Rumiz, Paolo - Trans Europa Express

qweedy

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"2008. Seimila chilometri a zigzag da Rovaniemi (Finlandia) a Odessa (Ucraina). Un percorso che sembra tagliare, strappare l'Europa occidentale da quella orientale. È una strada, quella di Rumiz, che tra acque e foreste, e sentori di abbandono, si snoda tra gloriosi fantasmi industriali, villaggi vivi e villaggi morti. Rumiz accompagna il lettore, con una voce profonda, ricca di intonazioni, per paesaggi inediti, segreti, struggenti di bellezza. E più avanza, più ha la sensazione di non trovarsi su qualche sperduto confine ma precisamente al centro, nel cuore stesso dell'Europa. Attraversa dogane, recinzioni metalliche, barriere con tanto di torrette di guardia, vive attese interminabili e affronta severissimi controlli, ma come sempre conosce anche la generosità degli uomini e delle donne che incontra sul suo cammino: un pescatore di granchi giganti, prosperose venditrici di mirtilli, un prete che ha combattuto nelle forze speciali in Cecenia."

Una bella scoperta, Trans Europa Express, di Paolo Rumiz, giornalista, scrittore e autore di reportage, grande viaggiatore a piedi, in bicicletta, in treno.

Nel 2008 Paolo Rumiz intraprende l'ennesimo viaggio, un percorso a zigzag da Rovaniemi (Finlandia) a Odessa (Ucraina), l'Europa in verticale, con uno zaino leggero e utilizzando treni e autobus. Si legge tutto di un fiato, perdendosi nel ritmo claudicante del narratore che percorre 6000 km nel cuore pulsante dell'Europa per incontrare persone e attraversare frontiere.

Dal Mar Glaciale Artico ad Istanbul seguendo le ultime frontiere europee che resistono ad oriente. Oltre un mese trascorso a ridiscendere verticalmente l’Europa frontaliera in autobus, treno e con l’autostop attraverso paesaggi di rara bellezza e regioni sconosciute. Viaggio come avventura, scoperta e soprattutto contatto con le persone del luogo.

"Sei chili di bagaglio, e poteva essere anche meno. Ho viaggiato su treni, corriere, traghetti, chiatte, talvolta in autostop e a piedi. In qualche occasione mi è capitato di maledire questa scelta - Rumiz chi te l'ha fatta fare a non viaggiare in automobile - ma me la sono cavata sempre e sempre ho incontrato qualcuno pronto a darmi una mano. Lo stato di bisogno mi ha fatto capire meglio la temperatura umana dei luoghi, le difficoltà sono diventate racconto e il viaggio s'è fatto da sé senza bisogno che programmassi nulla. Sono partito zoppo per una frattura a un piede, ho camminato penosamente per chilometri, poi ho buttato il bastone nel Mar Bianco, dopo aver incontrato un monaco sulle isole Solovietski, scommettendo che ce l'avrei fatta."

"È stato un bagno di umanità questo viaggio a Est. Spesso mi è bastato dire "ciao" per essere sfamato e accolto come un re in casa di perfetti estranei. Nel mondo ortodosso la gente semplice non ha mai vissuto con derisione il mio sacco sulle spalle, e la mia barba bianca è stata spesso oggetto di commosso rispetto. Non sono stato io a fare il viaggio, ma le persone che ho incontrato."

"I viaggi che riescono meglio sono quelli che non si fa in tempo a preparare. Quelli che si affrontano senza una zavorra di libri. In leggerezza. Portandosi dietro nient'altro che l'esperienza dei nomadismi precedenti."

"I nomadi lo sanno: le mappe non servono a orientarsi, ma a sognare il viaggio nei mesi che precedono il distacco."


Autore da approfondire, secondo me. Consigliato a chi viaggia, e anche a chi viaggia solo con la mente.
 

IreneElle

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C'è chi dice che "il vento è forte" oppure che "Il vento soffia", qualcuno invece scrive così:
"Mi affaccio sul fiume che va nella sera. Il vento di nordovest lo gonfia e lo spinge verso il mare come farebbe con una vela nel maestrale, porta profuma di stoppie dal mare di grano intorno, sostiene due cicogne ferme nell'aria come deltaplani, entra nella bottiglia semivuota di birra Sarmat -sentite che nome!- che tengo in mano e la fa suonare come un'auto. Passa una vela, il Dnestr si inargenta, il cielo diventa violetto e le rive paiono ancora echeggiare delle grida dei soldati, mercanti e doganieri".
Con Rumiz ho viaggiato attraverso l'Europa seguendo una rotta del tutto originale. Tutti viaggiano più o meno ma poi ci sono i viaggiatori-narratori come Rumiz e Terzani che ci regalano certe pagine.
 

lettore marcovaldo

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Una delle chiavi di lettura di questo libro è forse la domanda: "Cosa si intende per Europa ?"
Nel suo viaggio l'autore, cerca traccia delle diverse culture che hanno costruito l'europa orientale.
Evidenzia, nel suo lungo percorso, quelle che sono le stratificazioni e sedimentazioni, di culture vecchie e nuove.
La risposta alla domanda forse è che non esiste e non può esistere una sola idea di Europa, che ne riconduca la complessità a una sola immagine.
L'idea stessa è cambiata nel tempo. Così come sono cambiati i confini e le persone che abitavano all'interno di quei confini.
Forse quello che meglio rappresenta questa parola è proprio la continua rielaborazione e cambiamento che attraversano i territori e popolazioni
che ne fanno parte.
 

ayuthaya

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Partire dunque, ma per dove? La Cortina di ferro non c’era più, i reticolati erano stati sostituiti da spazi addomesticati, musei e piste ciclabili. Per cercare spazi bradi bisognava andare oltre, sul margine orientale dell’Unione europea. Forse lì cominciava ancora un “altro mondo”. E così non mi restò che immaginare un itinerario bordeline dal Mar Glaciale Artico al Mediterraneo, fino alla Turchia e magari fino a Cipro. Le soprese non sarebbero mancate.


Ho iniziato questo libro con un po' di titubanza, timorosa soprattutto che il mio amore per Tiziano Terzani rendesse il confronto inevitabile e impietoso. Invece fortunatamente questo non è accaduto, perché un confronto vero (che io d’altronde non desideravo) non c’è stato. E la ragione principale, la più semplice ed evidente, è che le terre e quindi le culture esplorate dai due giornalisti/viaggiatori sono totalmente diverse: Terzani racconta l'Asia, anzi è l'Asia. Paolo Rumiz, invece, almeno in questo libro, ci parla dell'Europa: regioni e culture a noi molto più vicine, almeno sulle carta. E invece, grazie a questo libro, mi sono resa conto che spesso non so di cosa parlo quando parlo di Europa. E in effetti non è nemmeno così scontato: nel corso del Novecento le medesime terre hanno cambiato nome, appartenenza, spesso semplicemente "padrone" più e più volte, al punto che quasi più non sappiamo come chiamarle...
Per tale ragione Rumiz dà maggiore importanza al nome della regione geografica rispetto a quello dello Stato: il suo viaggio si snoda attraverso la Borea, la Carelia, la Livonia, la Polesia... e non la Finlandia, la Russia, la Bielorussia, l’Ucraina e così via... Ho notato infatti che la geografia, intesa proprio come ambiente naturale, paesaggio, clima, è una delle protagoniste principali di questo libro. Non perché la natura, per quanto primordiale e selvaggia, prevalga sull'uomo e lo annulli, ma al contrario perché è stata lei a plasmarlo nel corso dei secoli; per questo motivo sarà più facile comprendere un popolo, se comprendiamo l'ambiente in cui è vissuto. Non si può non farsi coinvolgere dal trasporto che Rumiz prova per l'aspra bellezza dei paesaggi nordici e in particolare per il dominio assoluto dell'elemento acqua, vero filo conduttore (come lui stesso ammette) di questo viaggio. Sono davvero le pagine più belle.

E l'identità? È possibile che in mezzo a tanti avvicendamenti politici sia sopravvissuta un'identitè? O questa identità è proprio da riscoprire, strato dopo strato, ripercorrendo tutto ciò che è avvenuto non come se lo leggessimo sulle pagine di un libro di storia, ma sul volto delle persone, nei loro racconti, nei loro gesti, a volte solo nei loro muti sguardi? “I viaggi leggeri sono fatti così: le soste generano incontri e gli incontri rimettono in moto l’avventura. Funziona sempre, anche qui.” Ed è indubbio che lo spirito che anima i due viaggiatori (già, due, perchè dimenticavo di dire che lo scrittore triestino è accompagnato dall’amica, fotografa e interprete, Monika Bulaj) è la ricerca dell’incontro vero, quello che genera una storia, da trascrivere in un taccuino ma soprattutto da serbare nel cuore.

Ma il viaggio di Rumiz, questo particolare viaggio che insegue le tracce di un’Europa verticale per interrogarsi alla fine sull’esistenza stessa di “un’Europa”, nasce da una nostalgia: ora che Schengen ha quasi del tutto abolito nel nostro continente il concetto di frontiera, di limes, in Rumiz nasce “la nostalgia di un confine vero, di quelli di una volta, con reticolati vero, occhiate arcigne, bagagli passati al setaccio e un silenzio teso davanti all’uomo in divisa col tuo passaporto”. E alla fine del viaggio, seimila chilometri per soli trentatrè giorni (ma... “potevo andare da nord a sud, per evitare temperature estreme e compensare con il procedere della stagione calda i rigori del Nord. Ho scelto di fare il contrario, per dilatare la latitudine con il calendario. In questo modo invece di trenta paralleli, è come se ne avessi attraversati cinquanta, e invece di un mese ne ho vissuti tre”), il cerchio si chiude, sul traghetto che da Odessa, in Ucraina, lo condurrà a Istanbul.
Il viaggio lungo la nuova Cortina di ferro è finito. Cercavo una Frontiera vera, e l’ho trovata. A volte ha coinciso con i confini nazionali, altre volte no (…) Mi chiedo che ne sarà della vecchia Europa, del suo martoriato cuore contadino ed ebraico spazzato da troppe guerre. Alla stazione di Sirkeci mi aspetta il treno per Belgrado (…) Solo il turco e la circassa sembrano non tenere conto dell’orologio (…) Si baciano, indifferenti alla città, alla gente, alla pioggia.

Bello, davvero un bel libro (PS consigliatissimo per chi di voi sta affrontando la sfida sull’Europa!). Da leggere e, per me sicuramente, rileggere.

E se l’Europa fosse solo una fata Morgana irraggiungibile, come diceva Gombrowicz, proprio per chi si affanna a cercarla da Oriente? E se fosse un lento divenire, un progressivo addensarsi di etnie verso le terre del tramonto, oltre le quali non c’è che l’infinito oceano?
 
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