Carcarlo
Nave russa, vaffanculo!
Baroja, Pìo – L’albero della scienza
Nel 1898 la Spagna perde la guerra contro gli Stati Uniti, perciò gli deve cedere Cuba, Puerto Rico, le Filippine e Guam.
E’ la fine di un impero durato 400 anni e che segnerà gli scrittori dell’epoca noti come Generazione del 98: Unamuno, Baroja, Azorìn, Valle Inclàn, Antonio Machado, Manuel Machado, Ramiro de Maeztu e forse anche Jacinto Benavente e Blasco Ibanez.
L’albero della scienza (El àrbol de la ciencia) è l’opera principale di Pìo Baroja e viene pubblicata nel 1911.
Il protagonista è Andrès, un giovane medico che affronta attraverso esperienze proprie e altrui, la sofferenza della vita.
Gli eventi si svolgono a cavallo del 1898, tra Madrid, Valencia e La Mancha.
La lettura è facile, affatto pesante.
Le descrizioni sono leggere e perfette, come se fosse un quadro impressionista.
Al racconto s’intrecciano le discussioni filosofiche tra Andrès e lo zio Iturrioz su Schopenhauer, Kant e le scoperte scientifiche.
Fino a qui tutto bene, viene da pensare che Baroja fosse tentato di scrivere qualcosa di bello, solo che poi stringendo ci sono alcune cose che stridono (per usare un eufemismo) come:
Il suo libro merita di stare con il dorso verso il muro.
Pìo Baroja e Unamuno sono due icone della letteratura spagnola del secolo XX che nessuno osava mettere in discussione, anche perché nessun solone delle 700 accademie là sparpagliate l’avrebbe mai permesso, e questo perché i soloni, al tempo ce li metteva il caudillo francisco franco, che non potendo vantare oppositori come Antonio Machado (morto in esilio) o Garcìa Lorca (fucilato e per giunta gay nella Spagna iper cattolica!), doveva far di questi due vecchi tromboni dei baluardi.
A noi è toccato D’Annunzio, ma fino al 1945, poi c’abbiamo dato un taglio.
Nel 1898 la Spagna perde la guerra contro gli Stati Uniti, perciò gli deve cedere Cuba, Puerto Rico, le Filippine e Guam.
E’ la fine di un impero durato 400 anni e che segnerà gli scrittori dell’epoca noti come Generazione del 98: Unamuno, Baroja, Azorìn, Valle Inclàn, Antonio Machado, Manuel Machado, Ramiro de Maeztu e forse anche Jacinto Benavente e Blasco Ibanez.
L’albero della scienza (El àrbol de la ciencia) è l’opera principale di Pìo Baroja e viene pubblicata nel 1911.
Il protagonista è Andrès, un giovane medico che affronta attraverso esperienze proprie e altrui, la sofferenza della vita.
Gli eventi si svolgono a cavallo del 1898, tra Madrid, Valencia e La Mancha.
La lettura è facile, affatto pesante.
Le descrizioni sono leggere e perfette, come se fosse un quadro impressionista.
Al racconto s’intrecciano le discussioni filosofiche tra Andrès e lo zio Iturrioz su Schopenhauer, Kant e le scoperte scientifiche.
Fino a qui tutto bene, viene da pensare che Baroja fosse tentato di scrivere qualcosa di bello, solo che poi stringendo ci sono alcune cose che stridono (per usare un eufemismo) come:
- non si può criticare l’ignoranza del popolo spagnolo e il suo disprezzo verso tutto ciò che è straniero se, il primo a disprezzare tutto ciò che è straniero è l’autore stesso: un francese, un italiano o un tedesco che non dia noia all’autore non c’è!
- non è digeribile un libro sulla sofferenza che poi accetta sollazzandosi la pancia che questa esista e sia inutile fare qualcosa per evitarla perché tanto chi nasce povero, malato, prostituta, schiavo… poi ha lo spirito da povero, malato, prostituta, schiavo…che glielo fa sopportare.
- non è sopportabile che un uomo colto (laureato in medicina) che aveva girato il mondo vedesse di buon grado l’ignoranza della massa pur conoscendo benissimo le conseguenze che ciò comportava.
- non è accettabile che in un libro di 300 pagine il termine semitico venga adoperato almeno 20 volte sempre in tono dispregiativo anche se c’entra come i cavoli a merenda con l’argomento, e spesso abbinato ad altre parole come stirpe o razza.
Il suo libro merita di stare con il dorso verso il muro.
Pìo Baroja e Unamuno sono due icone della letteratura spagnola del secolo XX che nessuno osava mettere in discussione, anche perché nessun solone delle 700 accademie là sparpagliate l’avrebbe mai permesso, e questo perché i soloni, al tempo ce li metteva il caudillo francisco franco, che non potendo vantare oppositori come Antonio Machado (morto in esilio) o Garcìa Lorca (fucilato e per giunta gay nella Spagna iper cattolica!), doveva far di questi due vecchi tromboni dei baluardi.
A noi è toccato D’Annunzio, ma fino al 1945, poi c’abbiamo dato un taglio.
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