Il “tabacco” è doppio protagonista in questa storia: rappresenta il contesto, “la via del tabacco” appunto, strada polverosa che una volta era simbolo di prosperità e sviluppo e ora, invece, privata della sua funzione originaria, trasmette un senso di aridità e abbandono (così come gli ex campi di cotone ricoperti di saggina). Il tabacco però è anche quello che si mastica per attenuare i morsi della fame, quasi preferibile al cibo stesso, poiché il cibo acquistato con pochi spiccioli non sfama, mentre la quantità di tabacco ottenuta con gli stessi spiccioli è maggiore e ha effetti più duraturi. Il tabacco come palliativo, quindi, come surrogato di ciò che realmente nutre: in questo senso e nonostante non ricorra così frequentemente, il tabacco è in effetti il simbolo di questa triste vicenda.
Leggendo questo romanzo, il confronto con Steinbeck e Faulkner è quasi inevitabile: ne ho avuto poi conferma in quasi tutte le recensioni in cui mi sono imbattuta, qui e altrove. È inevitabile per il contesto geografico e temporale, per le ambientazioni, per le tematiche affrontate (i “poveri bianchi” d’America costretti ad abbandonare i loro campi in seguito alla Grande Depressione)... Ma allora perchè non solo Steinbeck o Faulkner? Il primo ha realizzato un capolavoro tale da non poter essere eguagliato: Furore, il secondo ha una potenza di linguaggio e di stile che non consente paragoni, con nessuno. Perché allora Caldwell? Perché anche lui?
Innanzitutto perché questo autore ci presenta, rispetto a Steinbeck per esempio, l’altra faccia della povertà, quella meno nobile e forse più difficile da raccontare: non l’umanità e la dignità che tanto ci hanno commosso nei personaggi di Furore, bensì l’ottusità, l’egoismo, la miseria morale e intellettuale. L’intento di Caldwell non è dipingere eroi travolti loro malgrado dalla brutalità del Progresso... al contrario, sembra fare di tutto per convincerci che i Lester “meritino” le disgrazie che li colpiscono. Quanto più Jeeter ripete a se stesso che Dio provvederà a lui perché non può permettere che i suoi figli muoiano di stenti, tanto più la cruda realtà smentisce le sue speranze. Ma non è l’indifferenza di Dio, qui, ad essere messa sotto accusa, e nemmeno, più di tanto, l’indifferenza di chi dalla povertà è riuscito a sfuggire e guarda il suo prossimo dall’alto in basso, poiché la sola legge riconosciuta è quella della responsabilità. “Svegliati”, “datti una mossa”: sono queste le parole d’ordine, questa l’unica ancora di salvezza, anche se il prezzo da pagare è alto: abbandonare la terra, per cui si può provare amore, per disumanizzarsi all’interno di una filanda. Ma se “darsi una mossa” è il solo mezzo di sopravvivenza, Jeeter è il prototipo del buono a nulla, capace solo di lamentarsi e di rinnovare buoni propositi che resteranno lettera morta (basti pensare all’operazione di Elle May, rimandata da quindici anni). Nei Lester la povertà non suscita dignità, né solidarietà, non suscita nemmeno la ribellione, il “furore”... al contrario la povertà abbruttisce, degrada, accentua l'egoismo e la l'indifferenza. Per questa ragione non solo non si riesce a provare pietà per la loro sorte, ma essi stessi si rivestono di “ridicolo”.
E questo aspetto – più che “ridicolo” il termine giusto è “grottesco” – non può che farmi pensare a Faulkner, ai personaggi e alla vicenda di Mentre morivo, per esempio, ma più in generale al suo modo di raccontare la realtà, il quale contiene sempre un che di beffardo, tragicomico. Ecco, La via del tabacco non può essere compreso appieno, secondo me, se non si considera la sua fortissima componente grottesca, senza la quale davvero i Lester rischiano di apparirci dei completi “idioti”. E invece c’è un’ironia amara che attraversa ogni singola pagina di questo romanzo, a partire dalla scena iniziale in cui, pur consapevole del rischio che correva (rischio che a noi lettori, quando veniamo avvisati, suona del tutto assurdo e inverosimile, salvo verificarsi puntualmente dopo poche pagine), Lov si lascia soffiare il sacco di rape da sotto il naso, fino al drammatico epilogo che, nella sua tragicità, offre tuttavia una soluzione “positiva” alle preoccupazioni “post mortem” di Jeeter e Ada... della serie: come vedere il bicchiere mezzo pieno.
Battute a parte, è proprio il “grottesco” in questo libro a fare la differenza. Ogni singolo personaggio si trasforma in un eroe tragicomico (qui sì che il termine “eroe” ci sta bene, così come una vicenda che conta meno di duecento pagine assurge alla dignità di “epopea”): oltre a Jeeter, sublimi sono le figure femminili, in particolare la nonna, privata di qualsiasi dignità umana (è l’unica infatti a non pronunciare nemmeno una parola, quasi non fosse una persona) ed Ellie May, anche lei più “animalesca” che donna (le sue mosse sono quelle di un felino). Sulla coppia Dude-Bessie si riversa il sarcasmo più feroce, ancora maggiore forse di quello destinato a Jeeter, la cui ostinata passione per la terra può garantire un minimo di compassione. La parabola della macchina nuova, per la quale viene speso ogni singolo dollaro e per il cui acquisto nessuno sembra scandalizzarsi, è davvero mirabile nella sua ironia!
Insomma, c’è più di un motivo per cui, sia che abbiate letto i capolavori di Steinbeck e Faulkner, sia che non sappiate nemmeno chi siano (nel qual caso mi dispiace per voi!), fareste bene a leggere La via del tabacco... spero di avervene suggerito qualcuno! :wink: