Falcones, Ildefonso - Schiava della libertà

qweedy

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"Cuba, metà del XIX secolo. Una grande nave raggiunge la spiaggia di Jibacoa. La stiva non contiene merci, ma qualcosa di ben più prezioso, e al tempo stesso assai più a buon mercato: persone. Donne. Schiave. Prelevate dai loro villaggi in Africa con l'inganno, sono uno dei beni più ricercati a Cuba. Nella schiera di ragazze sporche e denutrite c'è anche l'undicenne Kaweka, che finisce tra gli schiavi del potente marchese di Santadoma. Indomita e fiera, Kaweka sente dentro di sé il peso di un'ingiustizia che desidera ardentemente riparare. Col passare degli anni, la causa della liberazione del suo popolo diventa persino più importante dell'amore per Modesto, che ha conosciuto nella piantagione. Perché l'unica schiavitù a cui Kaweka è disposta a sottomettersi è la lotta per la libertà. E spinta dalla sua vocazione decide di fuggire, mentre all'orizzonte si addensa lo spettro della guerra di indipendenza di Cuba e delle prime rivolte degli schiavi...

Madrid, oggi Lita ha una promettente carriera nella prestigiosa banca dei marchesi di Santadoma, i quali stanno cercando di mettere a punto una lucrosa vendita del proprio istituto a un gruppo finanziario americano. Ma Lita non è solo una giovane donna in carriera nel difficile mondo della finanza: è la figlia di una domestica di casa Santadoma, e nella lotta per farsi valere porta su di sé anche il peso del riscatto dalle umili origini e del colore della propria pelle. Un'inattesa visita a Cuba la avvicina non solo alle sue radici, ma anche a una sconvolgente rivelazione sulla storia della propria famiglia. Una rivelazione che la riconnette a un mondo potente e ancestrale, mentre affiorano verità sempre più inquietanti sull'origine dell'immensa fortuna dei marchesi... Un romanzo che attraverso i secoli e le generazioni racconta la straordinaria epopea di due donne coraggiose, legate dal sangue e da un ideale, alla ricerca di giustizia e libertà e disposte a combattere fino alla fine pur di ottenerle."

La vicenda si svolge a capitoli alterni a Cuba, impero spagnolo, 1856, dove gli schiavi continuano ad arrivare clandestinamente dall’Africa (la Spagna, unica tra i paesi occidentali, non ha ancora abolito la schiavitù nei suoi possedimenti coloniali) e a Madrid nel 2017, attraverso la vita di due giovani donne, una discendente dall'altra.

Sulla spiaggia di Jibacoa sbarca un carico prezioso, 700 ragazzine. Tra loro Kaweka, una yoruba di undici anni originaria della Guinea. Sarà schiava, la schiena lacerata dalle frustate, data ad altri schiavi affinché possa procreare carne da far lavorare, cantare e non pensare. Ma Kaweka è anche una prescelta, una guaritrice, in grado di accogliere la divinità, essere posseduta dalla dea Yemayá, capricciosa e volubile. Lei pensa, alza la testa e combatte.

Nell’elegante quartiere Salamanca di Madrid, nel 2017, María Regla Blasco, soprannominata Lita, è manager nella banca dei marchesi Santadoma. Figlia della domestica Concepción, al servizio da sempre della ricca famiglia di banchieri, Lita ha avuto la possibilità di studiare, e di iniziare a fare carriera.

Molta ricerca storica e molti i temi affrontati, dalla schiavitù, alle società e alle banche che si sono arricchite grazie al lavoro degli schiavi, al Decennio internazionale per la difesa degli afrodiscendenti (programma delle Nazioni Unite che ha l’obiettivo di difendere i diritti dei discendenti degli schiavi di epoca coloniale in tutto il mondo e aiutarli a chiedere risarcimenti) e al realismo magico (la possessione della dea Yoruba che dona capacità guaritrici e divinatorie alla prescelta).
Le sfumature esoteriche si insinuano nel racconto e lo pervadono di estasi, danze sfrenate, ritmo di tamburi, e offerte rituali. La Santeria è parte integrante delle due vicende, entrambe legate alla religione, a un senso della divinità bruciante: gli orisha si impossessano di volontà e parola, mandano in trance, scatenano chi ne è posseduto. La divinità è parte della vita, portatrice cocciuta di verità e di impegno, alleata di resistenza e di lotta: è un legame di appartenenza e di rivalsa.

Questo ultimo romanzo di Ildefonso Falcones non mi ha però convinto del tutto. L'ho trovato un po' noioso e ripetitivo, nonostante gli argomenti della trama fossero nelle mie corde.


“«Che cantino, signor Narváez», disse il marchese rivolgendosi al capataz. «Mentre cantano non pensano, signor Narváez…» gli ricordò, come sempre faceva nelle visite alle piantagioni.”
È una cantilena monotona, un canto lugubre di dolore e di protesta, quello che accompagna il lavoro degli schiavi e delle schiave nei campi di canne da zucchero dell’ingenio La Merced. Ma il marchese Santadoma non ne conosce le parole e non lo può sapere. A lui basta che gli uomini e le donne che ha comprato lavorino, senza pensare, mentre a quel canto si aggiungono gli schiocchi di frusta, gli ordini urlati, i rumori dei machete.

«Lei stessa capì che quel momento non si sarebbe affatto concluso con il dolore delle frustate: comportava anche il superamento di una tappa nella vita di una ragazzina innocente che come tutte loro era capace di sorridere di fronte alle disgrazie, di giocare nello stesso posto dove poco prima un nero era crollato esausto. Mamma Ambrosia si era presa cura di Kaweka cercando di fare per lei ciò che facevano le altre madri con le proprie figlie.»

«Sono mulatta e di sicuro discendo da quegli schiavi della piantagione del marchese che tagliavano le canne da zucchero. E quello che viene venduto a questo tavolo non è altro che il frutto del loro sangue, delle loro vite! Probabilmente anche quella di qualche mio antenato che è morto sotto la frusta dei Santadoma.»

“Lita fissò lo sguardo su quella Vergine nera con il mantello blu. Non era solo Regla, ma anche Yemayá, la dea dei mari, e si mostrò a lei. I loro spiriti si fusero e un’immensa gioia la pervase. Non c’era spazio per la paura o i dubbi. Lita ebbe l’impressione di essere nata solo per quel momento. La sua vita non aveva altro significato che essere lì, in intima comunione con quella piccola Vergine, il ritmo dei sensi scandito dall’agitazione dei mari che la dea dominava”.

«Lita danzò, trascinata da una forza incontrollabile, alternando, come la giovane che l’aveva preceduta, un ritmo frenetico a movenze più delicate. Sentiva il mare vicino a sé e le onde lambivano il suo spirito, ma, a differenza dell’altra ballerina, Lita cantava… E lo faceva con una voce che non era la sua…»
 
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