Per le sue passate o future virtù, ogni uomo è creditore d'ogni bontà, ma anche di ogni tradimento, per le sue infamie del passato e del futuro.[...] Visti in tal modo tutti i nostri atti sono giusti, ma sono anche indifferenti. Non esistono meriti morali o intellettuali.»
E ancora:

«Nessuno è qualcuno, un solo uomo immortale è tutti gli uomini. Come Cornelio Agrippa, sono dio, sono eroe, sono filosofo, sono demonio e sono mondo, il che è un modo complicato per dire che non sono.»

Dato un tempo infinito, ogni uomo finirebbe con l'esaurire il campo di tutte le esperienze possibili. Ciò che rende individui gli individui, il loro unico e irripetibile passato, finirebbe col venire meno: tutti esperirebbero tutto, per arrivare ad una grigia conformità, diverremmo esseri indistinti e indistinguibili, saremmo tutti gli uomini, e per quella splendida formula della coincidentia oppositorum, nessuno. Morire non è, com'è stato detto, il dissolversi di un'io accidentale ed inutile, quanto invece il marchio di garanzia di un'identità inviolabile ed irriproducibile: divorandolo, ne custodisce l'unicum.

«La morte (o la sua allusione) rende preziosi e patetici gli uomini.[...] Tutto, tra i mortali, ha il valore dell'irrecuperabile e del casuale. Tra gl'Immortali, invece, ogni atto (e ogni pensiero) è l'eco d'altri che nel passato lo precedettero, senza principio visibile, o il fedele presagio di altri che nel futuro lo ripeteranno fino alla vertigine. Non c'è cosa che non sia come perduta tra infaticabili specchi.»
 

Dallolio

New member
Ah, i vecchi positivisti di una volta! Credevo fossero estinti, e invece - tecchete! - spuntano come le scolopendre da sotto le pietre umide! :paura:

Pensando ad una ipotetica dissoluzione del problema morte (sempre che lo sia, e non sia piuttosto una benedizione), la prima riflessione, e parecchio banale, è che di fatto nulla se ne possa dire: così come i vaneggiamenti delle sinistre al potere, loro non sono abituate a comandare, noi non lo siamo ad essere immortali. La morte è - più banalmente ancora - il fenomeno biologico più comune e diffuso, nessun altro fenomeno di fatto copre una percentuale statistica del 100% in efficienza, le anomalie genetiche, le patologie innate o acquisite, le variazioni, la stessa divisione in generi maschile e femminile, zodiaci e nature, tutto si arrende all'unica certezza universale, tanto estesa e infallibile e implacabile quanto la vita stessa.
Com'è noto, negli esseri umani non può intendersi e non si intende quale compimento meccanico di un mero processo biologico; tutte le culture note vi hanno attribuito un'aura simbolica, in quanto avvenimento in sé insignificante ma rinviante ad altro, e la qualità superiore di esperienza produttrice di senso. Ben lo dice Heidegger, con la sua solita macchinosità geniale: siamo innanzi tutto essere-per-la-morte, il primo momento degli umani non è il presente, ma l'avvenire. Se fossimo vincolati al presente come le altre fiere prive di una coscienza autoreferenziale, saremmo immortali (Borges docet), mentre è il nostro vivere nell'istante che sta per seguire la mortalità. Essere-per-la-morte dicevo, la possibilità dell'impossibile che agisce reatroattivamente informando di senso tutto il segmento dell'esistenza presa nel suo esserci: dato un parametro certo e assoluto, la funzione si diparte secondo la dinamica A->B e successivamente da B<-A. In parole molto più spicciole, sei vivo, questo è un parametro sufficiente affinché tu possa essere tutto ciò che vuoi o sei, ma spicciati che si crepa, e non ci saranno altre occasioni. La vita degli esseri umani è concentrata tacitamente sul momento estremo, è in relazione ad esso che si dipana e realizza. Noi siamo progetti in quanto mortali.
Dall'altra parte, come dimenticare Eschilo e il suo senso del tragico, la sua caleidoscopica ed annientante lucidità sulle umane cose? Altro che specie eletta, dal dio o dall'evoluzione non importa, siamo esseri tra gli esseri, parti una natura indifferenti alle sue parti singolari e determinate, anzi, dirò di più, parte di un sistema che bada solo all'equilibrio della vita. L'essere coscienti della sua immensa contraddizione non ci rende privilegiati, è un caso ed una inezia. E come il Greco insegna, sciocco ed inutile macchiarsi della somma colpa della hybris ribellandosi all'ordine delle cose, l'Attico non chiede una vita eterna, piuttosto una buona vita. Scevra dalla malattia, dalla decadenza, dalla vecchiaia e dalla povertà. Abbiamo forse dimenticato le fiere e truci parole di Sileno, interrogato dal re Mida?

«Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto.»

Ed ho escluso finora, attenendomi alla visione globale della natura, in cui l'uomo è relegato al suo ruolo di essere accidentale in un'economia che lo sovrasta. Ma vogliamo contare i sentimenti eroici propri della nostra razza? Gli altari innalzati alla danza e alla lotta, il gusto esasperato del pericolo e della minaccia, ciò che origina la qualità fondamentale e più importante: il coraggio. In alcune culture, specialmente locali, la morte è vista addirittura come uno scandalo, un'indivia degli dei, dal momento che per noi tutto ha il suo gusto vissuto, rapace e irripetibile. Per noi ogni momento potrebbe essere l'ultimo, ed è grandiosità distillata e pronta ad esplodere, nel racconto di quest'essere effimero e caduco, conduttore di immanente bellezza proprio perché non dura. Se la morte nell'istante della sua esperienza incute il più sacro e profondo dei timori, la forza e la vita che cronologicamente la precedono fanno sì di valorizzare l'esistenza e di compierla nel più completo dei modi. L'alea in cui siamo avvolti e le infinite possibilità che un giorno si esauriranno insieme a noi, funzionano da catalizzatori, non da deterrenti.

E come dimenticare, spostandoci altrove, le parole di Borges sul suo immortale?

«Essi sapevano che in un tempo infinito ad ogni uomo accadono tutte le cose. Per le sue passate o future virtù, ogni uomo è creditore d'ogni bontà, ma anche di ogni tradimento, per le sue infamie del passato e del futuro.[...] Visti in tal modo tutti i nostri atti sono giusti, ma sono anche indifferenti. Non esistono meriti morali o intellettuali.»
E ancora:

«Nessuno è qualcuno, un solo uomo immortale è tutti gli uomini. Come Cornelio Agrippa, sono dio, sono eroe, sono filosofo, sono demonio e sono mondo, il che è un modo complicato per dire che non sono.»

Dato un tempo infinito, ogni uomo finirebbe con l'esaurire il campo di tutte le esperienze possibili. Ciò che rende individui gli individui, il loro unico e irripetibile passato, finirebbe col venire meno: tutti esperirebbero tutto, per arrivare ad una grigia conformità, diverremmo esseri indistinti e indistinguibili, saremmo tutti gli uomini, e per quella splendida formula della coincidentia oppositorum, nessuno. Morire non è, com'è stato detto, il dissolversi di un'io accidentale ed inutile, quanto invece il marchio di garanzia di un'identità inviolabile ed irriproducibile: divorandolo, ne custodisce l'unicum.

«La morte (o la sua allusione) rende preziosi e patetici gli uomini.[...] Tutto, tra i mortali, ha il valore dell'irrecuperabile e del casuale. Tra gl'Immortali, invece, ogni atto (e ogni pensiero) è l'eco d'altri che nel passato lo precedettero, senza principio visibile, o il fedele presagio di altri che nel futuro lo ripeteranno fino alla vertigine. Non c'è cosa che non sia come perduta tra infaticabili specchi.»

Bell'intervento, almeno a livello culturale, ma non sono d'accordo. Una vita illimitata ci darebbe illimitate possibilità di progettazione e di invenzione di noi stessi ed è sbagliato proiettare ciò che sappiamo della vita attuale ad una vita illimitata, perchè saremmo noi stessi ad essere fondamentalmente differenti.
P.s. non sono affatto positivista, sono, per studi, formazione e personalità un umanista; torno sotto la mia pietra umida per stasera
 

Apart

New member
Una vita illimitata ci darebbe illimitate possibilità di progettazione e di invenzione di noi stessi ed è sbagliato proiettare ciò che sappiamo della vita attuale ad una vita illimitata, perchè saremmo noi stessi ad essere fondamentalmente differenti.

Ma a una vita illimitata non si conface la progettazione. O se si conface, è soltanto per sfizio, per divertimento, per passatempo. Tu perchè progetti la tua esistenza? Dimentichi il tempo, che è un tempo finito. Tu ti progetti perchè vedi avanti, entro uno spazio di tempo limitato, finito. Se tu hai un tempo infinito smetti di vedere avanti, sai che tanto vivrai per sempre, sai che certe cose potrai farle e le farai sempre. Che senso ha impegnarsi in certe cose, darsi certi obiettivi? Non a caso chi non vede più davanti a sè vede la vita sempre uguale, schiacciata in un eterno presente. La vita eterna ci sarà, chissà. Ma vale la pena lasciare una vita che finisce per una eterna? Il pegno da pagare per una vita vissuta in eterno è la noia, la ripetizione infinita, l'infinito uguale.
 

Dallolio

New member
Ma a una vita illimitata non si conface la progettazione. O se si conface, è soltanto per sfizio, per divertimento, per passatempo. Tu perchè progetti la tua esistenza? Dimentichi il tempo, che è un tempo finito. Tu ti progetti perchè vedi avanti, entro uno spazio di tempo limitato, finito. Se tu hai un tempo infinito smetti di vedere avanti, sai che tanto vivrai per sempre. Che senso ha impegnarsi in certe cose, darsi certi obiettivi? Non a caso chi non vede più davanti a sè vede la vita sempre uguale, schiacciata in un eterno presente. La vita eterna ci sarà, chissà. Ma vale la pena lasciare una vita che finisce per una eterna? Il pegno da pagare a una vita vissuta in eterno è la noia, la ripetizione infinita, l'infinito uguale.

Oppure l'infinito superamento dei propri limiti; senza più il laccio della morte potremmo spingerci all'esplorazione di nuovi mondi e a superare ogni barriera... la grandezza umana non si esaurirà solo per la scomparsa della morte, altrimenti dovremmo dire che i mesopotamici vivevano più intensamente di noi solo perchè avevano una vita molto più breve... una vita lunghissima o eterna ci permetterà di porci mete eterne

A proposito, consiglio questo articolo da wiki:
Aubrey de Grey - Wikipedia
 

Apart

New member
Oppure l'infinito superamento dei propri limiti; senza più il laccio della morte potremmo spingerci all'esplorazione di nuovi mondi e a superare ogni barriera... la grandezza umana non si esaurirà solo per la scomparsa della morte, altrimenti dovremmo dire che i mesopotamici vivevano più intensamente di noi solo perchè avevano una vita molto più breve... una vita lunghissima o eterna ci permetterà di porci mete eterne

A proposito, consiglio questo articolo da wiki:
Aubrey de Grey - Wikipedia

Semmai è una vita finita che permette di porci sempre delle mete, e non il contrario. Che meta dovrebbe porsi un dio? E soprattutto, per quale motivo?
 

Dory

Reef Member
Vivere in eterno vuol dire rimandare in eterno... a meno che non devi compiere una cattiva azione per questioni di soldi, fama e/o potere... :mrgreen:
 

Dallolio

New member
Vivere in eterno vuol dire rimandare in eterno... a meno che non devi compiere una cattiva azione per questioni di soldi, fama e/o potere... :mrgreen:

Mi hai scoperto, aspiro alla tirannide in Italia ma non volevo che si sapesse :D

Tornando seri, non voglio pensare a ciò che potrebbe fare l'uomo da longevo perchè correrei troppo di fantasia, però una cosa è certa e cioè che a quel punto semplicemente sposteremmo i limiti in avanti, arrivando a mete che ora non teniamo nemmeno in considerazione, che sarebbero le vere sfide (esplorazione del cosmo? superamento della fisicità? Per ora sono solo fantasie).
 
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