Ora però vorrei dire due parole sul dramma che ho visto ieri sera, "La foresta pietrificata".
L'autore, che scrisse quest'opera teatrale nel 1935, era Robert E.Sherwood, sceneggiatore americano vincitore di quattro premi Pulitzer.
Ne "La foresta pietrificata" riecheggiano situazioni e stati d'animo relativi alla Grande Depressione: assoluta mancanza di prospettive sia economiche che esistenziali, stagnazione di ogni slancio vitale, diffuso senso di rinuncia a qualunque iniziativa, senso di tragica inutilità dell'esistenza.
Su questo humus di immobilismo e disperazione si intrecciano le storie di due uomini, ribelli in modo speculare, e di una donna, l'unica figura veramente positiva della storia.
L'azione scenica si svolge in un bar-stazione di servizio vicino al deserto dell'Arizona, dove la vicina foresta di alberi scheletriti diventa metafora di un non-luogo immobile, congelato in un eterno presente senza speranza.
I due uomini sono un bandito ed un poeta, entrambi outsider, entrambi mortalmente affascinati dall'abisso di un destino ineluttabile. La donna è la nipote del vecchio proprietario della locanda, è giovane, palpitante, piena di sogni.
Ciò che accadrà nel corso del dramma stravolgerà le esistenze dei protagonisti, o forse no, forse le porterà ad un compimento che anche nei suoi risvolti tragici sarà comunque la costruzione di un senso per ognuno di loro.
Nella versione che ho condiviso qui gli attori sono grandi artisti del passato che si destreggiano superbamente in un crescendo drammatico che emoziona e coinvolge fino al momento dell'intenso finale.