Eleonora Duse

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Eleonora Duse nei panni di Francesca da Rimini.​

Eleonora Duse nasce a Vigevano il 3 ottobre 1858.
Un’infanzia nomade quella di Eleonora Duse, spesa tra la Lombardia e il Veneto insieme ai genitori, Angelica Cappelletto e Alessandro Vincenzo Duse, che le fecero presto calcare i palcoscenici dello Stivale. Il suo debutto avvenne nel 1862 quando aveva solo quattro anni: vestì i panni di Cosetta nella versione teatrale de I Miserabili.
Appena ventenne, la giovane Eleonora formò una propria Compagnia insieme alla maestra e sua fonte di ispirazione, Giacinta Pezzana, donna emancipata e interprete “moderna” che si era staccata dai canoni della recitazione ottocentesca dando vita sulla scena a delle interpretazioni, per quei tempi, assolutamente innovative. Basti pensare che recitò en travesti il ruolo di Amleto, una novità assoluta per l’Italia: la loro mise en scène della Teresa Raquin di Emile Zola a Napoli nel 1879 ebbe un enorme successo e consacrò definitivamente le due attrici.
Nello stesso anno entrò nella Compagnia Semistabile di Torino di Cesare Rossi, affinando e perfezionando la sua recitazione. Attraverso i personaggi che impersonava, Eleonora Duse poteva finalmente mettere in discussione i valori e le tematiche dell’epoca che stava vivendo, in primis l’ipocrisia di quella borghesia interessata solo al denaro e alla salvaguardia dei propri privilegi. Nacque in quel periodo la Divina Eleonora: fu La signora delle camelie, interpretò tra gli altri ruoli la Cavalleria rusticana di Verga, e poi Casa di bambola e La donna del mare di Ibsen. La sua recitazione era dirompente e al tempo stesso intima: riusciva a fondersi completamente con il personaggio che interpretava, lo faceva suo, tanto che non si distingueva più la donna dall’attrice. Amava recitare senza trucco, talvolta seduta o con le mani sui fianchi, abbandonando completamente la ridondante gestualità Ottocentesca e poi si circondava di fiori, che amava disseminare sul palcoscenico e tenere in mano mentre recitava.
A regalarle i testi più belli furono due incontri fondamentali sia per la sua vita sentimentale che per quella professionale.
Nel 1881 la Duse aveva sposato l’attore Checchi (nome d’arte di Tebaldo Marchetti), ma il matrimonio, che la renderà madre della figlia Enrichetta, durò poco, e già nel 1884 Eleonora iniziò una lunga relazione con Arrigo Boito che per lei tradusse e adattò Antonio e Cleopatra, Romeo e Giulietta e il Macbeth di Shakespeare, seguendo le meticolose richieste della Duse di cui rimangono molte testimonianze nel carteggio tra i due.
Ma l’uomo più importante nella vita della Duse fu Gabriele D’Annunzio: l’eccentrico poeta non era ancora famoso quando vide per la prima volta la Divina e ne rimase folgorato. Lei inizialmente lo ignorò, ma quando a distanza di qualche anno lesse l’elegia che le aveva composto (Alla Divina Eleonora Duse) espresse il desiderio di incontrarlo.
La decennale relazione tra D’Annunzio e la Duse fu una delle più chiacchierate dell’epoca; la Divina era rimasta affascinata dal poeta di Pescara, e negli anni, nel nome dell’amore che provava per lui, gli perdonò tradimenti e offese “artistiche”, come quando lui le preferì la rivale di palcoscenico Sarah Bernhardt per la prima rappresentazione francese de La ville morte, o come quando scrisse il romanzo Il fuoco, la cui protagonista era chiaramente la Duse, descritta come una donna consumata dall’amore e dalla gelosia, nello spirito e nel corpo. Fu proprio la pubblicazione del romanzo, nel 1900, a sancire la fine del loro rapporto sentimentale.
La loro tormentata storia d’amore diede vita anche a un connubio artistico: la Duse portò in Europa e in America il repertorio che lui scrisse per lei, da Il sogno di un mattino di primavera a Francesca da Rimini, da Gioconda a La città morta e a La figlia di Iorio.
I testi dannunziani non ebbero il successo che il Vate auspicava, ma Eleonora, accecata dal sentimento, continuò a recitarli e diventò produttrice degli spettacoli; D’Annunzio si servì di lei e dei suoi guadagni per continuare a scrivere e per pagare i suoi creditori. «Gli perdono d’avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato», disse poi la Divina.
Eleonora Duse morì di polmonite a Pittsburgh, negli Stati Uniti, durante la tournée de La porta chiusa di Marco Praga il 21 aprile del 1924. Pare che D’Annunzio, saputo della sua morte, abbia detto: «È morta quella che non meritai». Il suo corpo venne riportato in patria per i funerali di Stato, dopo che anche a New York le era stato reso omaggio prima che il feretro venisse imbarcato per l’Italia, cosparso di rose bianche dono della regina Elena. Fu sepolta, come aveva richiesto, nel piccolo cimitero di Sant’Anna di Asolo, in provincia di Treviso. E proprio ad Asolo il museo civico raccoglie l’eredità dell’attrice donata dalla figlia Enrichetta: un tesoro di ritratti, abiti, lettere, oggetti personali e di scena, copioni e libri.
 
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