Bracht, Mary Lynn - Figlie del mare

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Statua della Pace, eretta in ricordo delle 200mila donne ridotte dai giapponesi in schiavitù sessuale.

"Corea, 1943. Per la sedicenne Hana sapere immergersi nelle acque del mare è un dono, un antico rito che si trasmette di madre in figlia. Nel buio profondo delle acque, è solo il battito del cuore che pulsa nelle orecchie a guidarla sino al fondale, in cerca di conchiglie e molluschi che Hana andrà a vendere al mercato insieme alle altre donne del villaggio. Donne fiere e indipendenti, dedite per tutta la vita a un'attività preclusa agli uomini. Nata e cresciuta sotto il dominio giapponese, Hana ha un'amatissima sorella minore, Emi, con cui presto condividerà il lavoro in mare. Ma i suoi sogni si infrangono il giorno in cui, per salvare la sorella da un destino atroce, Hana viene catturata dai soldati giapponesi e deportata in Manciuria, dove verrà imprigionata in una casa chiusa gestita dall'esercito. Ma una figlia del mare non si arrende, e anche se tutto sembra volerla ferire a morte, Hana sogna di tornare libera. Corea del Sud, 2011. Arrivata intorno agli ottant'anni, Emi non ha ancora trovato pace: il sacrificio della sorella è un peso sul cuore che l'ha accompagnata tutta la vita. I suoi figli vivono un'esistenza serena e, dopo tante sofferenze, il suo Paese è in pace. Ma lei non vuole e non può dimenticare..."

In Figlie del mare rivive un episodio che la Storia ha rimosso: una pagina terribile che si è consumata sulla pelle di intere generazioni di giovani donne coreane e che è tornata alla luce solo nel 1992, dopo che una comfort woman si fece avanti per raccontare la sua storia. Le poche sopravvissute chiedevano giustizia e che il Giappone ammettesse i crimini di guerra commessi contro le donne durante la seconda guerra mondiale.
Le comfort women erano donne e bambine (se ne stimano fra le cinquantamila e le duecentomila) che durante la colonizzazione della Corea da parte del Giappone furono rapite dall’esercito giapponese e costrette a prostituirsi per i militari. Di tutte queste donne, quando l’autrice scrive, le sudcoreane in vita sono solo quarantaquattro.

La narrazione segue due linee temporali distinte, la storia di Hana si svolge negli anni Quaranta e quella di Emi nel 2011 anno in cui la donna, ormai anziana e malata, continua a tentare di scoprire cosa sia successo alla sorella tanto amata. Hana si è sacrificata per salvare la sorellina Emi dal rapimento da parte dei soldati giapponesi, e questo evento, che non riuscirà mai a raccontare per la vergogna e il dispiacere, segnerà Emi per tutta la vita.
Hana e Emi sono haenyeo, ovvero “donne del mare” in coreano, donne che da secoli si immergono e pescano in apnea nell’sola di Jeju, in Corea del Sud. Queste pescatrici di abaloni, ricci di mare e polpi rappresentano una tradizione che ha oltre 1.500 anni. Le haenyeo iniziano ad immergersi a dieci anni, imparando a scendere fino a venti metri di profondità e a trattenere il respiro fino a due minuti di seguito.

“Ci tuffiamo in mare come le nostre madri e le nostre nonne e bisnonne hanno fatto prima di noi per secoli. Il dono è il nostro orgoglio, perché ci rende libere di non dover rispondere a nessuno, né ai nostri padri, né ai mariti o fratelli maggiori, e neanche ai soldati giapponesi durante la guerra. Ci procuriamo da sole il cibo che ci basta e vendiamo il resto guadagnando con il nostro lavoro; il mare è la nostra fonte di sopravvivenza e di benessere. Viviamo in armonia con la natura.”

“Sull’isola di Hana, le immersioni erano un lavoro per donne. Il loro corpo era più adatto di quello maschile ad affrontare le fredde profondità dell’oceano. Riuscivano a resistere più a lungo in apnea, a scendere più in profondità e mantenevano meglio la temperatura corporea, così da secoli le donne di Jeju godevano di un’inusuale libertà di movimento”.

“La compassione è gentilezza”, disse la giapponese con convinzione. “Ognuno di noi merita compassione, ma in questa terra abbandonata nessuno ha la compassione di riservarci un po’ di gentilezza. Perciò siamo prigioniere di questa umiliazione, torturate giorno dopo giorno. A noi non resta altro che concederci a vicenda quel poco di gentilezza che abbiamo”.


La scrittrice vive a Londra, ma è di origini coreane, ha avuto modo di ritornare al villaggio della propria madre e di scoprire l’orrore nascosto della guerra.

Consigliatissimo! E' duro e intenso.
 
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