1° GdL poetico - Ossi di seppia di Montale

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Fine dell'infanzia (da Meriggi e ombre)

Rombando s’ingolfava
dentro l’arcuata ripa
un mare pulsante, sbarrato da solchi,
cresputo e fioccoso di spume.
Di contro alla foce
d’un torrente che straboccava
il flutto ingialliva.
Giravano al largo i grovigli dell’alighe
e tronchi d’alberi alla deriva.

Nella conca ospitale
della spiaggia
non erano che poche case
di annosi mattoni, scarlatte,
e scarse capellature
di tamerici pallide
più d’ora in ora; stente creature
perdute in un orrore di visioni.
Non era lieve guardarle
per chi leggeva
in quelle apparenze malfide
la musica dell’anima inquieta
che non si decide.

Pure colline chiudevano d’intorno
marina e case; ulivi le vestivano
qua e là disseminati come greggi,
o tenui come il fumo di un casale
che veleggi
la faccia cadente del cielo.
Tra macchie di vigneti e di pinete
petraie si scorgevano
calve e gibbosi dorsi
di collinette: un uomo
che là passasse ritto su un muletto
nell’azzurro lavato era stampato
per sempre - e nel ricordo.

Poco s’andava oltre i crinali prossimi
di quei monti; varcarli pur non osa
la memoria stancata.
So che strade correvano su fossi
incassati, tra garbugli di spini,
mettevano a radure, poi tra botri,
e ancora dilungavano
verso recessi madidi di muffe,
d’ombre coperti e di silenzi.
Uno ne penso ancora con meraviglia
dove ogni umano impulso
appare seppellito
in aura millenaria.
Rara diroccia qualche bava d’aria
sino a quell’orlo di mondo che ne strabilia.

Ma dalle vie del monte si tornava.
Riuscivano queste a un’instabile
vicenda d’ignoti aspetti
ma il ritmo che li governa ci sfuggiva.
Ogni attimo bruciava
Negl’istanti futuri senza tracce.
Vivere era ventura troppo nuova
ora per ora, e ne batteva il cuore.
Norma non v’era
solco fisso, confronto,
a sceverare gioia da tristezza.
Ma ri-addotti dai viottoli
alla casa sul mare, al chiuso asilo
della nostra stupita fanciullezza,
rapido rispondeva
a ogni moto dell’anima un consenso
esterno, si vestivano di nomi
le cose, il nostro mondo aveva un centro.

Eravamo nell’età verginale
in cui le nubi non sono cifre o sigle
ma le belle sorelle che si guardano viaggiare.
D’altra semenza uscita
d’altra linfa nutrita
che non la nostra, debole, pareva la natura.
In lei l’asilo, in lei
l’estatico affisare; ella il portento
cui non sognava, o a pena, di raggiungere
l’anima nostra confusa.
Eravamo nell’età illusa.

Volarono anni corti come giorni,
sommerse ogni certezza un mare florido
e vorace che dava ormai l’aspetto
dubbioso dei tremanti tamarischi.
Un’alba dové sorgere che un rigo
di luce sulla soglia
forbita, ci annunziava come un’acqua;
e noi certo corremmo
ad aprire la porta
stridula sulla ghiaia del giardino.
L’inganno ci fu palese.
Pesanti nubi sul torbato mare
che ci bolliva in faccia, tosto apparvero.
Era in aria l’attesa
di un procelloso evento.
Strania anch’essa la plaga
dell’infanzia che esplora
un segnato cortile come un mondo!
Giungeva anche per noi l’ora che indaga.
La fanciullezza era morta in un giro a tondo.

Ah il giuoco dei cannibali nel canneto,
i mustacchi di palma, la raccolta
deliziosa dei bossoli sparati!
Volava la bella età come i barchetti sul filo
del mare a vele colme.
Certo guardammo muti nell’attesa
del minuto violento;
poi nella finta calma
sopra l’acque scavate
dové mettersi un vento.


Forse la poesia più lunga che abbia letto di Montale, piena di echi leopardiani ma capace dopo una prima parte quasi agreste di riportarci alla realtà di una natura diversa, non maligna, ma reale, che apre ad altro. A differenza di Lepardi il cambiamento è nell'ordine delle cose, nella natura stessa che puoi leggere nei suoi avvenimenti come la vita umana.

"Un’alba dové sorgere che un rigo
di luce sulla soglia
forbita, ci annunziava come un’acqua;
e noi certo corremmo
ad aprire la porta
stridula sulla ghiaia del giardino.
L’inganno ci fu palese.
Pesanti nubi sul torbato mare
che ci bolliva in faccia, tosto apparvero.
Era in aria l’attesa
di un procelloso evento.

Strania anch’essa la plaga
dell’infanzia che esplora
un segnato cortile come un mondo!
Giungeva anche per noi l’ora che indaga.
La fanciullezza era morta in un giro a tondo."
 

velvet

Well-known member
Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale
siccome i ciottoli che tu volvi,
mangiati dalla salsedine;
scheggia fuori del tempo, testimone
di una volontà fredda che non passa.

Altro fui: uomo intento che riguarda
in sé, in altrui, il bollore
della vita fugace — uomo che tarda
all’atto, che nessuno, poi, distrugge.

Volli cercare il male
che tarla il mondo, la piccola stortura
d’una leva che arresta
l’ordigno universale; e tutti vidi
gli eventi del minuto
come pronti a disgiungersi in un crollo.

Seguìto il solco d’un sentiero m’ebbi
l’opposto in cuore, col suo invito; e forse
m’occorreva il coltello che recide,
la mente che decide e si determina.

Altri libri occorrevano
a me, non la tua pagina rombante.
Ma nulla so rimpiangere: tu sciogli
ancora i groppi interni col tuo canto.

Il tuo delirio sale agli astri ormai.




Così bello e pulito quest incipit, si sente l'esigenza di scrollarsi di dosso tutto ciò che appesantisce, è un ritratto umano, scavarsi dentro per comprendersi meglio, per sentirsi umani, un po' si involve verso la fine, quasi che il vedersi porti alla complessità più che alla semplificazione, tanto da espanderla fino al cielo.

Bellissima questa contrapposizione tra il desiderio di essere "essenziale", distante ed esteriore e la realtà di un'attenzione alla verità, al sentire, all' interiorità.
Dilemma che può essere inteso come esistenziale o anche poetico...
 

velvet

Well-known member
Potessi almeno costringere
in questo mio ritmo stento
qualche poco del tuo vaneggiamento;
dato mi fosse accordare
alle tue voci il mio balbo parlare:
io che sognava rapirti
le salmastre parole
in cui natura ed arte si confondono,
per gridar meglio la mia malinconia
di fanciullo invecchiato che non doveva pensare.
Ed invece non ho che le lettere fruste
dei dizionari, e l’oscura
voce che amore detta s’affioca,
si fa lamentosa letteratura.
Non ho che queste parole
che come donne pubblicate
s’offrono a chi le richiede;
non ho che queste frasi stancate
che potranno rubarmi anche domani
gli studenti canaglie in versi veri.
Ed il tuo rombo cresce, e si dilata
azzurra l’ombra nuova.
M’abbandonano a prova i miei pensieri.
Sensi non ho; né senso. Non ho limite.

Si sente in questi versi la consapevolezza di non poter essere diversi da come si è, il poeta è un poeta, ha parole, ha lamenti, ha versi, altro non sa fare. Abbandonarsi a questo porta alla libertà, forse, di quell'ultimo verso.

A me sembra però un poeta insoddisfatto che sente di non riuscire a cogliere la vera essenza del mondo, il rombo del mare.
 

velvet

Well-known member
Dissipa tu se lo vuoi
questa debole vita che si lagna,
come la spugna il frego
effimero di una lavagna.
M’attendo di ritornare nel tuo circolo,
s’adempia lo sbandato mio passare.
La mia venuta era testimonianza
di un ordine che in viaggio mi scordai,
giurano fede queste mie parole
a un evento impossibile, e lo ignorano.
Ma sempre che tradii
la tua dolce risacca su le prode
sbigottimento mi prese
quale d’uno scemato di memoria
quando si risovviene del suo paese.
Presa la mia lezione
più che dalla tua gloria
aperta, dall’ansare
che quasi non dà suono
di qualche tuo meriggio desolato,
a te mi rendo in umiltà. Non sono
che favilla d’un tirso. Bene lo so: bruciare,
questo, non altro, è il mio significato.

Il primo verso di questa poesia è così potente che tutto il resto passa in secondo piano. Paragonare la vita al "frego effimero di una lavagna", pesa sull'animo con una malinconia struggente ma anche leggera.

Sì, sembra proprio che alla fine di questa sezione Montale si arrenda al mare che tanto lo ha ispirato.
Una vita effimera come un frego sulla lavagna, come un ramo che brucia.
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
L'agave sullo scoglio - Scirocco

O rabido ventare di scirocco
che l'arsiccio terreno gialloverde
bruci;
e su nel cielo pieno
di smorte luci
trapassa qualche biocco
di nuvola, e si perde.
Ore perplesse, brividi
d'una vita che fugge
come acqua tra le dita;
inafferrati eventi,
luci-ombre, commovimenti
delle cose malferme della terra;
oh alide ali dell'aria
ora son io
l'agave che s'abbarbica al crepaccio
dello scoglio
e sfugge al mare da le braccia d'alghe
che spalanca ampie gole e abbranca rocce;
e nel fermento
d'ogni essenza, coi miei racchiusi bocci
che non sanno più esplodere oggi sento
la mia immobilità come un tormento.



quando leggo Montale penso a quanta influenza ossa aver avuto sui cantautori, non solo di scuola genovese. Le sue immagini sono musica: Ore perplesse, brividi/d'una vita che fugge/come acqua tra le dita;
 
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elisa

Motherator
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Tramontana

Ed ora sono spariti i circoli d'ansia
che discorrevano il lago del cuore
e quel friggere vasto della materia
che discolora e muore.
Oggi una volontà di ferro spazza l'aria,
divelle gli arbusti, strapazza i palmizi
e nel mare compresso scava
grandi solchi crestati di bava.
Ogni forma si squassa nel subbuglio
degli elementi; è un urlo solo, un muglio
di scerpate esistenze: tutto schianta
l'ora che passa: viaggiano la cupola del cielo
non sai se foglie o uccelli - e non son più.
E tu che tutta ti scrolli fra i tonfi
dei venti disfrenati
e stringi a te i bracci gonfi
di fiori non ancora nati;
come senti nemici
gli spiriti che la convulsa terra
sorvolano a sciami,
mia vita sottile, e come ami
oggi le tue radici.

Valore emotivo al vento di tramontana che diventa quindi umano come le emozioni umane possono diventare vento di tramontana
 

elisa

Motherator
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Maestrale

S’è rifatta la calma
nell’aria: tra gli scogli parlotta la maretta.
Sulla costa quietata, nei broli, qualche palma
a pena svetta.

Una carezza disfiora
la linea del mare e la scompiglia
un attimo, soffio lieve che vi s’infrange e ancora
il cammino ripiglia

Lameggia nella chiaria
la vasta distesa, s’increspa, indi si spiana beata
e specchia nel suo cuore vasto codesta povera mia
vita turbata.

O mio tronco che additi,
in questa ebrietudine tarda,
ogni rinato aspetto coi germogli fioriti
sulle tue mani, guarda:

sotto l’azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:
più in là!

Qui gli spazi tra una strofa e l'altra denotano proprio il tempo più lento e più calmo del vento descritto, il maestrale. Queste tre poesie dei venti sono musica e pittura, immagini e suoni, qualcosa di prezioso e suggestivo che Montale ci regala.


 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Vasca

Passò sul tremulo vetro
un riso di belladonna fiorita,
di tra le rame urgevano le nuvole,
dal fondo ne riassommava
la vista fioccosa e sbiadita.
Alcuno di noi tirò un ciottolo
che ruppe la tesa lucente:
le molli parvenze s’infransero.

Ma ecco, c’è altro che striscia
A fior della spera rifatta lisca:
di erompere non ha virtù,
vuol vivere e non sa come;
se lo guardi si stacca, torna in giù:
è nato e morto, e non ha avuto un nome.

Questa è una delle poesie in cui ho avuto più difficoltà a trovare un senso proprio per la complessità dei termini usati e per la costruzione delle frasi. L'ho trovata criptica, chiusa, involuta. Resto in attesa di rileggerla più volte fino a comprenderne il senso.
 

elisa

Motherator
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Egloga

Perdersi nel bigio ondoso
dei miei ulivi era buono
nel tempo andato – loquaci
di riottanti uccelli
e di cantanti rivi.
Come affondavi il tallone
nel suolo screpolato,
tra le lamelle d’argento
dell’esili foglie. Sconnessi
nascevano in mente i pensieri
nell’aria di troppa quiete.

Ora è finito il cerulo marezzo.
si getta il pino domestico
a romper la grigiura;
brucia una toppa di cielo
in alto, un ragnatelo
si squarcia al passo: si svincola
d’attorno un’ora fallita.
E’ uscito un rombo di treno,
non lunge, ingrossa. Uno sparo
si schiaccia nell’etra vetrino.
Strepita un volo come un acquazzone,
venta e vanisce bruciata
una bracciata di amara
tua scorza. istante: discosta
esplode furibonda una canea.

Tosto potrà rinascere l’idillio.
S’è ricomposta la fase che pende
dal cielo, riescono bende
leggere fuori...;
il fitto dei fagiuoli
n’è scancellato e involto.
Non serve più rapid’ale,
né giova proposito baldo;
non durano che le solenni cicale
in questi saturnali del caldo.
Va e viene un istante in un folto
una parvenza di donna.
E’ disparsa, non era una Baccante.

Sul tardi corneggia la luna.
Ritornavamo dai nostri
vagabondaggi infruttuosi.
Non si leggeva più in faccia
al mondo la traccia
della frenesia durata
il pomeriggio. Turbati
discendevamo tra i vepri.
Nei miei paesi a quell’ora
cominciano a fischiare le lepri.

Rimango sempre affascinata dall'uso delle parole in Montale. In questa poesia mi colpisce intanto l'affollamento di animali, sono molti a differenza delle poesie precedenti. E i il fischiare delle lepri che richiama il treno citato poco sopra. Un'altra poesia piena di musica e di immagini.
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Flussi

I fanciulli con gli archetti
spaventano gli scriccioli nei buchi.
Cola il pigro sereno nel riale
che l'accidia sorrade,
pausa che gli astri donano ai malvivi
camminatori delle bianche strade.
Alte, tremano guglie di sambuchi
e sovrastano al poggio
cui domina una statua dell'Estate
fatta camusa da lapidazioni;
e su lei cresce un roggio
di rampicanti ed un ronzio di fuchi.
Ma la dea mutilata non s'affaccia
e ogni cosa si tende alla flottiglia
di carta che discende lenta il vallo.
Brilla in aria una freccia,
si configge s'un palo, oscilla tremula.
La vita è questo scialo
di triti fatti, vano
più che crudele.
Tornano
le tribù dei fanciulli con le fionde
se è scorsa una stagione od un minuto,
e i morti aspetti scoprono immutati
se pur tutto è diruto
e più dalla sua rama non dipende
il frutto conosciuto.
- Ritornano i fanciulli...; così un giorno
il giro che governa
la nostra vita ci addurrà il passato
lontano, franto e vivido, stampato
sopra immobili tende
da un'ignota lanterna.-
E ancora si distende
un dòmo celestino ed appannato
sul fitto bulicame del fossato:
e soltanto la statua
sa che il tempo precipita e s'infrasca
vie più nell'accesa edera.
E tutto scorre nella gran discesa
e fiotta il fosso impetuoso tal che
s'increspano i suoi specchi:
fanno naufragio i piccoli sciabecchi
nei gorghi dell'acquiccia insaponata.
Addio! - fischiano pietre tra le fronde,
la rapace fortuna è già lontana,
cala un'ora, i suoi volti riconfonde,-
e la vita è crudele più che vana.

Forse qui Montale ha esagerato nell'usare termini complessi e di difficile comprensione. Così facendo ha appesantito la struttura a scapito del significato. Peccato perché l'ultimo verso ha una forza tale che avrebbe retto una rima più semplice ed immediata.
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Clivo

Viene un suono di buccine
dal greppo che scoscende,
discende verso il mare
che tremola e si fende per accoglierlo.
Cala nella ventosa gola
con l'ombre la parola
che la terra dissolve sui frangenti;
si dismemora il mondo e può rinascere.
Con le barche dell'alba
spiega la luce le sue grandi vele
e trova stanza in cuore la speranza.
Ma ora lungi è il mattino,
sfugge il chiarore e s'aduna
sovra eminenze e frondi,
e tutto è più raccolto e più vicino
come visto a traverso di una cruna;
ora è certa la fine,
e s'anche il vento tace
senti la lima che sega
assidua la catena che ci lega.

Come una musicale frana
divalla il suono, s'allontana.
Con questo si disperdono le accolte
voci dalle volute
aride dei crepacci;
il gemito delle pendìe,
là tra le viti che i lacci
delle radici stringono.
Il clivo non ha più vie,
le mani s'afferrano ai rami
dei pini nani; poi trema
e scema il bagliore del giorno;
e un ordine discende che districa
dai confini
le cose che non chiedono
ormai che di durare, di persistere
contente dell'infinita fatica;
un crollo di pietrame che dal cielo
s'inabissa alle prode...

Nella sera distesa appena, s'ode
un ululo di corni, uno sfacelo.

Bellissima questa poesia nella sua intensità e verità che si adatta anche agli avvenimenti degli ultimi giorni tanto da pensare che la poesia è l'unica parola che ha un senso in mezzo a tante parole dette che non ne hanno alcuno.

 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Arsenio

I turbini sollevano la polvere
sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
deserti, ove i cavalli incappucciati
annusano la terra, fermi innanzi
ai vetri luccicanti degli alberghi.
Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
in questo giorno
or piovorno ora acceso, in cui par scatti
a sconvolgerne l’ore
uguali, strette in trama, un ritornello
di castagnette.

E’ il segno d’un’altra orbita: tu seguilo.
Discendi all’orizzonte che sovrasta
una tromba di piombo, alta sui gorghi
più d’essi vagabonda: salso nembo
vorticante, soffiato dal ribelle
elemento alle nubi; fa che il passo
su la ghiaia ti scricchioli e t’inciampi
il viluppo dell’alghe: quell’istante
è forse, molto atteso, che ti scampi
dal finire il tuo viaggio, anello d’una
catena, immoto andare, oh troppo noto
delirio, Arsenio, d’immobilità…

Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
dei violini, spento quando rotola
il tuono con un fremer di lamiera
percossa; la tempesta è dolce quando
sgorga bianca la stella di Canicola
nel cielo azzurro e lunge par la sera
ch’è prossima: se il fulmine la incide
dirama come un albero prezioso
entro la luce che s’arrosa: e il timpano
degli tzigani è il rombo silenzioso.

Discendi in mezzo al buio che precipita
e muta il mezzogiorno in una notte
di globi accesi, dondolanti a riva, –
e fuori, dove un’ombra sola tiene
mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
l’acetilene –
finché goccia trepido
il cielo, fuma il suolo che t’abbevera,
tutto d’accanto ti sciaborda, sbattono
le tende molli, un fruscio immenso rade
la terra, giù s’afflosciano stridendo
le lanterne di carta sulle strade.

Così sperso tra i vimini e le stuoie
grondanti, giunco tu che le radici
con sé trascina, viscide, non mai
svelte, tremi di vita e ti protendi
a un vuoto risonante di lamenti
soffocati, la tesa ti ringhiotte
dell’onda antica che ti volge; e ancora
tutto che ti riprende, strada portico
mura specchi ti figge in una sola
ghiacciata moltitudine di morti,
e se un gesto ti sfiora, una parola
ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
nell’ora che si scioglie, il cenno d’una
vita strozzata per te sorta, e il vento
la porta con la cenere degli astri.

Arsenio, l'alter ego del poeta, la poesia è intrisa di pessimismo, cupa, piena di momenti criptici ed involuti: " e ancora/ tutto che ti riprende, strada portico/ mura specchi ti figge in una sola/ghiacciata moltitudine di morti,
Dolorosa.
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Crisalide

L'albero verdecupo
si stria di giallo tenero e s'ingromma.
Vibra nell'aria una pietà per l'avide
radici, per le tumide cortecce.
Son vostre queste piante
scarse che si rinnovano
all'alito d'Aprile, umide e liete.
Per me che vi contemplo da quest'ombra,
altro cespo riverdica, e voi siete.

Ogni attimo vi porta nuove fronde
e il suo sbigottimento avanza ogni altra
gioia fugace; viene a impetuose onde
la vita a questo estremo angolo d'orto.
Lo sguardo ora vi cade su le zolle;
una risacca di memorie giunge
al vostro cuore e quasi lo sommerge.
Lunge risuona un grido: ecco precipita
il tempo, spare con risucchi rapidi
tra i sassi, ogni ricordo è spento; ed io
dall'oscuro mio canto mi protendo
a codesto solare avvenimento.

Voi non pensate ciò che vi rapiva
come oggi, allora, il tacito compagno
che un meriggio lontano vi portava.
Siete voi la mia preda, che m'offrite
un'ora breve di tremore umano.
Perderne, non vorrei neppure un attimo:
è questa la mia parte, ogni altra è vana.
La mia ricchezza è questo sbattimento
che vi trapassa e il viso
in alto vi rivolge; questo lento
giro d'occhi che ormai sanno vedere.

Così va la certezza d'un momento
con uno sventolio di tende e di alberi
tra le case; ma l'ombra non dissolve
che vi reclama, opaca. M'apparite
allora, come me, nel limbo squallido
delle monche esistenze; e anche la vostra
rinascita è uno sterile segreto,
un prodigio fallito come tutti
quelli che ci fioriscono d'accanto.

E il flutto che si scopre oltre le sbarre
come ci parla a volte di salvezza;
come può sorgere agile
l'illusione, e sciogliere i suoi fumi.
Vanno a spire sul mare, ora si fondono
sull'orizzonte in foggia di golette.
Spicca una d'esse un volo senza rombo,
l'acque di piombo come alcione profugo
rade. Il sole s'immerge nelle nubi,
l'ora di febbre, trepida, si chiude.
Un glorioso affanno senza strepiti
ci batte in gola: nel meriggio afoso
spunta la barca di salvezza, è giunta:
vedila che sciaborda tra le secche,
esprime un suo burchiello che si volge
al docile frangente - e là ci attende.

Ah crisalide, com'è amara questa
tortura senza nome che ci volve
e ci porta lontani - e poi non restano
neppure le nostre orme sulla polvere;
e noi andremo innanzi senza smuovere
un sasso solo della gran muraglia;
e forse tutto è fisso, tutto è scritto,
e non vedremo sorgere per via
la libertà, il miracolo,
il fatto che non era necessario!

Nell'onda e nell'azzurro non è scia.
Sono mutati i segni della proda
dianzi raccolta come un dolce grembo.
Il silenzio ci chiude nel suo lembo
e le labbra non s'aprono per dire
il patto ch'io vorrei
stringere col destino: di scontare
la vostra gioia con la mia condanna.
È il voto che mi nasce ancora in petto,
poi finirà ogni moto. Penso allora
alle tacite offerte che sostengono
le case dei viventi; al cuore che abdica
perché rida un fanciullo inconsapevole;
al taglio netto che recide, al rogo
morente che s'avviva
d'un arido paletto,
e ferve trepido




Resto estasiata di fronte all'uso delle parole in Montale. L'albero che "s'ingromma", mi ricorda il "s'ingroppa" un pochino volgare forse ma sicuramente significativo. Le radici sono "avide", come le cortecce sono sensualmente "tumide", aggettivi riferiti all'umano più che al vegetale. Il cespo poi "riverdica", una parola dura e sicura, piena di rigoglio. Poi c'è questo "spare", uno sparire più ambiguo, forse meno definito, quasi nebbioso. E poi il finale "ferve trepido", un suono che non lascia scampo all'emozione.

 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Marezzo

[FONT=Courier New, monospace]Aggotti, e già la barca si sbilancia[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]e il cristallo dell'acque si smeriglia.[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]S'è usciti da una grotta a questa rancia[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]marina che uno zefiro scompiglia.[/FONT]


[FONT=Courier New, monospace]Non ci turba, come anzi, nell'oscuro,[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]lo sciame che il crepuscolo sparpaglia,[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]dei pipistrelli; e il remo che scandaglia[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]l'ombra non urta più il roccioso muro.[/FONT]


[FONT=Courier New, monospace]Fuori è il sole: s'arresta[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]nel suo giro e fiammeggia.[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]Il cavo cielo se ne illustra ed estua,[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]vetro che non si scheggia.[/FONT]


[FONT=Courier New, monospace]Un pescatore da un canotto fila[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]la sua lenza nella corrente.[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]Guarda il mondo del fondo che si profila[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]come sformato da una lente.[/FONT]


[FONT=Courier New, monospace]Nel guscio esiguo che sciaborda,[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]abbandonati i remi agli scalmi,[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]fa che ricordo non ti rimorda[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]che torbi questi meriggi calmi.[/FONT]


[FONT=Courier New, monospace]Ci chiudono d'attorno sciami e svoli,[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]è l'aria un'ala morbida.[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]Dispaiono: la troppa luce intorbida.[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]Si struggono i pensieri troppo soli.[/FONT]


[FONT=Courier New, monospace]Tutto fra poco si farà più ruvido,[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]fiorirà l'onda di più cupe strisce.[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]Ora resta così, sotto il diluvio[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]del sole che finisce.[/FONT]


[FONT=Courier New, monospace]Un ondulamento sovverte[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]forme confini resi astratti:[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]ogni forza decisa già diverte[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]dal cammino. La vita cresce a scatti.[/FONT]


[FONT=Courier New, monospace]È come un falò senza fuoco[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]che si preparava per chiari segni:[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]in questo lume il nostro si fa fioco,[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]in questa vampa ardono volti e impegni.[/FONT]


[FONT=Courier New, monospace]Disciogli il cuore gonfio[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]nell'aprirsi dell'onda;[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]come una pietra di zavorra affonda[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]il tuo nome nell'acque con un tonfo![/FONT]


[FONT=Courier New, monospace]Un astrale delirio si disfrena,[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]un male calmo e lucente.[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]Forse vedremo l'ora che rasserena[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]venirci incontro sulla spera ardente.[/FONT]


[FONT=Courier New, monospace]Digradano su noi pendici[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]di basse vigne, a piane.[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]Quivi stornellano spigolatrici[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]con voci disumane.[/FONT]


[FONT=Courier New, monospace]Oh la vendemmia estiva,[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]la stortura nel corso[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]delle stelle! - e da queste in noi deriva[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]uno stupore tinto di rimorso.[/FONT]


[FONT=Courier New, monospace]Parli e non riconosci i tuoi accenti.[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]La memoria ti appare dilavata.[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]Sei passata e pur senti[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]la tua vita consumata.[/FONT]


[FONT=Courier New, monospace]Ora, che avviene?, tu riprovi il peso[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]di te, improvvise gravano[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]sui cardini le cose che oscillavano,[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]e l'incanto è sospeso.[/FONT]


[FONT=Courier New, monospace]Ah qui restiamo, non siamo diversi.[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]Immobili così. Nessuno ascolta[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]la nostra voce più. Così sommersi[/FONT]
[FONT=Courier New, monospace]in un gorgo d'azzurro che s'infolta.

Che volo carpiato questo inizio di poesia, con un termine marinaro che solo chi va per mare conosce, come se la vita fosse solo per iniziati, in altri punti della poesia si usan con maestria le parole legate al mare e alla marineria, ma la frase che più di tutte mi ha colpito è piana, sospesa tra due punti: La vita cresce a scatti.

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elisa

Motherator
Membro dello Staff
Casa sul mare

Il viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l'anima che non sa più dare un grido.
Ora I minuti sono eguali e fissi
come I giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d'acqua che rimbomba.
Un altro, altr'acqua, a tratti un cigolio.
Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
I soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l'isole dell'aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.
Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell'ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s'appressa
l'ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s'infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l'avara mia speranza.
A' nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l'offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.
Il cammino finisce a queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m'ode
salpa già forse per l'eterno.

Versi di un pessimismo doloroso, forse l'unico spiraglio è nel seguente verso "Ti dono anche l'avara mia speranza" . Si sente tutta la fatica del poeta, che è la nostra fatica di credere e andare avanti giorno per giorno
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Delta

La vita che si rompe nei travasi
secreti a te ho legata:
quella che si dibatte in sé e par quasi
non ti sappia, presenza soffocata.

Quando il tempo s'ingorga alle sue dighe
la tua vicenda accordi alla sua immensa,
ed affiori, memoria, più palese
dall'oscura regione ove scendevi,
come ora, al dopopioggia, si riaddensa
il verde ai rami, ai muri il cinabrese.

Tutto ignoro di te fuor del messaggio
muto che mi sostenta sulla via:
se forma esisti o ubbia nella fumea
d'un sogno t'alimenta
la riviera che infebbra, torba, e scroscia
incontro alla marea.

Nulla di te nel vacillar dell'ore
bige o squarciate da un vampo di solfo
fuori che il fischio del rimorchiatore
che dalle brume approda al golfo.



Qui Montale è criptico, ermetico, chiuso dentro le parole, è una di quelle poesie da rileggere innumerevoli volte, il pensiero si incarta, si accartoccia su sé stesso e solo il tempo riesce a svelarlo
 
Ultima modifica:

elisa

Motherator
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Incontro

Tu non m’abbandonare mia tristezza
sulla strada
che urta il vento forano
co’ suoi vortici caldi, e spare; cara
tristezza al soffio che si estenua: e a questo,
sospinta sulla rada
dove l’ultime voci il giorno esala
viaggia una nebbia, alta si flette un’ala
di cormorano.

La foce è allato del torrente, sterile
d’acque, vivo di pietre e di calcine;
ma più foce di umani atti consunti,
d’impallidite vite tramontanti
oltre il confine
che a cerchio ci rinchiude: visi emunti,
mani scarne, cavalli in fila, ruote
stridule: vite no: vegetazioni
dell’altro mare che sovrasta il flutto.

Si va sulla carraia di rappresa
mota senza uno scarto,
simili ad incappati di corteo,
sotto la volta infranta ch’è discesa
quasi a specchio delle vetrine,
in un’aura che avvolge i nostri passi
fitta e uguaglia i sargassi
umani fluttuanti alle cortine
dei bambù mormoranti.

Se mi lasci anche tu, tristezza, solo
presagio vivo in questo nembo, sembra
che attorno mi si effonda
un ronzio qual di sfere quando un’ora
sta per scoccare;
e cado inerte nell’attesa spenta
di chi non sa temere
su questa proda che ha sorpresa l’onda
lenta, che non appare.

Forse riavrò un aspetto: nella luce
radente un moto mi conduce accanto
a una misera fronda che in un vaso
s’alleva s’una porta di osteria.
A lei tendo la mano, e farsi mia
un’altra vita sento, ingombro d’una
forma che mi fu tolta; e quasi anelli
alle dita non foglie mi si attorcono
ma capelli.

Poi più nulla. Oh sommersa!: tu dispari
qual sei venuta, e nulla so di te.
La tua vita è ancor tua: tra i guizzi rari
dal giorno sparsa già. Prega per me
allora ch’io discenda altro cammino
che una via di città,
nell’aria persa, innanzi al brulichio
dei vivi; ch’io ti senta accanto; ch’io
scenda senza viltà.

Poesia nella quale mi son ripetutamente commossa...
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Riviere

Riviere,
bastano pochi stocchi d'erbaspada
penduli da un ciglione
sul delirio del mare;
o due camelie pallide
nei giardini deserti,
e un eucalipto biondo che si tuffi
tra sfrusci e pazzi voli
nella luce;
ed ecco che in un attimo
invisibili fili a me si asserpano,
farfalla in una ragna
di fremiti d'olivi, di sguardi di girasoli.

Dolce cattività, oggi, riviere
di chi s'arrende per poco
come a rivivere un antico giuoco
non mai dimenticato.
Rammento l'acre filtro che porgeste
allo smarrito adolescente, o rive:
nelle chiare mattine si fondevano
dorsi di colli e cielo; sulla rena
dei lidi era un risucchio ampio, un eguale
fremer di vite,
una febbre del mondo; ed ogni cosa
in se stessa pareva consumarsi.

Oh allora sballottati
come l'osso di seppia dalle ondate
svanire a poco a poco;
diventare
un albero rugoso od una pietra
levigata dal mare; nei colori
fondersi dei tramonti; sparir carne
per spicciare sorgente ebbra di sole,
dal sole divorata…
Erano questi,
riviere, i voti del fanciullo antico
che accanto ad una rósa balaustrata
lentamente moriva sorridendo.

Quanto, marine, queste fredde luci
parlano a chi straziato vi fuggiva.
Lame d'acqua scoprentisi tra varchi
di labili ramure; rocce brune
tra spumeggi; frecciare di rondoni
vagabondi…
Ah, potevo
credervi un giorno, o terre,
bellezze funerarie, auree cornici
all'agonia d'ogni essere.
Oggi torno
a voi più forte, o è inganno, ben che il cuore
par sciogliersi in ricordi lieti - e atroci.
Triste anima passata
e tu volontà nuova che mi chiami,
tempo è forse d'unirvi
in un porto sereno di saggezza.
Ed un giorno sarà ancora l'invito
di voci d'oro, di lusinghe audaci,
anima mia non più divisa. Pensa:
cangiare in inno l'elegia; rifarsi;
non mancar più.
Potere
simili a questi rami
ieri scarniti e nudi ed oggi pieni
di fremiti e di linfe,
sentire
noi pur domani tra i profumi e i venti
un riaffluir di sogni, un urger folle
di voci verso un esito; e nel sole
che v'investe, riviere,
rifiorire!



L'ultima poesia di Ossi di seppia, quella che forse apre alla consapevolezza e alla speranza, guarda al futuro, finisce con la parola "rifiorire"
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Quest è il mio ultimo commento che ho già inserito in PB

La prima raccolta di poesie di Montale, dal 1920 al 1927, esprime tutto l'attaccamento del poeta alla sua terra, la Liguria, che dipinge con le parole usando una tavolozza di termini sorprendente, per musicalità, ritmo, suggestione visiva. L'uomo e la natura sono inscindibili, il destino dell'uno è legato a quella dell'altra, tutto può essere ricondotto alla natura in un intreccio filosofico e poetico che descrive la vita umana e il paesaggi con la stessa tavolozza. Avvicinarsi alla poesia con Ossi di seppia è intraprendere un viaggio che regala emozioni intense e indimenticabili.
 
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