1° GdL poetico - Ossi di seppia di Montale

velvet

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Fine dell'infanzia (da Meriggi e ombre)

Una poesia molto lunga, come non ne ho trovate finora.

Riprende il tema già più volte incontrato della fine dell'infanzia e con essa della gioia e delle illusioni.
Bellissime le descrizioni delle case sulle colline sul mare, che sembrano tutto il mondo agli occhi dei bambini:
l'infanzia che esplora un segnato cortile come un mondo!
 

velvet

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L'agave sullo scoglio

Bella ed originale questa poesia, divisa in tre parti (scirocco, tramontana, maestrale) in cui esprime le sensazioni delll'agave esposta ai diversi venti della vita.

E così se a causa dello scirocco "sento la mia immobilità come un tormento" perchè non si può sfuggire alla furia del mare, così nell'impetuosa tramontana che spazza l'aria e divelle gli arbusti" "ami oggi le tue radici".
Il maestrale infine porta un po' di calma e tranquillità al tronco fiorito.

Mi è piaciuta molto la descrizione del mutare dell'ambiente marino al cambiare dei venti
 

velvet

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Vasca

Passò sul tremulo vetro
un riso di belladonna fiorita,
di tra le rame urgevano le nuvole,
dal fondo ne riassommava
la vista fioccosa e sbiadita.
Alcuno di noi tirò un ciottolo
che ruppe la tesa lucente:
le molli parvenze s’infransero.

Ma ecco, c’è altro che striscia
A fior della spera rifatta lisca:
di erompere non ha virtù,
vuol vivere e non sa come;
se lo guardi si stacca, torna in giù:
è nato e morto, e non ha avuto un nome.

Questa è una delle poesie in cui ho avuto più difficoltà a trovare un senso proprio per la complessità dei termini usati e per la costruzione delle frasi. L'ho trovata criptica, chiusa, involuta. Resto in attesa di rileggerla più volte fino a comprenderne il senso.

Anche io ho avuto difficoltà con questa poesia, rileggendola ho più o meno capito il senso letterale: l'immagine della belladonna nello specchio d'acqua della vasca scompare quando qualcuno tira un sasso, poi un'altra immagine cerca di affermarsi nell'acqua ritornata calma ma non riesce, scompare quando la si guarda.
Difficile mi resta l'interpretazione: qualcosa che scompare e non si riesce più a ritrovare: la gioventù, un amore, la propria personalità? Non saprei...
 
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velvet

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Egloga

Perdersi nel bigio ondoso
dei miei ulivi era buono
nel tempo andato – loquaci
di riottanti uccelli
e di cantanti rivi.
Come affondavi il tallone
nel suolo screpolato,
tra le lamelle d’argento
dell’esili foglie. Sconnessi
nascevano in mente i pensieri
nell’aria di troppa quiete.

Ora è finito il cerulo marezzo.
si getta il pino domestico
a romper la grigiura;
brucia una toppa di cielo
in alto, un ragnatelo
si squarcia al passo: si svincola
d’attorno un’ora fallita.
E’ uscito un rombo di treno,
non lunge, ingrossa. Uno sparo
si schiaccia nell’etra vetrino.
Strepita un volo come un acquazzone,
venta e vanisce bruciata
una bracciata di amara
tua scorza. istante: discosta
esplode furibonda una canea.

Tosto potrà rinascere l’idillio.
S’è ricomposta la fase che pende
dal cielo, riescono bende
leggere fuori...;
il fitto dei fagiuoli
n’è scancellato e involto.
Non serve più rapid’ale,
né giova proposito baldo;
non durano che le solenni cicale
in questi saturnali del caldo.
Va e viene un istante in un folto
una parvenza di donna.
E’ disparsa, non era una Baccante.

Sul tardi corneggia la luna.
Ritornavamo dai nostri
vagabondaggi infruttuosi.
Non si leggeva più in faccia
al mondo la traccia
della frenesia durata
il pomeriggio. Turbati
discendevamo tra i vepri.
Nei miei paesi a quell’ora
cominciano a fischiare le lepri.

Rimango sempre affascinata dall'uso delle parole in Montale. In questa poesia mi colpisce intanto l'affollamento di animali, sono molti a differenza delle poesie precedenti. E i il fischiare delle lepri che richiama il treno citato poco sopra. Un'altra poesia piena di musica e di immagini.

Una poesia bucolica che presenta ancora un confronto tra passato e presente, tra la calma e la bellezza del tempo passato che è stato turbato.
Tosto potrà rinascere l'idillio fa pensare ad un messaggio di speranza, ma sinceramente non mi dà la stessa impressione la fine della poesia.

Concordo con te Elisa, l'uso delle parole lascia sempre a bocca ed orecchie aperte, incanta.
 

velvet

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Flussi

I fanciulli con gli archetti
spaventano gli scriccioli nei buchi.
Cola il pigro sereno nel riale
che l'accidia sorrade,
pausa che gli astri donano ai malvivi
camminatori delle bianche strade.
Alte, tremano guglie di sambuchi
e sovrastano al poggio
cui domina una statua dell'Estate
fatta camusa da lapidazioni;
e su lei cresce un roggio
di rampicanti ed un ronzio di fuchi.
Ma la dea mutilata non s'affaccia
e ogni cosa si tende alla flottiglia
di carta che discende lenta il vallo.
Brilla in aria una freccia,
si configge s'un palo, oscilla tremula.
La vita è questo scialo
di triti fatti, vano
più che crudele.
Tornano
le tribù dei fanciulli con le fionde
se è scorsa una stagione od un minuto,
e i morti aspetti scoprono immutati
se pur tutto è diruto
e più dalla sua rama non dipende
il frutto conosciuto.
- Ritornano i fanciulli...; così un giorno
il giro che governa
la nostra vita ci addurrà il passato
lontano, franto e vivido, stampato
sopra immobili tende
da un'ignota lanterna.-
E ancora si distende
un dòmo celestino ed appannato
sul fitto bulicame del fossato:
e soltanto la statua
sa che il tempo precipita e s'infrasca
vie più nell'accesa edera.
E tutto scorre nella gran discesa
e fiotta il fosso impetuoso tal che
s'increspano i suoi specchi:
fanno naufragio i piccoli sciabecchi
nei gorghi dell'acquiccia insaponata.
Addio! - fischiano pietre tra le fronde,
la rapace fortuna è già lontana,
cala un'ora, i suoi volti riconfonde,-
e la vita è crudele più che vana.

Forse qui Montale ha esagerato nell'usare termini complessi e di difficile comprensione. Così facendo ha appesantito la struttura a scapito del significato. Peccato perché l'ultimo verso ha una forza tale che avrebbe retto una rima più semplice ed immediata.

Vero, alcuni versi sono proprio difficili da comprendere! :boh:
Il significato generale mi sembra ancora il confornt tra la gioventù felice e il rendersi conto del tempo che scorre.
La vita che da vana diventa crudele è un'immagine fortissima che scuote l'intera poesia.
 

velvet

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Clivo

Viene un suono di buccine
dal greppo che scoscende,
discende verso il mare
che tremola e si fende per accoglierlo.
Cala nella ventosa gola
con l'ombre la parola
che la terra dissolve sui frangenti;
si dismemora il mondo e può rinascere.
Con le barche dell'alba
spiega la luce le sue grandi vele
e trova stanza in cuore la speranza.
Ma ora lungi è il mattino,
sfugge il chiarore e s'aduna
sovra eminenze e frondi,
e tutto è più raccolto e più vicino
come visto a traverso di una cruna;
ora è certa la fine,
e s'anche il vento tace
senti la lima che sega
assidua la catena che ci lega.

Come una musicale frana
divalla il suono, s'allontana.
Con questo si disperdono le accolte
voci dalle volute
aride dei crepacci;
il gemito delle pendìe,
là tra le viti che i lacci
delle radici stringono.
Il clivo non ha più vie,
le mani s'afferrano ai rami
dei pini nani; poi trema
e scema il bagliore del giorno;
e un ordine discende che districa
dai confini
le cose che non chiedono
ormai che di durare, di persistere
contente dell'infinita fatica;
un crollo di pietrame che dal cielo
s'inabissa alle prode...

Nella sera distesa appena, s'ode
un ululo di corni, uno sfacelo.

Bellissima questa poesia nella sua intensità e verità che si adatta anche agli avvenimenti degli ultimi giorni tanto da pensare che la poesia è l'unica parola che ha un senso in mezzo a tante parole dette che non ne hanno alcuno.


Bellissima poesia che sottolinea la forza della natura che crea e distrugge bellezza.
Versi fortissimi che mi hanno colpito:
e s'anche il vento tacesenti la lima che sega
assidua la catena che ci lega.


E ancora:
le cose che non chiedono
ormai che di durare, di persistere
 

velvet

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Arsenio

I turbini sollevano la polvere
sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
deserti, ove i cavalli incappucciati
annusano la terra, fermi innanzi
ai vetri luccicanti degli alberghi.
Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
in questo giorno
or piovorno ora acceso, in cui par scatti
a sconvolgerne l’ore
uguali, strette in trama, un ritornello
di castagnette.

E’ il segno d’un’altra orbita: tu seguilo.
Discendi all’orizzonte che sovrasta
una tromba di piombo, alta sui gorghi
più d’essi vagabonda: salso nembo
vorticante, soffiato dal ribelle
elemento alle nubi; fa che il passo
su la ghiaia ti scricchioli e t’inciampi
il viluppo dell’alghe: quell’istante
è forse, molto atteso, che ti scampi
dal finire il tuo viaggio, anello d’una
catena, immoto andare, oh troppo noto
delirio, Arsenio, d’immobilità…

Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
dei violini, spento quando rotola
il tuono con un fremer di lamiera
percossa; la tempesta è dolce quando
sgorga bianca la stella di Canicola
nel cielo azzurro e lunge par la sera
ch’è prossima: se il fulmine la incide
dirama come un albero prezioso
entro la luce che s’arrosa: e il timpano
degli tzigani è il rombo silenzioso.

Discendi in mezzo al buio che precipita
e muta il mezzogiorno in una notte
di globi accesi, dondolanti a riva, –
e fuori, dove un’ombra sola tiene
mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
l’acetilene –
finché goccia trepido
il cielo, fuma il suolo che t’abbevera,
tutto d’accanto ti sciaborda, sbattono
le tende molli, un fruscio immenso rade
la terra, giù s’afflosciano stridendo
le lanterne di carta sulle strade.

Così sperso tra i vimini e le stuoie
grondanti, giunco tu che le radici
con sé trascina, viscide, non mai
svelte, tremi di vita e ti protendi
a un vuoto risonante di lamenti
soffocati, la tesa ti ringhiotte
dell’onda antica che ti volge; e ancora
tutto che ti riprende, strada portico
mura specchi ti figge in una sola
ghiacciata moltitudine di morti,
e se un gesto ti sfiora, una parola
ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
nell’ora che si scioglie, il cenno d’una
vita strozzata per te sorta, e il vento
la porta con la cenere degli astri.

Poesia piena di pessimismo, l'idea di spezzare la catena del'"immoto andare" si rivela un'illusione.
Gli uomini restano una "ghiacciata moltitudine di morti" che vivono una "vita strozzata".
Le immagini della natura sono sempre molto forti e in questo caso tanto cupe.
 

velvet

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Crisalide

L'albero verdecupo
si stria di giallo tenero e s'ingromma.
Vibra nell'aria una pietà per l'avide
radici, per le tumide cortecce.
Son vostre queste piante
scarse che si rinnovano
all'alito d'Aprile, umide e liete.
Per me che vi contemplo da quest'ombra,
altro cespo riverdica, e voi siete.

Ogni attimo vi porta nuove fronde
e il suo sbigottimento avanza ogni altra
gioia fugace; viene a impetuose onde
la vita a questo estremo angolo d'orto.
Lo sguardo ora vi cade su le zolle;
una risacca di memorie giunge
al vostro cuore e quasi lo sommerge.
Lunge risuona un grido: ecco precipita
il tempo, spare con risucchi rapidi
tra i sassi, ogni ricordo è spento; ed io
dall'oscuro mio canto mi protendo
a codesto solare avvenimento.

Voi non pensate ciò che vi rapiva
come oggi, allora, il tacito compagno
che un meriggio lontano vi portava.
Siete voi la mia preda, che m'offrite
un'ora breve di tremore umano.
Perderne, non vorrei neppure un attimo:
è questa la mia parte, ogni altra è vana.
La mia ricchezza è questo sbattimento
che vi trapassa e il viso
in alto vi rivolge; questo lento
giro d'occhi che ormai sanno vedere.

Così va la certezza d'un momento
con uno sventolio di tende e di alberi
tra le case; ma l'ombra non dissolve
che vi reclama, opaca. M'apparite
allora, come me, nel limbo squallido
delle monche esistenze; e anche la vostra
rinascita è uno sterile segreto,
un prodigio fallito come tutti
quelli che ci fioriscono d'accanto.

E il flutto che si scopre oltre le sbarre
come ci parla a volte di salvezza;
come può sorgere agile
l'illusione, e sciogliere i suoi fumi.
Vanno a spire sul mare, ora si fondono
sull'orizzonte in foggia di golette.
Spicca una d'esse un volo senza rombo,
l'acque di piombo come alcione profugo
rade. Il sole s'immerge nelle nubi,
l'ora di febbre, trepida, si chiude.
Un glorioso affanno senza strepiti
ci batte in gola: nel meriggio afoso
spunta la barca di salvezza, è giunta:
vedila che sciaborda tra le secche,
esprime un suo burchiello che si volge
al docile frangente - e là ci attende.

Ah crisalide, com'è amara questa
tortura senza nome che ci volve
e ci porta lontani - e poi non restano
neppure le nostre orme sulla polvere;
e noi andremo innanzi senza smuovere
un sasso solo della gran muraglia;
e forse tutto è fisso, tutto è scritto,
e non vedremo sorgere per via
la libertà, il miracolo,
il fatto che non era necessario!

Nell'onda e nell'azzurro non è scia.
Sono mutati i segni della proda
dianzi raccolta come un dolce grembo.
Il silenzio ci chiude nel suo lembo
e le labbra non s'aprono per dire
il patto ch'io vorrei
stringere col destino: di scontare
la vostra gioia con la mia condanna.
È il voto che mi nasce ancora in petto,
poi finirà ogni moto. Penso allora
alle tacite offerte che sostengono
le case dei viventi; al cuore che abdica
perché rida un fanciullo inconsapevole;
al taglio netto che recide, al rogo
morente che s'avviva
d'un arido paletto,
e ferve trepido


Ancora illusione di rinascita e salvezza espressi dalla primavera , dal mare. Ma le illusioni si perdou nell' immobilità della non vita, come quella di una crisalide in un bozzolo.

E noi andremo innanzi senza smuovere
un sasso solo della gran muraglia;
e forse tutto è fisso, tutto è scritto
 

velvet

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Marezzo

Aggotti, e già la barca si sbilancia
e il cristallo dell'acque si smeriglia.
S'è usciti da una grotta a questa rancia
marina che uno zefiro scompiglia.

Non ci turba, come anzi, nell'oscuro,
lo sciame che il crepuscolo sparpaglia,
dei pipistrelli; e il remo che scandaglia
l'ombra non urta più il roccioso muro.

Fuori è il sole: s'arresta
nel suo giro e fiammeggia.
Il cavo cielo se ne illustra ed estua,
vetro che non si scheggia.

Un pescatore da un canotto fila
la sua lenza nella corrente.
Guarda il mondo del fondo che si profila
come sformato da una lente.

Nel guscio esiguo che sciaborda,
abbandonati i remi agli scalmi,
fa che ricordo non ti rimorda
che torbi questi meriggi calmi.

Ci chiudono d'attorno sciami e svoli,
è l'aria un'ala morbida.
Dispaiono: la troppa luce intorbida.
Si struggono i pensieri troppo soli.

Tutto fra poco si farà più ruvido,
fiorirà l'onda di più cupe strisce.
Ora resta così, sotto il diluvio
del sole che finisce.

Un ondulamento sovverte
forme confini resi astratti:
ogni forza decisa già diverte
dal cammino. La vita cresce a scatti.

È come un falò senza fuoco
che si preparava per chiari segni:
in questo lume il nostro si fa fioco,
in questa vampa ardono volti e impegni.

Disciogli il cuore gonfio
nell'aprirsi dell'onda;
come una pietra di zavorra affonda
il tuo nome nell'acque con un tonfo!

Un astrale delirio si disfrena,
un male calmo e lucente.
Forse vedremo l'ora che rasserena
venirci incontro sulla spera ardente.

Digradano su noi pendici
di basse vigne, a piane.
Quivi stornellano spigolatrici
con voci disumane.

Oh la vendemmia estiva,
la stortura nel corso
delle stelle! - e da queste in noi deriva
uno stupore tinto di rimorso.

Parli e non riconosci i tuoi accenti.
La memoria ti appare dilavata.
Sei passata e pur senti
la tua vita consumata.

Ora, che avviene?, tu riprovi il peso
di te, improvvise gravano
sui cardini le cose che oscillavano,
e l'incanto è sospeso.

Ah qui restiamo, non siamo diversi.
Immobili così. Nessuno ascolta
la nostra voce più. Così sommersi
in un gorgo d'azzurro che s'infolta.


Che bella questa poesia tutta marina. Sembra di tornare ad uno dei pomeriggi in barca quando la luce e lo sciabordio del mare colmano l'aria e non c'è spazio per nient'altro.
 

velvet

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Casa sul mare

Il viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l'anima che non sa più dare un grido.
Ora I minuti sono eguali e fissi
come I giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d'acqua che rimbomba.
Un altro, altr'acqua, a tratti un cigolio.
Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
I soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l'isole dell'aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.
Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell'ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s'appressa
l'ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s'infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l'avara mia speranza.
A' nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l'offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.
Il cammino finisce a queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m'ode
salpa già forse per l'eterno.

Versi di un pessimismo doloroso, forse l'unico spiraglio è nel seguente verso "Ti dono anche l'avara mia speranza" . Si sente tutta la fatica del poeta, che è la nostra fatica di credere e andare avanti giorno per giorno

Anche qui regnano il pessimismo e la disillusione ma c'è un minimo soffio di speranza secondo me anche nei versi:

Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.


L'autore si comprende tra i più per i quali non c'è salvezza ma non esclude che per qualcuno la sorte possa essere diversa e che "qual volle si ritrovi". Una novità finora...
 

velvet

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Delta

La vita che si rompe nei travasi
secreti a te ho legata:
quella che si dibatte in sé e par quasi
non ti sappia, presenza soffocata.

Quando il tempo s'ingorga alle sue dighe
la tua vicenda accordi alla sua immensa,
ed affiori, memoria, più palese
dall'oscura regione ove scendevi,
come ora, al dopopioggia, si riaddensa
il verde ai rami, ai muri il cinabrese.

Tutto ignoro di te fuor del messaggio
muto che mi sostenta sulla via:
se forma esisti o ubbia nella fumea
d'un sogno t'alimenta
la riviera che infebbra, torba, e scroscia
incontro alla marea.

Nulla di te nel vacillar dell'ore
bige o squarciate da un vampo di solfo
fuori che il fischio del rimorchiatore
che dalle brume approda al golfo.



Qui Montale è criptico, ermetico, chiuso dentro le parole, è una di quelle poesie da rileggere innumerevoli volte, il pensiero si incarta, si accartoccia su sé stesso e solo il tempo riesce a svelarlo

Vero, poesia criptica anche per me.
L'immagine della foce del fiume insieme all'affiorare della memoria dagli ingorghi del tempo mi ha ricordato "Cuore di tenebra" di Conrad.
Letterariamente non c'entra niente, ma mi ha rievocato alla mente quelle tetre immagini. :boh:
 

velvet

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Incontro

Tu non m’abbandonare mia tristezza
sulla strada
che urta il vento forano
co’ suoi vortici caldi, e spare; cara
tristezza al soffio che si estenua: e a questo,
sospinta sulla rada
dove l’ultime voci il giorno esala
viaggia una nebbia, alta si flette un’ala
di cormorano.

La foce è allato del torrente, sterile
d’acque, vivo di pietre e di calcine;
ma più foce di umani atti consunti,
d’impallidite vite tramontanti
oltre il confine
che a cerchio ci rinchiude: visi emunti,
mani scarne, cavalli in fila, ruote
stridule: vite no: vegetazioni
dell’altro mare che sovrasta il flutto.

Si va sulla carraia di rappresa
mota senza uno scarto,
simili ad incappati di corteo,
sotto la volta infranta ch’è discesa
quasi a specchio delle vetrine,
in un’aura che avvolge i nostri passi
fitta e uguaglia i sargassi
umani fluttuanti alle cortine
dei bambù mormoranti.

Se mi lasci anche tu, tristezza, solo
presagio vivo in questo nembo, sembra
che attorno mi si effonda
un ronzio qual di sfere quando un’ora
sta per scoccare;
e cado inerte nell’attesa spenta
di chi non sa temere
su questa proda che ha sorpresa l’onda
lenta, che non appare.

Forse riavrò un aspetto: nella luce
radente un moto mi conduce accanto
a una misera fronda che in un vaso
s’alleva s’una porta di osteria.
A lei tendo la mano, e farsi mia
un’altra vita sento, ingombro d’una
forma che mi fu tolta; e quasi anelli
alle dita non foglie mi si attorcono
ma capelli.

Poi più nulla. Oh sommersa!: tu dispari
qual sei venuta, e nulla so di te.
La tua vita è ancor tua: tra i guizzi rari
dal giorno sparsa già. Prega per me
allora ch’io discenda altro cammino
che una via di città,
nell’aria persa, innanzi al brulichio
dei vivi; ch’io ti senta accanto; ch’io
scenda senza viltà.

Poesia nella quale mi son ripetutamente commossa...

Una delle poesie più pessimiste, dove la tristezza è addirittura vista come salvezza da una vita inerte, salvifica anche la possibilità di aprirsi ad un'altra persona, possibilità che svanisce in un istante.
 

velvet

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Riviere

Riviere,
bastano pochi stocchi d'erbaspada
penduli da un ciglione
sul delirio del mare;
o due camelie pallide
nei giardini deserti,
e un eucalipto biondo che si tuffi
tra sfrusci e pazzi voli
nella luce;
ed ecco che in un attimo
invisibili fili a me si asserpano,
farfalla in una ragna
di fremiti d'olivi, di sguardi di girasoli.

Dolce cattività, oggi, riviere
di chi s'arrende per poco
come a rivivere un antico giuoco
non mai dimenticato.
Rammento l'acre filtro che porgeste
allo smarrito adolescente, o rive:
nelle chiare mattine si fondevano
dorsi di colli e cielo; sulla rena
dei lidi era un risucchio ampio, un eguale
fremer di vite,
una febbre del mondo; ed ogni cosa
in se stessa pareva consumarsi.

Oh allora sballottati
come l'osso di seppia dalle ondate
svanire a poco a poco;
diventare
un albero rugoso od una pietra
levigata dal mare; nei colori
fondersi dei tramonti; sparir carne
per spicciare sorgente ebbra di sole,
dal sole divorata…
Erano questi,
riviere, i voti del fanciullo antico
che accanto ad una rósa balaustrata
lentamente moriva sorridendo.

Quanto, marine, queste fredde luci
parlano a chi straziato vi fuggiva.
Lame d'acqua scoprentisi tra varchi
di labili ramure; rocce brune
tra spumeggi; frecciare di rondoni
vagabondi…
Ah, potevo
credervi un giorno, o terre,
bellezze funerarie, auree cornici
all'agonia d'ogni essere.
Oggi torno
a voi più forte, o è inganno, ben che il cuore
par sciogliersi in ricordi lieti - e atroci.
Triste anima passata
e tu volontà nuova che mi chiami,
tempo è forse d'unirvi
in un porto sereno di saggezza.
Ed un giorno sarà ancora l'invito
di voci d'oro, di lusinghe audaci,
anima mia non più divisa. Pensa:
cangiare in inno l'elegia; rifarsi;
non mancar più.
Potere
simili a questi rami
ieri scarniti e nudi ed oggi pieni
di fremiti e di linfe,
sentire
noi pur domani tra i profumi e i venti
un riaffluir di sogni, un urger folle
di voci verso un esito; e nel sole
che v'investe, riviere,
rifiorire!



L'ultima poesia di Ossi di seppia, quella che forse apre alla consapevolezza e alla speranza, guarda al futuro, finisce con la parola "rifiorire"

Le ultime poesie di questa raccolta sono forse le più pessimistiche, non mi aspettavo che il finale dell'ultima poesia lasciasse uno spiraglio di speranza. Ne sono rimasta veramente contenta.

E del resto l'ultima poesia non poteva non essere "Riviere", il paesaggio che ci ha accompagnato in questa bellissima raccolta che sono felicissima di aver letto.
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velvet

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Commento finale

Montale ci trasmette la difficoltà di vivere una vita degna di questo nome attraverso un paesaggio aspro e brullo, caratterizzato da un sole che rende tutto arido e accecante e da un mare ce travolge e erode.
Anche il linguaggio aspro e talvolta ostico aiuta ad esprimere un disagio esistenziale, un pessimismo che solo raramente si apre ad uno spiraglio di speranza, subito disilluso.
Mi è piaciuta molto questa raccolta molto forte, evocativa di immagini e sensazioni, mi ha coinvolto ed emozionato.

Grazie Elisa per la compagnia in questo lungo viaggio! :HIPP
 
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