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E' un racconto epistolare, scritto durante la clandestinità e la lotta di Liberazione, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale (quando ancora i Tedeschi dominavano la Francia).
Si compone di quattro lettere, scritte da un Francese ad un Tedesco che aveva conosciuto prima della guerra, e di cui era diventato amico, in risposta alle idee manifestate e difese da quest'ultimo.
Due brevi citazioni, dalla prima e dall'ultima lettera, chiariranno l'argomento del dialogo fra i due.
"In un mondo nel quale non vi è più nulla che abbia senso" aveva detto il Tedesco all'amico Francese prima della guerra "coloro che come noi, giovani tedeschi, hanno la fortuna di trovarne uno nel destino della loro nazione, devono sacrificargli tutto".
"Le volevo bene, allora" commenta il Francese nella sua lettera di risposta "ma è già da quel tempo che cominciavo ad allontanarmi da Lei". E aggiunge:
"No" Le dicevo "non posso credere che si debba asservire tutto allo scopo che si persegue. Vi sono mezzi che non si giustificano. Io vorrei poter amare il mio Paese pur amando nello stesso tempo la giustizia"
Questa è la prima citazione. Pone il problema, che rimane interessantissimo se si sotituisce "il mio Io" a "il mio Paese". In un mondo che non ha senso, bisogna sacrificare tutto -- anche libertà, crescita culturale, giustizia e dunque comunicazione fra pari -- alla grandezza del proprio Ego, oppure no, oppure anche in un mondo assurdo e sotto un Cielo indifferente alle vicende umane questi valori non bisogna sacrificarli sull'altare della propria grandezza, del proprio potere, del proprio Ego, in una parola del proprio Narcisismo?
Ed ecco la seconda citazione, dalla fine della quarta ed ultima lettera:
"So che il cielo che fu indifferente alle vostre atroci vittorie lo sarà anche di fronte alla vostra giusta sconfitta. Neppure oggi mi aspetto qualcosa dal cielo. Ma almeno avremo contribuito a salvare la creatura umana dalla solitudine nella quale volevate relegarla. Per aver disprezzato la fedeltà all'uomo, proprio voi, a migliaia, morirete in solitudine. Ora posso dirLe addio"
Il narcisismo, la ricerca di potere ad ogni costo, fra le nazioni come fra gli individui, permette davvero grandi vittorie, ma va sempre incontro a giuste sconfitte finali: questo ci insegna, insieme a tanti altri grandi, Camus. E la sconfitta finale non avviene per un intervento dall'alto, per una punizione dall'esterno, per un giudizio morale emanato da una qualche Istanza Superiore. Semplicemente, avviene perché narcisismo comporta solitudine, prevaricazione sull'altro, e dunque annullamento della libertà, che è sinonimo di relazione umana (ricordate la canzone di Gaber? Libertà, non è star sopra un albero/ non è neanche un gioco o un'invenzione. La libertà non è uno spazio libero: Libertà è partecipazione). Il risultato logico, per il narcisista, non può dunque essere che la morte in solitudine: l'unica,vera, definitiva sconfitta.
Si comprende, vista la coincidenza dei tre concetti di narcisismo, volontà di potenza e assoluta solitudine interiore, la struttura singolare di questo breve racconto epistolare, scritto nella grande tradizione della letteratura occidentale basata sull'essenza del dialogo intimo ed interiore, lo scambio di lettere fra due interlocutori. Singolare struttura, perché l'interlocutore tedesco "parla" solo nel ricordo del suo amico francese. Solo uno dei due personaggi, dunque, appare vivo e completo nel racconto. Dell'altro, l'isolamento à tale che non parla direttamente, non se ne avverte la voce presente: e dunque al lettore non appare più nemmeno vivo nel senso pieno e completo della parola (di aspirare alla morte lo sapevano bene, nazisti fascisti e franchisti, che alla morte innalzavano inni "viva la Muerte!" cantavano). L'amante del potere tanto da essere pronto a sacrificarvi fedeltà all'uomo, giustizia e libertà, vive soltanto nel dialogo e nelle memoria dell'altro, che ancora gli parla, ma che sta per abbandonarlo del tutto, per dirgli l'addio che ne prefigura la sconfitta definitiva e la morte in vera solitudine.
Questo sapeva Camus, quando ancora le armate di Hitler e l'auto-proclamata Grandezza Divina (Gott mitt Uns) della Germania potevano apparire invincibili. La poesia, quando è davvero grande, è profezia.
Si compone di quattro lettere, scritte da un Francese ad un Tedesco che aveva conosciuto prima della guerra, e di cui era diventato amico, in risposta alle idee manifestate e difese da quest'ultimo.
Due brevi citazioni, dalla prima e dall'ultima lettera, chiariranno l'argomento del dialogo fra i due.
"In un mondo nel quale non vi è più nulla che abbia senso" aveva detto il Tedesco all'amico Francese prima della guerra "coloro che come noi, giovani tedeschi, hanno la fortuna di trovarne uno nel destino della loro nazione, devono sacrificargli tutto".
"Le volevo bene, allora" commenta il Francese nella sua lettera di risposta "ma è già da quel tempo che cominciavo ad allontanarmi da Lei". E aggiunge:
"No" Le dicevo "non posso credere che si debba asservire tutto allo scopo che si persegue. Vi sono mezzi che non si giustificano. Io vorrei poter amare il mio Paese pur amando nello stesso tempo la giustizia"
Questa è la prima citazione. Pone il problema, che rimane interessantissimo se si sotituisce "il mio Io" a "il mio Paese". In un mondo che non ha senso, bisogna sacrificare tutto -- anche libertà, crescita culturale, giustizia e dunque comunicazione fra pari -- alla grandezza del proprio Ego, oppure no, oppure anche in un mondo assurdo e sotto un Cielo indifferente alle vicende umane questi valori non bisogna sacrificarli sull'altare della propria grandezza, del proprio potere, del proprio Ego, in una parola del proprio Narcisismo?
Ed ecco la seconda citazione, dalla fine della quarta ed ultima lettera:
"So che il cielo che fu indifferente alle vostre atroci vittorie lo sarà anche di fronte alla vostra giusta sconfitta. Neppure oggi mi aspetto qualcosa dal cielo. Ma almeno avremo contribuito a salvare la creatura umana dalla solitudine nella quale volevate relegarla. Per aver disprezzato la fedeltà all'uomo, proprio voi, a migliaia, morirete in solitudine. Ora posso dirLe addio"
Il narcisismo, la ricerca di potere ad ogni costo, fra le nazioni come fra gli individui, permette davvero grandi vittorie, ma va sempre incontro a giuste sconfitte finali: questo ci insegna, insieme a tanti altri grandi, Camus. E la sconfitta finale non avviene per un intervento dall'alto, per una punizione dall'esterno, per un giudizio morale emanato da una qualche Istanza Superiore. Semplicemente, avviene perché narcisismo comporta solitudine, prevaricazione sull'altro, e dunque annullamento della libertà, che è sinonimo di relazione umana (ricordate la canzone di Gaber? Libertà, non è star sopra un albero/ non è neanche un gioco o un'invenzione. La libertà non è uno spazio libero: Libertà è partecipazione). Il risultato logico, per il narcisista, non può dunque essere che la morte in solitudine: l'unica,vera, definitiva sconfitta.
Si comprende, vista la coincidenza dei tre concetti di narcisismo, volontà di potenza e assoluta solitudine interiore, la struttura singolare di questo breve racconto epistolare, scritto nella grande tradizione della letteratura occidentale basata sull'essenza del dialogo intimo ed interiore, lo scambio di lettere fra due interlocutori. Singolare struttura, perché l'interlocutore tedesco "parla" solo nel ricordo del suo amico francese. Solo uno dei due personaggi, dunque, appare vivo e completo nel racconto. Dell'altro, l'isolamento à tale che non parla direttamente, non se ne avverte la voce presente: e dunque al lettore non appare più nemmeno vivo nel senso pieno e completo della parola (di aspirare alla morte lo sapevano bene, nazisti fascisti e franchisti, che alla morte innalzavano inni "viva la Muerte!" cantavano). L'amante del potere tanto da essere pronto a sacrificarvi fedeltà all'uomo, giustizia e libertà, vive soltanto nel dialogo e nelle memoria dell'altro, che ancora gli parla, ma che sta per abbandonarlo del tutto, per dirgli l'addio che ne prefigura la sconfitta definitiva e la morte in vera solitudine.
Questo sapeva Camus, quando ancora le armate di Hitler e l'auto-proclamata Grandezza Divina (Gott mitt Uns) della Germania potevano apparire invincibili. La poesia, quando è davvero grande, è profezia.
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