Riporto dall'ultimo numero del Giornalino:
Un padre ama le figlie al punto tale da privarsi di tutto – persino del loro affetto – pur di renderle “felici” in un mondo dove l'apparenza è il solo strumento di scalata sociale: la loro indifferenza lo porterà alla rovina e poi alla morte. Un giovane, d'animo retto ma impulsivo e ambizioso, si dibatte fra la seduzione della corruzione, attraverso la quale sa di potersi fare strada nel mondo dell'alta società parigina, e la purezza dei propri sentimenti, messi continuamente e duramente alla prova. Questi gli ingredienti principali del capolavoro di Balzac. Questi – “papà” Goriot e Eugène de Rastignac – i protagonisti di questa storia, legati l'uno all'altro non solo dalla condivisione della stessa squallida pensione in uno dei quartieri più anonimi di Parigi, ma soprattutto dalle vicende delle due splendide, viziate e ciniche figlie di papà Goriot, verso le quali (prima una e poi l'altra) il giovane prova una forte attrazione, che lo spinge a trovare loro continue giustificazioni fino a quando il crudele epilogo gli apre definitivamente gli occhi.
Poche le considerazioni che mi vengono da fare su questo romanzo, oltre al fatto che è scritto benissimo: Balzac riesce a condensare in “poco spazio” tutto ciò che ci serve per comprendere a fondo la vicenda e il carattere dei personaggi. L'autore non si dilunga mai, ma – forse proprio per questo – le sue parole arrivano sempre a mettere a fuoco l'essenziale.
Ma se una cosa mi ha colpito più di ogni altra, questa è stata la complessità morale dei personaggi. Non è la prima volta che un autore, attraverso la sua opera, denuncia un certo tipo di società, dominata dalle ipocrisie e dalle apparenze, dove per farsi strada occorre rinnegare se stessi e i propri principi (penso soprattutto ai grandi capolavori del realismo francese: Il rosso e il nero, Bel-ami, L'educazione sentimentale...). Eppure qui il confine di separazione fra ciò che è bene e ciò che è male è molto più sottile e anzi messo continuamente in crisi: a differenza di altre opere, in questo romanzo non sono possibili “schieramenti”, perchè di ogni sentimento e di ogni carattere (solo apparentemente qualificabili come “positivi” o “negativi”) è mostrata anche “l’altra faccia della medaglia”. Tre i casi esemplari.
Innanzitutto Eugène de Rastignac: in lui il conflitto è evidente ed esplicito. Il suo animo è puro, l’educazione ricevuta e l’innata nobiltà d’animo fanno sì che egli non si pieghi facilmente alle crudeli regole del “bel mondo”, eppure la seduzione che quel mondo (di cui pure riconosce la corruzione) esercita su di lui è molto forte ed egli poco per volta vi si abbandonerà (definitivamente o no è difficile stabilirlo, ma quel che è certo è che la strada intrapresa è quella del compromesso)... C’è poi Vautrin: la sua figura è molto interessante, in quanto – nonostante sia palesemente un malvivente – fino alla fine sfugge a un giudizio del tutto negativo. Come si può condannare un uomo che compie apertamente le stesse turpi azioni che tutti compiono, protetti però dalla maschera del loro perbenismo?
Infine c’è il protagonista, papà Goriot. Impossibile non compatirlo, impossibile non restare ammutoliti di fronte al suo smisurato amore nei confronti delle figlie, anche quando questo amore patologico, fanatico, folle lo condurrà all’autodistruzione... Eppure non credo che Balzac abbia voluto ritrarre la figura di un martire. La bellezza di questo personaggio, così puro, così inerme, sta proprio nella consapevolezza (nostra, ma alla fine anche sua) di essere stato lui stesso, almeno parzialmente, causa della sua rovina. È vero amore quello che spinge un uomo, seppure a fin di bene, a dare “tutto” senza che di questo tutto riesca a farne percepire il valore, il sacrificio? Non dimentichiamoci che qui non si parla di un amore fra due innamorati, ma di un padre verso le proprie figlie; e infatti il sentimento che lega papà Goriot alle due fanciulle assomiglia più alla sfrenata passione di un innamorato che non alla maturità di un padre che oltre a “dare amore” dovrebbe anche saper “educare all’amore”. Le due donne ai nostri occhi appaiono quasi spregevoli, ma – c'è da chiedersi – sono le uniche resposabili di questa estrema superficialità ?
Sembra che Balzac alla fine non voglia condannare nè salvare nessuno. Ad essere condannata senza appello è la società, ma nonostante la forza che questa esercita su ciascuno, sembra che l’autore voglia ricordarci che ognuno di noi ha libertà (e forse il dovere) di seguire la propria coscienza.