Roth, Philip - Professore di desiderio

Roberto53

Roberto53
L'ho iniziato subito dopo avere finito il "Lamento di Portnoy".
Interrotto dopo una sessantina di pagine perchè mi sembrava troppo simile al precedente, anzi meno incalzante pertanto un poò noioso....
 

ayuthaya

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Bene. Detto questo, bando agli indugi, è venuto il momento di svelare ciò che non andrebbe svelato – la storia del desiderio del professore.”


Come mi era successo poco prima con Bernhard, mi ha preso una voglia improvvisa di rileggere Philip Roth e, scorrendo i titoli possibili, questo mi ha letteralmente catturato: Il professore di desiderio. Wow. Non so perchè, ma mi attira come non mai. Scopro subito dopo che si tratta del secondo libro della trilogia, che ha per protagonista il professore David Kepesh, di cui ho letto solo l’ultimo: L’animale morente. Tanto meglio, so con chi ho a che fare: autore e protagonista.

Ricordavo che il professore in questione era non poco ossessionato dalle donne e dal sesso (d’altra parte stiamo parlando di Roth, chi lo conosce di certo non si stupirà), però mi ha sorpreso scoprire che in un certo senso questo è un romanzo di formazione: si apre con David bambino – affascinato da un personaggio estroso ed esibizionista che svolge il ruolo di “intrattenitore, direttore d’orchestra, cantante sentimentale, comico e maestro di cerimonie” nell’albergo dei suoi genitori – per proseguire con il suo percorso universitario, fino a raggiungere l’età matura. Gli anni più formativi sono ovviamente quelli del college, dove si fa i primi amici e si interfaccia per la prima volta con le donne. Il “problema” di David è la sua sincerità rispetto ai propri appetiti sessuali o, sarebbe più corretto dire, rispetto al proprio indomabile e limpido interesse verso il sesso. “Non c’è da stupirsi se entro l’ultimo anno mi sono fatto una «terribile» reputazione fra le congregazioni di studentesse per aver cercato di sedurre qualche «sorella» con il mio aggressivo candore.

Le cose cambiano quando si trasferisce a Londra con una borsa di studio e va a vivere insieme ad altre due studentesse, che molto volentieri si prestano ad esplorare con lui tutti i meandri del sesso e le sue perversioni. Qui David è convinto di aver trovato il “paradiso”, fin quando non scoprirà, con grande sorpresa e sincero rammarico, che una delle due ragazze, realmente innamorata di lui, condivideva questi giochi erotici a tre solo per compiacerlo. Dopo che la giovane torna presso la casa dei suoi genitori, David inizia a girare l’Europa in compagnia dell’altra ragazza, Brigitta, che in quanto a pulsioni e disinibizioni sembra persino superare il suo maestro. Eppure dopo un po’ di tempo i due si lasciano (paradossalmente è lui che si spaventa e la allontana) e David continua il suo percorso di vita: diventa insegnante, si sposa, divorzia, soffre, ritrova l’amore.
Il punto è che, a differenza di quanto io stessa avevo creduto, l’intento di Roth in questo romanzo non è soffermarsi banalmente sugli “appetiti sessuali”, come li ho chiamati all’inizio, del protagonista, quanto interrogarsi sulla natura profonda del “desiderio”, che è indubbiamente anche desiderio sessuale, passione travolgente, istinto irreprimibile, ma si porta dietro una serie di altri sentimenti, primo fra tutti la paura: la paura di lasciarsi andare, la paura di non avere “abbastanza”, la paura di ricominciare, la paura di credere alla possibilità di essere felici. Il momento decisivo, infatti, nella crescita del protagonista è proprio quello successivo al divorzio. Dopo l’esperienza elettrizzante con Brigitta, Kepesh sposa una donna dal passato molto avventuroso e rocambolesco, ma, dopo il primo periodo di smodata passione, i due iniziano a farsi del male a vicenda. Lo fanno senza cattiveria, ma è evidente che il rapporto di coppia “stabile” fra loro non funziona. Ciononostante, la loro separazione lascia l’uomo sconvolto e incapace di ricostruirsi una vita. Quando finalmente sembrerà riuscirci – grazie ad una donna che appare dotata di ogni virtù – ecco subentrare la paura di cui parlavo prima, ecco tornare la nostalgia di Brigitta e della “licenziosa affinità” che aveva con lei, ecco il dubbio che, così come realizzare qualsiasi perversione non è sufficiente ad appagare il desiderio, potrebbe non esserlo neanche costruire la vita perfetta con la donna perfetta. E se poi non funziona?

Il finale del romanzo è aperto: la vita sembra finalmente sorridere a quest’uomo perennemente tormentato dal desiderio, ma noi sappiamo che non è così. Sappiamo, se non altro, che questo non è l’ultimo capitolo della sua storia e forse è proprio questa incapacità di fermarsi, di raggiungere un completo appagamento, che affascina: la soddisfazione in fondo estingue il desiderio, che, nel bene e nel male, si afferma quindi come incessante anelito a qualcosa d’altro, qualcosa di più.
 
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