Filosofia ossia della Περὶ φιλοσοφίας

Apart

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Purtroppo non ho avuto modo di effettuare un percorso di studio lineare dei grandi filosofi della storia. Ho studiato soltanto Pessina, Arendt, Habermas, Husserl, Guardini, Kant, Rosseau. Gli altri, i tanti che popolano il mondo della filosofia, li ho afferrati soltanto per cenni, per spunti sintetici, che mi hanno sempre incuriosito e affascinato. Mi piacerebbe approfondirne lo studio. Col tempo ho in mente di farlo. La mia preparazione universitaria attiene prevalentemente alla pedagogia. Mi piace ricordare un pezzo, fra i tanti, de L'esistere pedagogico, di P. Bertolini, pedagogista purtroppo ormai scomparso, in cui sostiene l'importanza della pedagogia e della filosofia; l'indissolubilità delle due, per la tendenza, dell'ultima, a farsi paideica; l'imprescindibilità della prima dalla seconda: "La preoccupazione educativa più autentica ha avuto il suo inizio proprio nel mondo classico, quando l'umanità ha preso coscienza attraverso la filosofia di avere un compito infinito da seguire e realizzare onde costituirsi come realtà spirituale. E' in Grecia infatti che nacque e si sviluppò quello spirito di libera critica che misura, come osservò Husserl, tutte le cose a dei compiti infiniti e che si andò affermando quella tendenza alla realizzazione di una sintesi sempre più vasta degli individui e delle nazioni che rivoluzionò l'intera società umana. Ed è lì che si fece sempre più sentire l'esigenza di un movimento di educazione e di formazione umana rivolta a diffondere il più possibile quella nuova concezione della vita e quei nuovi ideali.".
 
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asiul

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Originariamente inviata da elisa
La filosofia battaglia da sempre contro noi poveri umani soppraffatti dalla schiavitù dei sensi e delle opinioni popolari che i sensi stessi erroneamente imprimono nel nostro pensiero. L'invisibilità è quella caratteristica precipua della realtà che vedono i filosofi che noi comuni mortali vediamo grezza ed erronea, noi siamo ancora nella caverna e anche se ne veniamo fuori non capiamo lo stesso una mazza :mrgreen: Peggio di così! :)

no!noi siamo la caverna:mrgreen:
 

SALLY

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Detto ciò, vorrei fare un’altra domanda: Che cosa è la felicità? Ed esiste? (Aristotele vs Schopenhauer)




Io mi schiero dalla parte di Aristotele anche se non condivido l’idea della felicità come un'esperienza collettiva (secondo mio punto di vista, la felicità è un’esperienza individuale) … e voi?





P. S. Dalla Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America: “Noi riteniamo che tutti gli uomini sono creati uguali e che sono dotati dal loro Creatore di certi inalienabili diritti fra i quali quelli alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità..."

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Secondo me la felicità è uno stato di grazia momentaneo,non può perdurare,opto perciò per Schopenhauer,che è un pò la filosofia Buddhista.

Ciò che dice la dichiarazione di indipendenza degli USA,lo diceva anche Ceccato:Il compito di essere felice,può essere svolto.Studia!
Fà parte di tale compito quindi,anche il non mettersi in condizioni di essere sicuramente infelici.:mrgreen:

Anchio penso che la felicità sia un'esperienza individuale,e non collettiva,anche perchè,come dice sempre Ceccato,collettività = società = diffidenza.:??
 

asiul

New member
La felicità


Hamlet Suite (Shakespeare - Laforgue) Carmelo Bene:ad:

Felicità Felicità maniaca,
che faremo io della mia anima,
lei della sua gioventù cagionevole?

[...]
J' suis jaune et triste, hélas!
Elle est ros', gaie et belle!
J'entends mon cœur qui bat,
C'est maman qui m'appelle!
 

Zefiro

da sudovest
dove le nubi diventano più dense

Mah…! Che la realtà sia un qualcosa di preesistente e più ampio di noi che la percepiamo (e che al massimo ne siamo parte, o meglio una parte) non dovrebbero esserci grossi dubbi. Almeno io non ne ho.

Mi appare infatti di tutta evidenza che le cose “esistono” di per se, la loro consistenza non dipende dal fatto che esse siano o meno percepite. Insomma, che l’essenza e l’ontologia delle cose sia funzionale e non indipendente dalla percezione delle stesse mi sembra davvero duro da sostenere. Se è vero infatti che nel momento in cui non “vediamo” una cosa, non ne siamo a conoscenza, quella cosa per noi non esiste e quindi si potrebbe inferire che non esiste tout court, è pur vero che tutti possiamo testimoniare che di francesi nel mondo ce ne sono parecchi sebbene Cesare non “veda” più la Gallia.

Altro affare è cosa percepiamo quando ci rapportiamo con la realtà, con le cose: le vediamo e le conosciamo come esse sono, o le filtriamo di modo che ciò che riusciamo a conoscere è solo un’immagine, più o meno distorta dallo specchio più o meno deformante delle “nostre” idee comunque esse siano finite o chiunque ce le abbia infilate in testa? (sul come o chi per il momento sorvolo, è altro capitolo…)

Questa, pirandellianamente è altra questione, di soggetto e di parallasse oserei dire: dipende da chi è l’osservatore e da dove si trova.

Quel che mi sento di sostenere è che la conoscenza della realtà è un fenomeno dinamico.

Mi vien da appoggiarmi ad Heisenberg per tentar di spiegare ciò che penso, al suo principio di indeterminazione (che poi è un teorema, dimostrabile quindi..)

Banalizzando, la questione è che in meccanica quantistica, quando si osserva qualcosa, per il semplice fatto che la si sta osservando, ovvero con essa si sta interagendo (as a minimum con i fotoni di luce altrimenti non sarebbe possibile vederla vederla), la si modifica un po’, dinamicamente, con continuità, e non si è in grado per esempio di determinarne con accuratezza assoluta la sua posizione, ma al massimo di stabilire la funzione di probabilità di dove essa sia: al tot percento è lì insomma…

Ecco. Credo le cose stiano così. La realtà ha un suo nocciolo duro di essenza sua a prescindere, non funzionale alla percezione. Nel momento in cui pratichiamo l’atto della conoscenza, essa sfoca un po’, il nocciolo dissolve poco o tanto, in un alone, questo si funzionale all’osservatore, alle sue idee, al suo momento storico, alla sua cultura e così via. L’alone stesso ha a volte la capacità di interagire col nocciolo, finanche, poco o tanto a modificarlo senza però cambiarne radicalmente la struttura. Un processo dinamico appunto.

Una pluralità di osservatori genera una pluralità di aloni solo parzialmente sovrapponibili. Quando più osservatori entrano in relazione tra loro, comunicando e lavorando con onestà intellettuale e lealtà possono arrivare ad un comune accordo su dove è che questa nube probabilistica diventa più densa, limitarne insieme l’estensione: con tutta probabilità la “realtà reale” è nascosta lì.

Verrebbe da dire infine, che quando non percepiamo qualcosa, altri la percepiscono, ma la nostra nuvola, quella si, viene a mancare. Non la realtà per intero quindi, ma la nostra percezione di essa.

Ben poca cosa forse.. si, piccola cosa. La più piccola è più importante del mondo: trovare dove le nuvole si addensano potrebbe diventare complicato per scarsità di nuvole, per numero di campioni insufficiente direbbero i fisici... Di più: potrebbe venir meno proprio quel cumulonembo che lo rende possibile.
 
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Zefiro

da sudovest
il palloncino



Detto ciò, vorrei fare un’altra domanda: Che cosa è la felicità? Ed esiste?


Risposta non rigorosamente filosofica, forse non è il forum giusto, ma in fondo siamo pur sempre in un salotto letterario... A leggerla così a freddo la tua domanda Nicole, qs mi è venuto in mente:

Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
e' dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case

(E. Montale: Felicità raggiunta, si cammina)

A dire: complicato definirla, ma procedendo per contrari ed esclusioni ed approssimazioni successive, questa si una tecnica filosofica, possiamo dire che la felicità sicuramente non è una perdita o una assenza. Ovvio forse ma detto da Montale ha tutto un altro flavour... o no? :? Ah! Potenza della poesia...
 
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Sir

New member
Mi vien da appoggiarmi ad Heisenberg per tentar di spiegare ciò che penso, al suo principio di indeterminazione (che poi è un teorema, dimostrabile quindi..)

Banalizzando, la questione è che in meccanica quantistica, quando si osserva qualcosa, per il semplice fatto che la si sta osservando, ovvero con essa si sta interagendo (as a minimum con i fotoni di luce altrimenti non sarebbe possibile vederla vederla), la si modifica un po’, dinamicamente, con continuità, e non si è in grado per esempio di determinarne con accuratezza assoluta la sua posizione, ma al massimo di stabilire la funzione di probabilità di dove essa sia: al tot percento è lì insomma…

Ecco. Credo le cose stiano così. La realtà ha... [...]

Questo è veramente un ottimo esempio di come la filosofia (e intendo anche semplici o meno semplici pensieri quali sono i nostri) possa e debba calarsi nel tempo in cui viviamo prendendo spunto e adattandosi alle tematiche su cui riflette la scienza. La fisica quantistica ha spalancato una porta enorme, sarebbe un peccato rimanere sull'uscio.
 

Mizar

Alfaheimr
Questo è veramente un ottimo esempio di come la filosofia (e intendo anche semplici o meno semplici pensieri quali sono i nostri) possa e debba calarsi nel tempo in cui viviamo prendendo spunto e adattandosi alle tematiche su cui riflette la scienza. La fisica quantistica ha spalancato una porta enorme, sarebbe un peccato rimanere sull'uscio.
Vero. Oggi fare cultura significa anche tutto questo ed altro. Significa anche fisica quantistica, giochi linguistici, politica, ingegneria, teoria dei segnali, economie di scala, matematica infinitesimale...

Volevo solo aggiungere che il pensiero di un osservatore che modifica l'oggetto osservato è portato della tradizione (di certa tradizione) filosofica. Non da ultimo il più volte nominato Gadamer ha scritto che la contrapposizione soggetto-oggetto in vero è una scacchiera (termine mio :wink:) di domande e risposte per cui osservatore ed osservato si confondono e modificano - quasi un gioco di riflessi.

Ma la nostra storia filosofica è costellata da tracce di questo genere. Cosa voleva forse dirci Eraclito con la metafora del fiume? Il fiume è cambiato e cambia; ma più inquetante è la inferenza: il fatto che anche noi siamo cambiati e cambiamo e facciamo sì che il fiume cambi e viceversa ed ancora.
 

Zefiro

da sudovest
questione di metodo

Volevo solo aggiungere che il pensiero di un osservatore che modifica l'oggetto osservato è portato della tradizione (di certa tradizione) filosofica. Non da ultimo il più volte nominato Gadamer ha scritto che la contrapposizione soggetto-oggetto in vero è una scacchiera (termine mio :wink:) di domande e risposte per cui osservatore ed osservato si confondono e modificano - quasi un gioco di riflessi.

Ma la nostra storia filosofica è costellata da tracce di questo genere. Cosa voleva forse dirci Eraclito con la metafora del fiume? Il fiume è cambiato e cambia; ma più inquetante è la inferenza: il fatto che anche noi siamo cambiati e cambiamo e facciamo sì che il fiume cambi e viceversa ed ancora.

Yes, intendevo esattamente qs quando qui sopra scrivevo che l'atto della conoscenza è un processo dinamico.

Vero anche che l'idea di mutua interazione e mutua modifica in una sorta di infinito rimpallo di scacchistici specchi tra osservatore e realtà osservata, almeno in nuce, retrodata un bel po'.

By the way osservo che mi colpisce questa singolare sorta di uniformità metodologica del procedere del pensiero umano sin dalla antichità per arrivare ai giorni nostri. Come se il meccanismo procedurale del modo in cui funzioniamo, con le opportune varianti storiche di contesto, di generazione in generazione sia sempre quello.

Eraclito ci ha ragionato su, per farsi quadrare i conti dei suoi ragionamenti, del suo universo immaginato è arrivato a conclusioni ed ipotesi che millenni dopo, con il supporto della disponibilità di tecnologie adeguate, hanno trovato una sorta di verifica sperimentale.

Come la questione dei neutrini, per arrivare a tempi più recenti. I conti non tornavano, ed i fisici teorici, fin dal dopoguerra ne hanno ipotizzato l’esistenza. Solo ora con mirabolanti link tra CERN e Gran Sasso i neutrini li vediamo e misuriamo. Ma è solo un esempio, non solo nella storia della fisica, ma in quella della ricerca e del pensiero in generale, ce ne sono innumerevoli di questo tipo.

Il procedere inizialmente per via teorico-speculativa, e poi, eventualmente, quando la tecnologia supporta, fornire fondamento sperimentale (o smentita clamorosa).

Più in generale, il confrontare per verifica di conformità, l’universo delle idee e la sua corrispondenza col reale.

Insomma: l’intuire l’esistenza di ciò che non può non esserci (altro metodo del procedere filosofico: il principio di necessità) Già… trovo la dica lunga sulla potenza del pensiero umano, sulle smisurate possibilità di questo efficientissimo strumento e ancora sulle capacità che lo strumento stesso ha di dotarsi a sua volta di strumenti, tecniche e metodologie adatte all’uopo.

E infine la verifica, che molto ci piace perderci in iperuranici mondi e proiezioni di noi. I fatti di contro - cioè la realtà - sono sempre creature molto ostinate. Una questione di metodo insomma.
 
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lillo

Remember
Leggendo questo interessantissimo topic, sono stato colpito da questa frase scritta da Zefiro”Serve ancora? Dipende… dipende da quanto ci interessa capire, guardare oltre, cercare lo spessore delle cose, indagare nelle pieghe più nascoste della realtà, di noi stessi e di come funzioniamo, quali sono i nostri meccanismi ultimi.”.
Attualmente, a mio parere la neurofisiologia, la psichiatria mi possono aiutare a comprendere la mente dell'uomo, il suo funzionamento, molto meglio della filosofia. Se volessi conoscere l'universo ed il suo funzionamento mi rivolgerei all'astrofisica.
Scrive Simone de Beauvoir: “.... se non poteva spiegarmi l'universo, né me stessa, non sapevo cosa avrei dovuto farmene della filosofia”.
Tutto questo ovviamente non mira a ridurre l'importanza della filosofia nella storia dell'uomo ma a cercare di comprendere il ruolo futuro di questa scienza.
 

Zefiro

da sudovest
la provocazione di Simone de Beauvoir

Leggendo questo interessantissimo topic, sono stato colpito da questa frase scritta da Zefiro”Serve ancora? Dipende… dipende da quanto ci interessa capire, guardare oltre, cercare lo spessore delle cose, indagare nelle pieghe più nascoste della realtà, di noi stessi e di come funzioniamo, quali sono i nostri meccanismi ultimi.”.
Attualmente, a mio parere la neurofisiologia, la psichiatria mi possono aiutare a comprendere la mente dell'uomo, il suo funzionamento, molto meglio della filosofia. Se volessi conoscere l'universo ed il suo funzionamento mi rivolgerei all'astrofisica.
Scrive Simone de Beauvoir: “.... se non poteva spiegarmi l'universo, né me stessa, non sapevo cosa avrei dovuto farmene della filosofia”.
Tutto questo ovviamente non mira a ridurre l'importanza della filosofia nella storia dell'uomo ma a cercare di comprendere il ruolo futuro di questa scienza.


Riflettuto un po’ sulla tua osservazione Lillo, mi trovo concorde, ma solo parzialmente. Trovo interessante ed intrigante in particolare la considerazione sulla dinamicità strutturale della filosofia che non può essere qualcosa di statico e col tempo polveroso, ma che richiede un continuo ripensamento anche di se stessa ed anche funzionale alle conoscenze che l’uomo col tempo acquisisce.

Per ciò che riguarda invece la copertura in generale del sapere e delle tecniche filosofiche che complessivamente possono fornire altre branche del sapere quali la neurofisiologia e la psichiatria (per l’indoor) o l’astrofisica (per l’outdoor), credo che ciò possa essere vero per gli aspetti, diciamo così di “technicalities” specifiche, di settore, con affondi molto verticali. La citazione di Simone de Beauvoir insomma, mi vien da leggerla come una provocazione.

Restano fuori per fare un esempio le grandi domande e la ricerca di una risposta generale (non per segmenti parziali) ad esse: cosa è vero e cosa non lo è? Cosa è giusto? Cosa è la felicità? Esiste Dio? Come si conosce? Quando un pensiero un ragionamento, è (almeno formalmente) corretto? Etc. etc… Mi piace notare che il fatto che le grandi domande non abbiano (o non abbiano ancora, chissà, “never say never” diceva James Bond) risposte in forma chiusa e/o evidente e/o dimostrata, non significa che non siano buone domande, anzi, forse anche per questo sono ottime domande… non fosse altro per lo spin off, la ricaduta, i frutti che gli sforzi fatti nei secoli per tentare di dare ad esse una risposta hanno prodotto. La logica Aristotelica per fare un esempio clamoroso. Senza la quale il nostro modo di affrontare la realtà, di studiarla, sarebbe ancora legata, come un masso che ci porta a fondo, al più mero empirismo. Volendo quindi, per farla semplice, giudicare soltanto dai risultati senza addentrarsi in complesse questioni etico-morali-religiose, questo solo contributo è di per sé già di portata immensa.

Resta fuori insomma, come dire, il pensare, il guardare, lo studiare “in generale”, di sistema. Mi vien da concludere quindi che sostituzioni non sono operabili, per mancanza di copertura appunto. Vedo invece abbastanza chiaramente invece una sorta di complementarietà dei piani orizzontali (generali, di sistema appunto) e verticali (specifici) tra la filosofia e le altre discipline del sapere.

… rileggo… sono riuscito ad esprimere quel che volevo dire??? Mah! Speriamo di si… :?
 

Mizar

Alfaheimr
Azz... Curzio...chi era costui? :?
Malaparte :wink:

Riflettuto un po’ sulla tua osservazione Lillo, mi trovo concorde, ma solo parzialmente. Trovo interessante ed intrigante in particolare la considerazione sulla dinamicità strutturale della filosofia che non può essere qualcosa di statico e col tempo polveroso, ma che richiede un continuo ripensamento anche di se stessa ed anche funzionale alle conoscenze che l’uomo col tempo acquisisce.

Per ciò che riguarda invece la copertura in generale del sapere e delle tecniche filosofiche che complessivamente possono fornire altre branche del sapere quali la neurofisiologia e la psichiatria (per l’indoor) o l’astrofisica (per l’outdoor), credo che ciò possa essere vero per gli aspetti, diciamo così di “technicalities” specifiche, di settore, con affondi molto verticali. La citazione di Simone de Beauvoir insomma, mi vien da leggerla come una provocazione.

Restano fuori per fare un esempio le grandi domande e la ricerca di una risposta generale (non per segmenti parziali) ad esse: cosa è vero e cosa non lo è? Cosa è giusto? Cosa è la felicità? Esiste Dio? Come si conosce? Quando un pensiero un ragionamento, è (almeno formalmente) corretto? Etc. etc… Mi piace notare che il fatto che le grandi domande non abbiano (o non abbiano ancora, chissà, “never say never” diceva James Bond) risposte in forma chiusa e/o evidente e/o dimostrata, non significa che non siano buone domande, anzi, forse anche per questo sono ottime domande… non fosse altro per lo spin off, la ricaduta, i frutti che gli sforzi fatti nei secoli per tentare di dare ad esse una risposta hanno prodotto. La logica Aristotelica per fare un esempio clamoroso. Senza la quale il nostro modo di affrontare la realtà, di studiarla, sarebbe ancora legata, come un masso che ci porta a fondo, al più mero empirismo. Volendo quindi, per farla semplice, giudicare soltanto dai risultati senza addentrarsi in complesse questioni etico-morali-religiose, questo solo contributo è di per sé già di portata immensa.

Resta fuori insomma, come dire, il pensare, il guardare, lo studiare “in generale”, di sistema. Mi vien da concludere quindi che sostituzioni non sono operabili, per mancanza di copertura appunto. Vedo invece abbastanza chiaramente invece una sorta di complementarietà dei piani orizzontali (generali, di sistema appunto) e verticali (specifici) tra la filosofia e le altre discipline del sapere.

… rileggo… sono riuscito ad esprimere quel che volevo dire??? Mah! Speriamo di si… :?
Sono d'accordo con il taglio.
L'essere umano non potrà mai far a meno di far filosofia perché mai potra fare a meno di essere essere umano. Mai ci sarà risposta a domande quali: Chi siamo? Da dove proveniamo? Proveniamo? Cosa è il lempo? E' il tempo ? E lo spazio ? Cosa, la morte? Perché la memoria? Perché mi domando perché?
La crescita avviluppante di altre discipline è grande vantaggio per l'umanità tutta ma può essere anche un colossale inganno filosofico. Ingannevole è la crescita laddove portasse a ritenere subalterna o reazionaria la disciplina filosofica "pura". Filosofia sarà sempre lì fin quando non saremo macchine: ma quando ciò accadrà, avremo anche smesso di vivere essendo già pietra o ruscello. Questo è anche un insegnamento di quei grandi distopici reazionari d'oltremanica.

Le scienze, il "method" (come direbbe qualcunno) saran sempre un aiuto ma mai un completo sostituto.
La teoria Cantoriana dei numeri transfiniti, lungi dal risolversi in mero appiattimento scientista verso l'unicità della risposta, diviene suolo di scontro per nuove metafisiche e nuovi discorsi sulla infinità, sul tempo, sullo spazio, sulle variazioni e sugli eterni ritorni.
Il baffuto, Tchaikovskyano Cantor vuole essere rigida matematica; ma l'uomo mai dimenticherà le innumeri possibilità di metamorfosi della sua natura. Essa può divenire ontologia, cosmogonia, metafisica, epistemologia, mistica ed ascetica o perfino estetica.
 
Mi associo a Mizar e Zefiro.... io ho bisogno della filosofia.... :wink:
non proprio tutti giorni, e forse neanche più in tutti suoi aspetti... però ogni tanto casco (nel vero senso di parola cadere) di nuovo nella suo mondo e almeno per un breve periodo.... giusto per sentirmi viva, di nuovo... :mrgreen:
 

Sir

New member
Sono assolutamente d'accordo con le ultime opinioni espresse.
Il progresso scientifico del secolo scorso potrebbe proprio servire a dare una nuova spinta alla filosofia, fornendole basi più solide e spronandola al confronto e ad una maggiore apertura; merita di essere citata anche la straordinaria possibilità di conoscenza universale di cui disponiamo oggi, che ci permette di affiancare filosofie e storie provenienti dai quattro angoli del globo con un'accuratezza mai conosciuta prima.
A mio avviso, questo mio auspicio non si è ancora concretizzato; probabilmente perchè, e la denuncia di Lillo è un segnale di questo, in tanti hanno dato e tutt'ora danno alla scienza novecentesca un'interpretazione esclusivista e totalitaria, e ispirati dalle sue potenzialità si accomodano sui risultati raggiunti come su una morbida poltrona.
Ciò che spinge l'uomo ad essere filosofo, però, è tutt'altro che comodo e soddisfatto; forse è ancora troppo presto per partorire una visione critica universale di questo secolo e dei suoi cambiamenti, ma quando saremo pronti ritengo che in molti si lanceranno, e magari con successo, dal trampolino offerto dalle scoperte scientifiche.

Che poi, per scherzare un po', se c'è una scienza che può spiegarci esaustivamente la mente umana, quella non sarà mai la (brrrrr:??) psichiatria. :mrgreen:
 

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
Al di là delle nostre retine? Prescindendo da esse? Cosa vi sarebbe? Soprattutto, perchè vi sarebbe qualcosa 'oltre' e...perchè vi dovrebbe essere?

Che vi sia essere dietro le nostre retine non dovrebbe esservi alcun dubbio, oggi. Al più possiamo chiederci che cosa, eccedendo la nostra limitata dotazione sensibile, conservi il reale nella sua totalità; domande simili si pose chi per primo scorse la nostra visione per il tramite dell'occhio, posta a rigido controllo del limite dello spettro: cosa vedrebbe il bulbo oculare, se il cristallino potesse accogliere i raggi gamma? Che cosa si udrebbe, possendo la dote meravigliosa della ricezione degli ultrasuoni?

In metafora matematica, non siamo che misere epsilon, sospese come in analisi tra lo zero e l'uno gnoseologici (in questo caso e contesto): né del tutto incapaci di conoscenza, né del tutto pronti e (strumentalmente) dotati per la piena comprensione dell'universale.
Instauriamo le nostre identità tra pensiero e reale mediante leggi assolte dal nostro metodo; orgogliosi sfidiamo un limite che è lì, presente in ogni momento. Ecco, domanda interessante sarebbe: è possibile spostare tale limite, contrarre la cosa in sé fin quasi al suo disvelamento? Le nostre scienze ed il nostro metodo lasciano supporre risposte in tutto affermative; i successi ottenuti dall'uomo posivitivista hanno posto l'onnipotenza del procedere secondo leggi matematiche, il nuomeno pare arrivabile se non attraverso il nostro apparato sensibile, sicuramente per lo strumento, prolungamento (per definizione) dell'arto dell'uomo nell'atto di sfidare il suo circostante.

Eppure, hegelianamente, mi trovo entro la schiera dei pessimisti, giacché - direbbe Hegel, appunto - è impossibile cogliere conoscere una cosa, prescindendo dalla cognizione dell'universo intero; ciascun oggetto di conoscenza è tale e totale se e solo se appartiene alla conoscenza del Tutto. Russell si infervorò non poco, non riuscendo tuttavia a screditare tale (esatta, per altro) argomentazione, si limitò invece a trovare una via di mezzo, una mediazione gnoseologica soddisfacente.
Nessuno, ad oggi, può negare la lezione hegeliana.

Ma in sig. Zefiro scrive
Ecco. Credo le cose stiano così. La realtà ha un suo nocciolo duro di essenza sua a prescindere, non funzionale alla percezione. Nel momento in cui pratichiamo l’atto della conoscenza, essa sfoca un po’, il nocciolo dissolve poco o tanto, in un alone, questo si funzionale all’osservatore, alle sue idee, al suo momento storico, alla sua cultura e così via. L’alone stesso ha a volte la capacità di interagire col nocciolo, finanche, poco o tanto a modificarlo senza però cambiarne radicalmente la struttura. Un processo dinamico appunto.

E se questo è vero, come del resto ritengo sia, è vera anche l'assurzione di tale processo come massima apertura cognitiva.

E infine la verifica, che molto ci piace perderci in iperuranici mondi e proiezioni di noi. I fatti di contro - cioè la realtà - sono sempre creature molto ostinate. Una questione di metodo insomma

Vale la pena spendere due parole intorno al metodo.
Modus venerato come via verso la sapienza, sempre più spesso ci si dimentica del suo carattere derivato; figlio dell'assoluto solipsismo cartesiano, assurge ad unico strumento di conoscenza, in ciò avanzando nel giusto - inesatto è però porlo come autoassolto, indipendente, come non rinviante a cause anteriori costrette alla necessità di porlo. In sostanza, la methode cartesiana è effetto di pensiero precedente il metodo stesso. E' posto, non auto-ponentesi. Questo, oggi, val la pena ricordarlo.

Restano fuori per fare un esempio le grandi domande e la ricerca di una risposta generale (non per segmenti parziali) ad esse: cosa è vero e cosa non lo è? Cosa è giusto? Cosa è la felicità? Esiste Dio? Come si conosce? Quando un pensiero un ragionamento, è (almeno formalmente) corretto? Etc. etc… Mi piace notare che il fatto che le grandi domande non abbiano (o non abbiano ancora, chissà, “never say never” diceva James Bond) risposte in forma chiusa e/o evidente e/o dimostrata, non significa che non siano buone domande, anzi, forse anche per questo sono ottime domande… non fosse altro per lo spin off, la ricaduta, i frutti che gli sforzi fatti nei secoli per tentare di dare ad esse una risposta hanno prodotto. La logica Aristotelica per fare un esempio clamoroso. Senza la quale il nostro modo di affrontare la realtà, di studiarla, sarebbe ancora legata, come un masso che ci porta a fondo, al più mero empirismo. Volendo quindi, per farla semplice, giudicare soltanto dai risultati senza addentrarsi in complesse questioni etico-morali-religiose, questo solo contributo è di per sé già di portata immensa.

Amen.
Qualcuno direbbe della filosofia il luogo del non-luogo, come capiente gli interstizi più angusti lasciati come sacrificabili od inutili dalla altre scienze e dai loro oggetti di studio; io la vedo più come la disciplina superiore ad ogni altra, allorché di ognuna trama le fila, ricongiunge alle altre, mediante le tessere apportate dalle scoperte delle sue nate, tesse il grande mosaico del reale. Costruisce totalità da ogni parzialità, conferisce senso se non alle scoperte, almeno al domandarsi. Scrivono in tanti - e a ragione -, di come esistano (e siano i più importanti) problemi non esauribili, giacché la loro inesauribilità costituisce il nostro status autentico di uomini; cosa saremmo se non ci chiedessimo i curassimo della morte? Macchina, bestie. Non uomini. Scienze raccolte nelle loro sicure e ferme -logie, non troveranno soluzione, o di nuovo troveremo colpevole confusione tra il metodo e le ragioni che l'hanno posto.

Molto azzeccata la parentesi sugli spin-off.
Si direbbe di ogni scienza, di tutte e davvero, non siano che spin-off dell'unica madre.
Figlie adulte, per così dire.


Che poi, per scherzare un po', se c'è una scienza che può spiegarci esaustivamente la mente umana, quella non sarà mai la (brrrrr:??) psichiatria.:mrgreen:

Si può comprendere qualcosa anche senza spiegarlo

La psichiatria nasce per com-prendere, non per spiegare. Jaspers docet. :mrgreen:
 

lillo

Remember
filosofia, neuroscienze, psichiatria

Concordo con le risposte precedenti… sicuramente la filosofia ha dato e continuerà a dare un notevole contributo allo sforzo della conoscenza sia della realtà in- che out-door; soprattutto, credo, nel ridurre tecnicismi, eccessivi empirismi e ultrasettorialismi tipici della evidence based science. Penso alla filosofia come ad un tessuto connettivo delle varie scienze empiriche che non solo colmi i vuoti ma leghi tra loro i diversi saperi per una conoscenza “olistica”.
Ho letto alcuni lavori del neurofisiologo Vilayanur Ramachandran, in cui la fusione tra EBS e analisi andava al di là del semplice dato empirico ma esprimeva concetti di ampiezza oserei dire universale: l'ultimo capitolo di un suo libro ha titolo “neuroscienza, la nuova filosofia” e definisce l'isteria una malattia del libero arbitrio.:ad:
Mi lasciano sorpreso i brividi riferiti alla voce psichiatria (il mio riferimento non era casuale), brividi derivati forse da una conoscenza non attualizzata. Non solo infatti la psichiatria comprende, ma spiega e connette conoscenze di numerose altre scienze rivolte allo studio della mente; tant'è che oggi una distinzione tra psichiatria e neurofisiologia ha poco senso; quindi non più solo elettroshock, camicia di forza e Prozac.
PS Rimango altresì sorpreso quando, parlando di filosofia, lo stesso brivido avvertono alcuni miei colleghi dediti alle scienze evidence based. Loro credono ancora che lo scopo principale della filosofia sia lo stabilire quanti angeli vi possano stare sulla punta di uno spillo. :W
 
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