Una domanda mi frullava per la testa mentre leggevo questo libro, dallo stile e dai contenuti molto particolari: è il personaggio di Leni Gruyten a costituire un pretesto per parlare di altro (in questo caso della Germania prima, durante e immediatamente dopo la seconda guerra mondiale) o è l’intera vicenda un pretesto per parlare di Leni, così poco "etichettabile" da aver bisogno, perché la sua figura sia degnamente tratteggiata, di mobilitare una fittissima e variopinta galleria di personaggi?
Io credo che siano vere entrambe le cose. Perché se è innegabile che il racconto, anzi, il “resoconto” della vita di Leni, con tutte le sue vicissitudini (che pure sembrano toccare tutti fuorché lei stessa), è un’occasione colta da Böll per raccontarci una Germania come non ci era mai stata raccontata né dai romanzi né dai libri di storia, è anche vero che questo è possibile solo in virtù della natura eccezionale della protagonista, che, come dicevo, sfugge a qualsiasi definizione, a qualsiasi comprensione razionale...
In effetti, in questo romanzo, personaggio, vicenda e stile narrativo sono strettamente intrecciati, molto più di quanto non sembri all’inizio, quando la “scelta” di Böll di consegnarci il romanzo nella veste di un’inchiesta affidata a un immaginario Autore – il quale si impegna con tutto se stesso a ricostruire ed esporre la vicenda nel modo più oggettivo ed esatto possibile – sembra motivata solo da ragioni stilistiche, letterarie. In realtà mi sono pian piano resa conto che questa scelta (la quale condiziona notevolmente il lettore, in quanto gli impedisce un'eccessiva immedesimazione e lo costringe a un approccio più cerebrale) è profonda, sostanziale. Direi persino che ci offre la chiave di lettura di tutto il romanzo: ponendosi ironicamente dalla parte di chi tutto vorrebbe capire, definire, catalogare, registrare, Böll ci dimostra come in realtà ci siano non solo persone e vite che sfuggono a tale pretesa, ma persino situazioni, interi momenti storici, com'è appunto quello che fa da cornice alla storia.
Per questo la figura di Leni è fondamentale e tutt'altro che pretestuosa: in lei si incarna questa contraddizione fra una pretesa scientificità e la dimostrazione (data dall'uso della parodia) della sua assurdità. Leni è tutta materia, sensualità, concretezza, con dei risvolti persino discutibili se li valutiamo dal punto di vista del comune buon senso; allo stesso tempo la sua innocenza, la sua purezza sono fuori discussione, appunto perché la sua assoluta aderenza alla realtà, intesa non come razionalità ma proprio come realtà fisica, le impediscono qualsiasi forma di malizia. Molti comportamenti di Leni risultano persino autodistruttivi, in quanto sfuggono non solo a qualsiasi ideologia, ma persino a qualsiasi logica "ragionevolezza".
Attraverso Leni la denuncia di Böll è spietata, perché oggetto di questa denuncia è non solo l'orrore del nazismo e della guerra, ma qualsiasi tentativo di ridurre questo dramma a qualcosa di definibile, di semplificarlo in una sorta di lotta “bene contro male” che non corrisponde a verità, in quanto lascia fuori una miriade di personaggi, di situazioni, di sfumature.
Indubbiamente il capitolo che mi ha colpito di più, per la sua profondità, bellezza, intensità, è quello dedicato alla “fine della guerra” che, come sottolinea l'A., erroneamente viene definito “pace”. Be', ammetto di essere rimasta sorpresa dalla complessità dell'universo che mi si è spalancato davanti, a partire dall'analisi del drammatico lasso di tempo che va dalla presa di coscienza dell'imminente sconfitta alla capitolazione vera e propria: dove rifugiarsi? da che parte stare? chi sono i buoni e i cattivi in questo limbo? e soprattutto chi o cosa mi permette di sopravvivere? che “ruolo” devo rivestire perché mi sia data salva la vita? Questi sono solo alcuni dei disperati interrogativi che la fine della guerra, ancor più della guerra stessa, porta con sé, e che i libri di storia non raccontano.
“Quelli (riferito agli americani) certo avevano creduto che la classificazione nazisti e antinazisti fosse più semplice, un po' troppo semplice; non era semplice affatto, invece, come si erano immaginati nel loro animo infantile.”
Non ci sono eroi in questo romanzo, e nemmeno anti-eroi. Di ogni personaggio è mostrata l'unicità, l'umanità, l'irriducibilità a qualsiasi schema, per cui – a dispetto dell'intento pseudo-documentaristico che si pone l'A. – il risultato è un affresco vivo, vibrante, indimenticabile.
Ho fatto una veste
per la mia canzone
l'ho tutta trapuntata
di vecchie saghe.
Ma i pazzi l'hanno presa
portata agli occhi del mondo
quasi fosse opera loro.
E la portino pure.
Ci vuole più coraggio
ad andare in giro ignudi.