Smith, Massimo - Il rasoio di Occam

Pathurnia

if you have to ask what jazz is you'll never know
Il bello di una non - recensione. Commento semiserio a "Il rasoio di Occam" di Massimo Smith

Prima di iniziare a parlare del romanzo voglio raccontare come l'ho pescato.
Primo: vado su Internet Archive e cerco "Il romanzo di Ferrara" che ho in mente da un po'. Lo trovo, lo seleziono.
Poi, come è mia abitudine, vado a guardare in calce se ci sono, tra i metadati, altri suggerimenti di lettura. Internet Archive mi offre altri quattro titoli, tra cui "Il romanzo di Londra" di A. Caprarica.
Clicco e lo seleziono, ma non sono contenta, non mi fermo.
Vado in calce a vedere ancora una volta i quattro titoli successivi e trovo il titolo "Il rasoio di Occam" di Massimo Smith. L'autore non mi dice niente ma il titolo mi attizza.
E qui una piccola considerazione. Ho sempre pensato che il titolo non fosse importante e invece lo è, eccome. Se si fosse chiamato in un altro modo probabilmente sarei andata avanti nella ricerca; a volte perdo ore intere senza trovare niente che mi faccia scoccare la famosa scintilla.:mad: Ok, l'ho scelto.
All'inizio l'ho letto con una disposizione d'animo un po' fasulla, pensando che dopo Coetzee e Yehoshua avevo diritto a far riposare i neuroni con un intermezzo leggero, un po' come andare a mangiare un hamburger dopo settimane di cucina gourmet. Che stupidaggine. Non puoi saperlo a priori, devi almeno assaggiare.
Non ho solo assaggiato ma le 350 pagine sono state una lettura piacevole. Però 'sta cosa di contare le pagine è tremenda, è un retaggio di esami universitari, fa pensare al dovere di andare fino in fondo mentre sappiamo che il bello è godersi la narrazione, e MAI soltanto sapere come va a finire. Certe abitudini restano appiccicate, pazienza.
Il libro mi ha "smosso" qualcosa fin dall'inizio.
(Tra parentesi, che bello che questa sia una non-recensione, se fosse una recensione "classica" non avrei mai il coraggio di usare espressioni come mi ha smosso qualcosa :p)
All'inizio le descrizioni di una Napoli violenta, rumorosa, cinicamente indifferente alle vicende delle persone mi hanno fatto quasi arrabbiare, ho provato un intenso fastidio all'idea che tanta gente viva in una dimensione così caotica ma per me è facile dimenticare il frastuono del mondo, soprattutto perché vivo lontano dalla città, lontano perfino dal paesello più raggiungibile, in un luogo dove basta alzare gli occhi per vedere solo cipressi, pini, eucalipti.
Se però il frastuono arriva dalle pagine di un libro non è detto che sia meno urticante.
Da questo punto di vista l'autore è abile, riesce a immergere il lettore nel microcosmo di una narrazione vivace e realistica.
Per la trama prendo in prestito alcune frasi da Internet:
In una Napoli plumbea, insensibile alla vita e alla morte, un micidiale assassino colpisce seguendo un disegno apparentemente incomprensibile. Tutto sembra ruotare intorno a Francesca, cronista di Napolistrada, un piccolo quotidiano cittadino che, dopo aver assistito all'ennesimo orrore quotidiano - un'auto travolge e uccide un bambino nell'indifferenza generale -, decide di ribellarsi e reagire raccontando sul blog del suo giornale quella terribile esperienza. A mo' di sfogo, augura una morte dolorosa e brutale a coloro che, nei minuti successivi alla tragedia, ha visto osservare la scena con occhi quasi infastiditi, assuefatti all'orrore. Poche ore dopo, qualcuno uccide una donna seguendo alla lettera il canovaccio scritto in rete da Francesca. Sulla scena del delitto resta un solo, enigmatico indizio. Trascorrono alcuni giorni, e un articolo di Francesca anticipa un altro delitto dalle modalità sconvolgenti, aggravando la sua posizione di principale indiziata. Da quel momento, alla giornalista e a chiunque cerchi di aiutarla a capire cosa si cela in quell'incubo, appare evidente che il misterioso killer non si fermerà finché non avrà raggiunto il suo scopo.
Fonte:
Questa, più o meno, la storia.
I personaggi sono rappresentati in modo discontinuo: alcuni sono analizzati ed espressi in maniera più incisiva di altri mentre certi caratteri sembrano solo abbozzati. Abbastanza improbabile, fra tutte, la figura dell'arabo Ibrahim, il sapiente emarginato che per primo intuisce l'atroce verità. Comunque l'autore ha una buona capacità di suscitare l'empatia e questo fa sì che il lettore rimanga avvinto alle pagine e provi attrazione per alcuni dei protagonisti.
Il ritmo della narrazione è serrato e tutto sommato tiene desta l'attenzione, anche se a volte l'intreccio è un po' macchinoso (ma in quale giallo non lo è).
Secondo me le parti più riuscite sono le descrizioni delle città, nelle quali l'autore riesce a cogliere il clima emotivo delle relazioni e - per così dire - la personalità collettiva di un luogo. Molto vibranti e intense anche le riflessioni di Massimo Smith sull'atteggiamento cinico attuale, sulla desolante mancanza di umanità e sul graduale svuotarsi di senso della vita sociale.
Mi sono invece sembrate un po' stilizzate le descrizioni delle "forze dell'ordine", con i soliti Capi che impediscono lo svolgimento delle indagini per eccessivo rigore procedurale o per miopia di burocrati.
Concludendo affermerei che mi son piaciute molto le parti introspettive e riflessive, mentre ho apprezzato un po' meno il lato propriamente thriller.
E che c'entra il rasoio di Occam? C'entra, c'entra, perché la soluzione ce l'avevamo davanti agli occhi ma non riuscivamo a vederla.
Io di sicuro non l'avevo intuita, anche se il colpo di scena finale - a posteriori - era del tutto prevedibile.
Insomma, un libro da leggere? E perché no?
🙋‍♀️
 
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