Ho deciso di leggere questo libro attratta dal titolo (quel in bilico lo sentivo troppo familiare per farmelo scappare :wink
e dalla edizione limitata della Mondadori del 2007 ma con l'originale veste grafica del 1953 trovata con lo sconto del 70% su Ibs.
Non conoscevo ancora l'autore, ma l'avevo sentito già nominare e di certo proseguirò con la sua conoscenza dopo l'ottima impressione ricavata da questa lettura che ho trovato zeppa di frasi e riflessioni che condivido.
Quest'opera, scritta sotto forma di diario, riunisce la parte intimista e riflessiva (che io preferisco) a quella più descrittiva della storia, quindi non rende troppo pesante la lettura per chi cerca anche il racconto delle vicende.
Spoiler:
Siamo nel 1942, Joseph, il protagonista, è in attesa della chiamata in guerra da parte dell'Esercito, non ha più un lavoro, ha lasciato l'agenzia di viaggi presso cui lavorava, non parla molto con la moglie, tra loro due c'è mancanza di dialogo, ne ha più con se stesso, e non condivide con lei i suoi incontri e i suoi pensieri (io non riuscirei mai a stare con qualcuno senza la condivisione, per me è fondamentale). Ha troppo tempo libero e non riesce a gestirlo nel migliore dei modi, ha rapporti burrascosi con la sua famiglia, con i vicini e con gli amici. Attraverso il suo dialogo immaginario con lo Spirito delle Alternative arriva a rendersi conto che è la nostra incapacità di essere liberi che ci fa stancare della vita e cercare un padrone che ci leghi al guinzaglio. La guerra è un incidente di percorso molto importante, ma niente di più, che può distruggere solo fisicamente come una qualsiasi malattia... e qui ci sarebbe parecchio da discutere, ma non è la parte che mi ha colpito di più, l'ho menzionata solo perché credo sia il motivo principale per cui decide di arruolarsi, non essendo più capace di affidarsi interamente a se stesso e proseguire la propria vita normalmente. C'è troppo da affrontare e da decidere, le responsabilità sono pressanti, forse dalla violenza e dalla rigidità della guerra potrà imparare quello che non è riuscito a capire durante questa "fase di transizione".
Quasi tutti ci siamo passati, in attesa del primo impiego, di un nuovo lavoro, di un matrimonio, della nascita di un figlio, o semplicemente di qualcosa che possa scuotere le nostre esistenze e dargli un senso, nel bene o nel male, sperando di essere capaci di affrontare nel modo giusto le incombenze che ci troveremo di fronte nella vita di tutti i giorni...
In Joseph ho trovato una certa somiglianza con Oblomov per l'inattività che li caratterizza (anche se qui è più un attendere l'azione futura) e con il protagonista di un romanzo del suo traduttore nell'edizione Feltrinelli, Paolo Nori, che in "Bassotuba non c'è" propone il dialogo con un angelo, simile a quello con lo Spirito delle Alternative.
Posto solo un paio di citazioni, ma il libro è denso di frasi da sottolineare:
Non siamo pigri. Se lo sembriamo è perché i nostri ciclonici desideri sono frustrati, e l'orgoglio esige la nostra indifferenza.
Lottiamo continuamente per liberarci. O, per dirla in maniera un po' diversa, mentre sembra che ci aggrappiamo così intensamente o perfino disperatamente a noi stessi, preferiremmo di gran lunga farci scoprire. Non sappiamo come. Allora, talvolta, ci buttiamo via. Quando in realtà quello che davvero desideriamo è di smettere di vivere così esclusivamente e vanamente per il nostro bene, impuri e inconsapevoli, chiudendoci in noi stessi e autoimprigionandoci.
Non conoscevo ancora l'autore, ma l'avevo sentito già nominare e di certo proseguirò con la sua conoscenza dopo l'ottima impressione ricavata da questa lettura che ho trovato zeppa di frasi e riflessioni che condivido.
Quest'opera, scritta sotto forma di diario, riunisce la parte intimista e riflessiva (che io preferisco) a quella più descrittiva della storia, quindi non rende troppo pesante la lettura per chi cerca anche il racconto delle vicende.
Spoiler:
Siamo nel 1942, Joseph, il protagonista, è in attesa della chiamata in guerra da parte dell'Esercito, non ha più un lavoro, ha lasciato l'agenzia di viaggi presso cui lavorava, non parla molto con la moglie, tra loro due c'è mancanza di dialogo, ne ha più con se stesso, e non condivide con lei i suoi incontri e i suoi pensieri (io non riuscirei mai a stare con qualcuno senza la condivisione, per me è fondamentale). Ha troppo tempo libero e non riesce a gestirlo nel migliore dei modi, ha rapporti burrascosi con la sua famiglia, con i vicini e con gli amici. Attraverso il suo dialogo immaginario con lo Spirito delle Alternative arriva a rendersi conto che è la nostra incapacità di essere liberi che ci fa stancare della vita e cercare un padrone che ci leghi al guinzaglio. La guerra è un incidente di percorso molto importante, ma niente di più, che può distruggere solo fisicamente come una qualsiasi malattia... e qui ci sarebbe parecchio da discutere, ma non è la parte che mi ha colpito di più, l'ho menzionata solo perché credo sia il motivo principale per cui decide di arruolarsi, non essendo più capace di affidarsi interamente a se stesso e proseguire la propria vita normalmente. C'è troppo da affrontare e da decidere, le responsabilità sono pressanti, forse dalla violenza e dalla rigidità della guerra potrà imparare quello che non è riuscito a capire durante questa "fase di transizione".
Quasi tutti ci siamo passati, in attesa del primo impiego, di un nuovo lavoro, di un matrimonio, della nascita di un figlio, o semplicemente di qualcosa che possa scuotere le nostre esistenze e dargli un senso, nel bene o nel male, sperando di essere capaci di affrontare nel modo giusto le incombenze che ci troveremo di fronte nella vita di tutti i giorni...
In Joseph ho trovato una certa somiglianza con Oblomov per l'inattività che li caratterizza (anche se qui è più un attendere l'azione futura) e con il protagonista di un romanzo del suo traduttore nell'edizione Feltrinelli, Paolo Nori, che in "Bassotuba non c'è" propone il dialogo con un angelo, simile a quello con lo Spirito delle Alternative.
Posto solo un paio di citazioni, ma il libro è denso di frasi da sottolineare:
Non siamo pigri. Se lo sembriamo è perché i nostri ciclonici desideri sono frustrati, e l'orgoglio esige la nostra indifferenza.
Lottiamo continuamente per liberarci. O, per dirla in maniera un po' diversa, mentre sembra che ci aggrappiamo così intensamente o perfino disperatamente a noi stessi, preferiremmo di gran lunga farci scoprire. Non sappiamo come. Allora, talvolta, ci buttiamo via. Quando in realtà quello che davvero desideriamo è di smettere di vivere così esclusivamente e vanamente per il nostro bene, impuri e inconsapevoli, chiudendoci in noi stessi e autoimprigionandoci.