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Nel 1973 uscì “The dark side of the moon”, album fra i più decorati della storia del rock (valga come esempio la sua permanenza di 600 settimane nelle classifiche di Billboard, oltre 15 milioni di copie vendute!…), che portò ai Pink Floyd una fama che continua a resistere nonostante il passare degli anni e delle generazioni.
Si presenta con un titolo intrigante e con una copertina con un’ immagine molto semplice, molto minimalista, ma ricca di significati : come la celebre bocca con la lingua fuori dei Rollin Stones, anche il prisma rimane bene impresso nella memoria, e ogni volta che lo si vede non si può fare a meno di pensare ai Pink Floyd.
Il disco fu curato sin nei minimi particolari; è legato da un regolare battito del cuore che lo apre e lo chiude: questo filo che collega tutte le canzoni le rende un tutto organico.
La prima canzone, “Speak to me”, è un pezzo strumentale, una delle sperimentazioni per cui sono celebri i Floyd. L’utilizzo di strumenti elettronici non determina automaticamente una svalutazione musicale (anche se spesso, soprattutto nel rock, si è portati a credere il contrario): l’importante è saperli utilizzare e riuscire a controllarli. I Pink Floyd riuscirono a servirsi di tutti gli strumenti a quel tempo esistenti in maniera artistica, senza lasciarsi trasportare da eccedenze nelle quali invece incorrono e si perdono alcuni musicisti odierni . Il primo brano è collegato tramite dei vocalizzi femminili al secondo, “Breathe”, una piacevole canzone malinconica e suggestiva. Grazie al sussurrato iniziale ti sembra veramente di percepire i respiri che si diffondono per l’aria .Si passa poi a “On the run” altro pezzo strumentale innovativo e incalzante dall’intensità sempre crescente, che sfocia, nel finale, in un’esplosione. Il quarto brano è aperto dal suono di diversi orologi, “Time” . Tratta uno dei temi che stanno più a cuore a tutti i poeti, dai lirici greci a un più recente Leopardi: la fugacità della vita. E, potrà apparire un po’ sacrilego, ma credo che “Time” non abbia niente da invidiare ai testi dei poeti “classici”. Questo termina con la ripresa di “Breahe”.
“The great gig in the sky” è uno dei lavori più belli creati dal pianista del gruppo, Richard Wright, ed è tra le ultime composizioni fatte all’interno dei Pink Floyd . Il suono del pianoforte è accompagnato da una voce femminile. Un brano evocativo secondo la migliore tradizione Pink Floydiana.
Si arriva così a uno dei brani più celebri del gruppo, “Money”, secondo come notorietà forse solo a “ Another brick in the Wall”. Waters parla in modo sarcastico dei soldi, di come molti li odino e li disprezzino ma poi non ne possano fare assolutamente a meno. Uno sguardo ironico sul capitalismo moderno. Una canzone, nonostante il tema, semplice e diretta. Il pezzo si conclude per dare spazio ad “Us and them”, brano composto da Wright, scartato dalla colonna sonora di “Zabriskie point” di Antonioni . Ultimo pezzo strumentale del è “Any colour you like” che introduce uno dei pezzi più toccanti del disco, “Brain damage, pezzo sulla follia che richiama inevitabilmente alla mente la tragica storia dell’ex-componente del gruppo Syd Barret .
Intimamente legato a questa è l’ultima canzone dell’album, “Eclipse”, che si conclude, come già annunciato con il pulsare di un cuore . I motivi che hanno portato quest’album alla storia sono molti: le musiche suggestive, i testi profondi e a momenti quasi filosofici (per i quali si deve ringraziare il bassista Roger Waters), l’originalità e la creatività (durante alcune canzoni si sentono in sottofondo parti di interviste fatte a dei conoscenti), l’elaboratezza, la compattezza e, come già detto, la copertina del disco.
Questo album, così ricco di significati, va ascoltato più volte e ci si deve far trasportare dalle parole e dalle note per poterlo apprezzare pienamente.
Ha affascinato e continuerà ad affascinare diverse generazioni perché, come le più grandi opere d’arte, si fa portatrice di temi universali. Parla della società.
Parla dell’uomo.
Parla del suo lato luminoso.
Parla del suo lato oscuro.
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