Questo romanzo è molto bello e racchiude molti elementi interessanti, ma dovendo riordinare le idee per un commento, ciò che mi ha colpito di più è stato il ragionamento intorno a due concetti fondamentali: la “grandiosità” e l’“utilità”.
Non penso che ripercorrendo la trama di Ognuno muore solo possa rovinare la sorpresa a qualcuno, poichè, date le premesse, il finale di questa vicenda – tratta da una storia vera – è scritto in partenza. Ma non per questo mancano le emozioni: io stessa ho provato stati d’animo differenti con il progredire della lettura e proverò ad esprimerli.
Una coppia di tedeschi della classe media, non particolarmente brillanti, vivono il dramma della perdita di un figlio durante la seconda guerra mondiale; il trauma in realtà colpisce più la donna, Anna, mentre il marito resta sconvolto dal sentirsi accusato da lei di indifferenza e persino di “complicità” con il regime, accusa fra l’altro totalmente infondata. L’uomo perciò, per dimostrare la propria “innocenza”, decide di combatterlo questo regime, in un modo molto particolare: scrivere delle cartoline contro Hitler e contro il partito, al fine di alimentare e diffondere un sentimento antinazista nel popolo tedesco. A differenza di Anna, quando ho scoperto le intenzioni di Otto, mi sono entusiasmata: sapendo che si trattava di una storia vera, ho pensato che questi coniugi berlinesi avevano fatto qualcosa di straordinario nella sua semplicità e che questa impresa, giunta fino a noi, era evidentemente “sopravvissuta” al regime entrando a far parte della storia della Resistenza.
Diversamente reagisce Anna che, essendosi accorta delle macchinazioni del marito nelle ultime settimane e avendo pensato a qualcosa di eroico, resta delusa:
"Dio mio, che cosa aveva immaginato quell'uomo! Lei aveva pensato a grandi imprese, (e ne aveva avuto anche paura) a un attentato al Fuhrer, oppure almeno a una lotta attiva contro i "bonzi" e contro il partito. E che cosa voleva fare lui? Nulla, qualcosa di ridicolmente meschino, qualcosa che era proprio nel suo stile, qualcosa di tranquillo, per conto suo, qualcosa che non avrebbe disturbato la sua pace. (...)
– Ma non ti sembra un po' poco, quel che vuoi fare, Otto? – Smise di rovistare, ma, sempre chino sui cassetti, voltò la testa verso la moglie. – Poco o molto, Anna, – disse, – se ci scoprono ci rimetteremo la testa...”
Ecco quindi il primo concetto. L’azione pensata da Otto in sè e per sè è banale, ma nella sua banalità è grandiosa: smuovere la coscienza di un popolo diffondendo cartoline proibite! Otto si sente investito di tutta la responsabilità di questa scelta e ben presto anche Anna sarà al suo fianco: se la posta in gioco è la vita, loro stanno facendo qualcosa di straordinario. “Forse aveva ragione: molto o poco, nessuno poteva rischiare più della sua vita."
Inizia quindi il racconto di questa impresa, alla quale sono intrecciate molte altre storie e in particolare quella che vede protagonisti due poveri nullafacenti e un commissario della Gestapo. Anche in questo caso i personaggi sono tratti dalla realtà, e mentre il commissario è stato probabilmente nobilitato nella sua trasposizione letteraria, gli altri due vogliono e riescono a rappresentare la feccia della società durante il regime: nè nazisti, nè partigiani, i due sono solo volgari profittatori privi di qualsiasi moralità. Ma non per questo ci appaiono poco umani, anzi: nella loro mediocrità suscitano in noi un senso di compassione.
Tutti questi personaggi, buoni o cattivi, vili o eroici, consapevoli delle loro azioni o burattini nelle mani di qualcun altro, compongono un quadro straordinariamente vivido di quella che doveva essere la società tedesca nel Terzo Reich: tutti hanno paura di tutti, “il partito era tutto e il popolo nulla”, “una metà del popolo mette dentro l’altra metà”.
Ma passiamo al secondo concetto, quello di “utilità”. Fin dal ritrovamento della prima lettera ci rendiamo conto che la reazione non è quella che i Quangel speravano: proprio a causa del clima di terrore (“tutti hanno la coscienza sporca”), il malcapitato non solo non si fa divulgatore del messaggio antinazista, ma nemmeno ha il coraggio di terminare la lettura. È la prima delusione che riceviamo noi lettori, a cui si aggiunge la scoperta che, oltre a non ottenere l’effetto voluto, le cartoline mettono in pericolo chi le raccoglie, fosse anche la persona più dissidente di tutti. Ma Otto e Anna questo non lo sanno e vanno avanti per la propria strada, fino alla fine, convinti dentro di sè di stare facendo qualcosa di rischioso, sì, (per loro stessi), ma di “efficace”.
Andrò velocemente, altrimenti rischio di dilungarmi troppo... Quando Otto sarà arrestato e scoprirà l’assoluta “inutilità” del suo eroismo, resterà scioccato. E noi con lui, perchè sappiamo che dietro ad Otto e Anna si celano due persone realmente esistite, due persone che per questa impresa insieme banale ed eroica, coraggiosa e stupida, hanno pagato con la propria vita. Non è un po’ come don Chisciotte e i suoi mulini a vento? Cosa pensavano di ottenere in fin dei conti, un caporeparto e una casalinga mettendosi contro il regime armati di una penna e di un pacco di cartoline? Tutta la “grandiosità” che mi aveva conquistato all’inizio del romanzo si è dissolta in un senso di impotenza e di sconforto...
Ma ecco il colpo di scena finale, a romanzo concluso (No... nessun vero spoiler, potete continuare a leggere!). Nella sua postfazione Hans Fallada confessa che i “veri” Quangel, Otto ed Elise Hampel, non furono così “grandiosi” come le loro trasposizioni letterarie; anzi, pare che lui, dopo essere stato arrestato, abbia prima cercato di minimizzare e poi di ritrattare, supplicando di essere graziato... che delusione! Era così bello credere a due eroi donchisciotteschi, coerenti fino alla morte! E invece rieccoci di fronte alla piccolezza, alla meschinità dell’uomo.
Ma in fondo è stato proprio così?
Ci risponde Fallada stesso:
“Quei due avevano sacrificato le proprie vite in una battaglia senza scopo, apparentemente invano. Ma forse non del tutto senza scopo a ben vedere? Forse non del tutto invano?
Io, l’autore di un romanzo non ancora scritto, spero che la loro battaglia, la loro sofferenza, la loro morte non siano state del tutto invano.”
Ed ecco che questo romanzo, già di per sè bellissimo, si riveste di un significato ancora più profondo, di uno scopo sublime e, questa volta sì, “efficace”: è arrivato nelle nostre mani, ci ha consegnata la storia, in parte vera e in parte romanzata, di una coppia di coniugi che in un modo o nell’altro hanno offerto la propria vita. E come ammetteva la stessa Anna, molto o poco, nessuno poteva rischiare più di così...