Da Wikipiedia:
Sergèj Aleksandrovič, voce narrante della storia, viene invitato nella residenza di suo zio Egòr Il'ìč, colonnello e possidente di Stepančikovo, dove conosce Fomà Fomìč Opiskin. Caricaturale, ridicolo ma cinico, questi rappresenta la figura del parassita, che si spaccia per un erudito sapiente, soggiogando completamente non solo lo zio di Sergèj e la sua anziana madre «generalessa», ma anche altre dame di provincia e l'intera servitù della casa.
Mi fermo qui per quanto riguarda la trama, se no vi tolgo tutto il gusto di scoprirla da soli!
Qualcuno mi ha suggerito quest'opera come “chicca” del mio scrittore preferito e devo dire che la definizione ci sta a pennello: un vero gioiellino, costruito in modo impeccabile. Pare che lo stesso Dosto considerasse questa come la sua opera migliore (bè... fino a quel momento! direi che dopo di capolavori ne sono venuti fuori dalla sua penna!) e questo perchè, per dirla con le sue stesse parole “vi sono due grossissimi caratteri tipici, elaborati (secondo me) alla perfezione, caratteri russi in tutto e per tutto e mai rappresentati fin ora nella letteratura russa.” (Piccola parentesi: avevo già avuto modo di constatare che Dostoevskij avesse molto a cuore il riuscire a rappresentare nelle sue opere l'anima del popolo russo, e questo l'ho sempre trovato molto affascinante...)
I due personaggi in questione sono l'uno l'opposto dell'altro: da una parte la personificazione della boria, dell'amor proprio non giustificato da nessun talento (e nemmeno da una presunta vita di sofferenze e umiliazioni che voglia in qualche modo essere riscattata), dall'altra la bontà, la generosità, il candore portati all'estremo, fino a sconfinare nell'assoluta incapacità di affermare la propria personalità e persino la propria dignità di essere umano. E' incredibile come queste due figure così diverse si compenetrino a vicenda e quasi si completino: come potrebbe essere Fomà Fomic il tiranno stolto e vanaglorioso che è, se non avesse dall'altra parte un uomo che gli si sottomette in tutto (sebbene non a causa di un mero servilismo bensì di un'estrema nobiltà d'animo)?
Dal punto di vista della narrazione, fin dalle prime pagine mi è sembrato quasi di vivere un deja-vu (o meglio... un deja-lu!!!) con L'idiota... Le premesse sono simili: una serie di personaggi; una situazione “complicata” non svelata del tutto ma di cui si intuisce la portata; l'arrivo di un personaggio estraneo alla vicenda proprio nel momento in cui questa raggiunge il suo apice. L'equilibrio continuamente minacciato sembra sul punto di spezzarsi definitivamente: i nodi vengono al pettine e si ha l'impressione che la situazione stia per precipitare da un momento all'altro... Eppure la cosa più bella è che, nonostante i continui colpi di scena, la “coerenza interna” dei due catteri è talmente grande da far sì che nessuno dei due smentisca mai la propria indole; anzi, il “lieto fine” (così raro in Dosto) non ha altra funzione che confermare la perfezione e la reciprocità dei due caratteri contro ogni aspettativa del buon senso, fino alla fine.
Credo che davvero in questo breve romanzo, il mio amato scrittore abbia dato il meglio di sé... e chissà se è proprio dallo studio di alcuni di questi personaggi, così finemente tratteggiati (sebbene, inevitabilmente, semplificati e quasi caricaturali), che poi hanno preso vita le figure grandiose delle sue opere più celebri!
5/5
Sergèj Aleksandrovič, voce narrante della storia, viene invitato nella residenza di suo zio Egòr Il'ìč, colonnello e possidente di Stepančikovo, dove conosce Fomà Fomìč Opiskin. Caricaturale, ridicolo ma cinico, questi rappresenta la figura del parassita, che si spaccia per un erudito sapiente, soggiogando completamente non solo lo zio di Sergèj e la sua anziana madre «generalessa», ma anche altre dame di provincia e l'intera servitù della casa.
Mi fermo qui per quanto riguarda la trama, se no vi tolgo tutto il gusto di scoprirla da soli!
Qualcuno mi ha suggerito quest'opera come “chicca” del mio scrittore preferito e devo dire che la definizione ci sta a pennello: un vero gioiellino, costruito in modo impeccabile. Pare che lo stesso Dosto considerasse questa come la sua opera migliore (bè... fino a quel momento! direi che dopo di capolavori ne sono venuti fuori dalla sua penna!) e questo perchè, per dirla con le sue stesse parole “vi sono due grossissimi caratteri tipici, elaborati (secondo me) alla perfezione, caratteri russi in tutto e per tutto e mai rappresentati fin ora nella letteratura russa.” (Piccola parentesi: avevo già avuto modo di constatare che Dostoevskij avesse molto a cuore il riuscire a rappresentare nelle sue opere l'anima del popolo russo, e questo l'ho sempre trovato molto affascinante...)
I due personaggi in questione sono l'uno l'opposto dell'altro: da una parte la personificazione della boria, dell'amor proprio non giustificato da nessun talento (e nemmeno da una presunta vita di sofferenze e umiliazioni che voglia in qualche modo essere riscattata), dall'altra la bontà, la generosità, il candore portati all'estremo, fino a sconfinare nell'assoluta incapacità di affermare la propria personalità e persino la propria dignità di essere umano. E' incredibile come queste due figure così diverse si compenetrino a vicenda e quasi si completino: come potrebbe essere Fomà Fomic il tiranno stolto e vanaglorioso che è, se non avesse dall'altra parte un uomo che gli si sottomette in tutto (sebbene non a causa di un mero servilismo bensì di un'estrema nobiltà d'animo)?
Dal punto di vista della narrazione, fin dalle prime pagine mi è sembrato quasi di vivere un deja-vu (o meglio... un deja-lu!!!) con L'idiota... Le premesse sono simili: una serie di personaggi; una situazione “complicata” non svelata del tutto ma di cui si intuisce la portata; l'arrivo di un personaggio estraneo alla vicenda proprio nel momento in cui questa raggiunge il suo apice. L'equilibrio continuamente minacciato sembra sul punto di spezzarsi definitivamente: i nodi vengono al pettine e si ha l'impressione che la situazione stia per precipitare da un momento all'altro... Eppure la cosa più bella è che, nonostante i continui colpi di scena, la “coerenza interna” dei due catteri è talmente grande da far sì che nessuno dei due smentisca mai la propria indole; anzi, il “lieto fine” (così raro in Dosto) non ha altra funzione che confermare la perfezione e la reciprocità dei due caratteri contro ogni aspettativa del buon senso, fino alla fine.
Credo che davvero in questo breve romanzo, il mio amato scrittore abbia dato il meglio di sé... e chissà se è proprio dallo studio di alcuni di questi personaggi, così finemente tratteggiati (sebbene, inevitabilmente, semplificati e quasi caricaturali), che poi hanno preso vita le figure grandiose delle sue opere più celebri!
5/5
Ultima modifica: