Per uno come me, che fino a oggi ricordava la Magna Grecia solo come un paragrafo sperduto nei testi scolastici di storia, questo romanzo offre un gradevolisso scorcio di vita ellenica nelle colonie calabresi dell'Età Antica. Meritevoli anche le cronache storiche, dell'eccidio di Crotone cui miracolosamente scampò Pitagora, da cui l'intera trama si sviluppa e riprende nel corso dei settanta anni in cui si snoda la narrazione, tanto dura la vita della protagonista. Però a parte questo, non mi riesce di riconoscere all'autore molti altri meriti.
A dispetto dell'apparente voluminosità del testo, il romanzo è in realtà piuttosto breve. Gli eventi si sussseguono con grande scorrevolezza e vivacità, ma a grave detrimento della caratterizzazione dei personaggi.
Di nessuno dei personaggi infatti, neanche della protagonista, l'autore è andato a scavare nei meandri della loro personalità. I "buoni" e i "cattivi" sono delineati con un taglio talmente netto che appaiono davvero poco realistici. La protagonista in particolare, più che una seguace di Pitagora, mi è parsa la perfetta esemplificazione del migliore Stoicismo: non un'emozione, una debolezza, una passione (nell'accezione greca del termine, sofferenza) traspare mai dal suo agire. Ella distilla perle di saggezza per se stessa, e parimenti per gli altri, senza mai alcun trasporto o coinvolgimento emotivo, tanto che più che umana dedizione, le sue parole appaiono scolpite nella pietra come insegnamenti scolpiti nella roccia, vergati con la penna della divina indifferenza decantata da Montale. Certo anche la sua vita è segnata dalle perdite e dal dolore, come quella di diversi altri personaggi, eppure tutto le scivola lieve di dosso, i preziosi insegnamenti cui si affida per curare la sua anima sono giusto "recitati", non appaiono "carnalmente esperiti". Sembra, e concludo, che tutto il male che la vita non le risparmia di certo, in fin dei conti sia sempre e solo ad opera degli altri personaggi, che periodicamente vanno a intaccare il suo invece perfetto guscio filosofico protettivo. L'autore manca cioè di far vivere alla protagonista, quella sofferenza interiore e e profonda, che accompagna qualunque percorso spirituale, che sia degno di chiamarsi tale.
E' un testo che consiglierei di leggere a qualunque giovane donna, come viatico per riflettere su come la oggi tanto decantata (e assolutamente ingannevole) emancipazione femminile non la si conquisti realmente con la con-fusione dei propri ruoli con quelli maschili, bensì proprio con l'esaltazione delle proprie peculiarità, quei migliori aspetti dell'animo umano che tradizionalmente si ascrivono proprio nella sfera del femminile, e che al pari degli atteggiamenti "maschili" non devono e non possono rinunciare alla sana combattività.
Anche per questo, paradossalmente mi sentirei di dargli un voto più alto come saggio di filosofia, ma non come romanzo.
A dispetto dell'apparente voluminosità del testo, il romanzo è in realtà piuttosto breve. Gli eventi si sussseguono con grande scorrevolezza e vivacità, ma a grave detrimento della caratterizzazione dei personaggi.
Di nessuno dei personaggi infatti, neanche della protagonista, l'autore è andato a scavare nei meandri della loro personalità. I "buoni" e i "cattivi" sono delineati con un taglio talmente netto che appaiono davvero poco realistici. La protagonista in particolare, più che una seguace di Pitagora, mi è parsa la perfetta esemplificazione del migliore Stoicismo: non un'emozione, una debolezza, una passione (nell'accezione greca del termine, sofferenza) traspare mai dal suo agire. Ella distilla perle di saggezza per se stessa, e parimenti per gli altri, senza mai alcun trasporto o coinvolgimento emotivo, tanto che più che umana dedizione, le sue parole appaiono scolpite nella pietra come insegnamenti scolpiti nella roccia, vergati con la penna della divina indifferenza decantata da Montale. Certo anche la sua vita è segnata dalle perdite e dal dolore, come quella di diversi altri personaggi, eppure tutto le scivola lieve di dosso, i preziosi insegnamenti cui si affida per curare la sua anima sono giusto "recitati", non appaiono "carnalmente esperiti". Sembra, e concludo, che tutto il male che la vita non le risparmia di certo, in fin dei conti sia sempre e solo ad opera degli altri personaggi, che periodicamente vanno a intaccare il suo invece perfetto guscio filosofico protettivo. L'autore manca cioè di far vivere alla protagonista, quella sofferenza interiore e e profonda, che accompagna qualunque percorso spirituale, che sia degno di chiamarsi tale.
E' un testo che consiglierei di leggere a qualunque giovane donna, come viatico per riflettere su come la oggi tanto decantata (e assolutamente ingannevole) emancipazione femminile non la si conquisti realmente con la con-fusione dei propri ruoli con quelli maschili, bensì proprio con l'esaltazione delle proprie peculiarità, quei migliori aspetti dell'animo umano che tradizionalmente si ascrivono proprio nella sfera del femminile, e che al pari degli atteggiamenti "maschili" non devono e non possono rinunciare alla sana combattività.
Anche per questo, paradossalmente mi sentirei di dargli un voto più alto come saggio di filosofia, ma non come romanzo.