Decalogo per sfaccendati
Non amo troppo stilare decaloghi, ma d'altra parte perché non farlo?
- Ho imparato dalla vita una lezione semplicissima e forse la più importante. Mai arrendersi. Qualunque cosa accada, per nessuna ragione e in nessun caso. Anche quando le ginocchia spossate cedono per la stanchezza, il respiro si fa corto e la vista appannata; anche quando lo spirito è a pezzi e la speranza sembra polverizzarsi e gli sforzi essere vani. Mai cedere, non alle lusinghe di una pace apparente o conveniente o concessa o meno che meritata, non alla paura ed alla viltà, né tanto meno al dolore ed alla sofferenza, perpetui compagni di viaggio. Di fronte alle ferite, alle offese, al vilipendio, l'imperativo rimane identico: resistere. Perché il declinarsi della vita nelle sue forme innumerevoli esige una proprietà comune a tutte: ed è essere felici; e perché la resistenza è la misura dell'amore per la vita e se stessi: mai consentire a chicchessia di minacciare, intaccare o far implodere la felicità. Non ostante gli ostacoli, i colpi subiti, le delusioni cocenti e le solitudini possibili.
- Ho imparato l'imprevedibilità delle cose. Per via di quelle oscure e bellissime coincidenze del caso, nulla - nulla - va nel modo in cui lo avevamo previsto. I programmi vengono sempre disattesi, le aspirazioni mutano insieme alle direzioni impreviste che gli eventi prendono del tutto arbitrariamente e fuori dal nostro controllo. Ed è meraviglioso questo margine di totale incongruenza, di assoluta possibilità. Tutto può accadere laddove non ci eravamo spinti a misurare, regolare, prevedere. E accade spesso, difatti, che dagli spin-off inattesi si inneschino meccanismi straordinariamente complessi, tali, a volte, da modificare il corso intero di una vita. E' una fortuna l'eterea onnipresenza del caso, questo effetto scenico dell'universo che interviene proprio quando mai ce lo saremmo aspettato.
- Ho imparato che col tempo cambiano i luoghi indicati con 'casa'. Ci facciamo portatori di storie diverse e distanti, finiamo col vedere il passato alla luce del presente, le esperienze, il cumulo variopinto ed incoerente di ciò che siamo lo assoggettiamo al qui ed all'ora, a quanto ci accade tra le mani. E quante cose vanno perdute nella trasmutazione, quanto del passato costringiamo a non dissolversi imprigionandolo in un nome.. nomi come segnalibri che non rimandano più ad altro che se stessi, eppure una volta rinviano a ad esperienze uniche, quei nomi erano il luogo d'incontro di membri eletti e privilegiati, pronunciarli era un rito esclusivo per chi poteva afferrarne il senso. Il catello, una contrada di campagna, un locale, una città, tutti significanti per miliardi di significati, ognuno custodito segretamente e destinati a perdersi nella memoria, per lasciare il posto a null'altro che un nome.
- Ho imparato, banalmente, che l'amore fa ridere. Poca cosa i dolori intimi e lo strazio interiore, fenomeni conseguenti, e niente di più. No, l'amore in sé è ridicolo, è assurdo. E come se non bastasse la sua essenza ad essere buffa, ci diamo alla sua fenomenologia: quante sciocchezze compiamo, quante irragionevolezze a cui non ci saremmo mai piegati e che ci fanno segretamente vergognare o ridere di noi medesimi. Quanto del nostro senno e della nostra intransigenza lasciamo abdicare. Prendiamo treni verso città fino ad allora sconosciute, passiamo le notti a cercare incastri perfetti che dopo dovranno risultare puramente casuali, acuiamo i sensi e l'ingegno, trascuriamo gli impegni e finanche i pasti, le cure: e tutto ciò perché siamo innamorati. I film comici sono assai meno veritieri della realtà in questo: in prima persona si ride di più. E se anche il rifiuto, l'amore respinto, l'interruzione improvvisa, lo stesso rimane un substrato assolutamente assurdo di inspiegabile felicità.