La camera azzurra è il secondo romanzo che leggo (o per meglio dire che ascolto) di George Simenon e, se già il primo ha costituto una sorta di rivelazione, questo non ha fatto altro che “confermare i miei sospetti”. Simenon, che come molti associavo quasi solo al personaggio di Maigret, è un autore assolutamente nelle mie corde e ho tutte le intenzioni di approfondire la conoscenza.
La vicenda parte in media res: Tony è in stato di arresto, ma non si sa bene per cosa. Per quanto a grandi linee si possa intuire, i dettagli della vicenda saranno svelati quasi solo alla fine… Questo fa sì che la narrazione si mantenga avvincente fino alle ultimissime pagine: di cosa è accusato realmente Tony? Cosa è successo? E soprattutto, è davvero importante che sia colpevole o no di ciò per cui è imputato?
Insieme a lui, attraverso le sue deposizioni, ripercorriamo passo dopo passo l’intera vicenda: il primo incontro con Andrèe, la passione travolgente eppure distinta, dotata di vita propria… Il caso di Tony è quasi un classico: una storia di tradimento, il quale però non intacca più di tanto la sua serena esistenza. Il precario equilibrio tra ciò che brilla alla luce del sole e ciò che deve essere tenuto nascosto, segreto – simboleggiato appunto dalla “camera azzurra”, sede dei suoi incontri clandestini, un luogo il cui significato lo affascina ma gli sfugge – è appena sufficiente a mantenere “intatta” la sua vita. Ma cosa succede se ciò che egli ha relegato a una sola metà di se stesso (quella oscura e segreta) rompe gli argini, contaminando anche ciò che non gli appartiene? Una delle conseguenze più significative sarà l’apertura di un baratro fra se stesso e gli altri, e, alla fine, fra il suo io “pubblico” (quello che deve raccontare, spiegare, giustificare per non essere incolpato di ciò che non ha commesso) e quello “privato”. Pian piano Tony si rende conto che questa distanza è incolmabile che è inutile cercare di percorrere. Paradossalmente quanto più noi siamo curiosi di venire a conoscenza dei fatti e del loro esito, tanto più la stanchezza, la rassegnazione del protagonista, che è anche narratore, diventano indifferenza. “Alla gente piace pensare che tutti agiscano per una ragione precisa”, mentre lui “viveva ogni cosa così come veniva, senza chiedersi niente, senza cercare di capire, senza neppure sospettare che un giorno ci sarebbe stato qualcosa da capire.” Ma allora perché sforzarsi di farsi comprendere, di giustificarsi? Tanto vale mollare la presa, lasciare che gli eventi facciano il loro corso…
Ho trovato molti punti in comune fra questo romanzo, decisamente noto, e il meno conosciuto Il piccolo libraio di Archangelsk, primo romanzo di Simenon che ho letto e a cui ho fatto accenno all'inizio. In entrambi i casi due uomini si trovano coinvolti in una brutta faccenda che riguarda una donna e in entrambi i casi la brutta faccenda li coinvolge non solo dal punto di vista umano ma anche da quello giudiziario. Sia Tony sia il piccolo libraio di Archangelsk sono costretti (loro malgrado) a difendersi dalle “accuse” di estranei che li vogliono responsabili di colpe che non hanno realmente commesso, ma per il quale in effetti non possono non sentirsi in qualche modo responsabili. Simenon, che fa della sottigliezza dell’analisi psicologica la sua arma vincente, ha costruito questi due romanzi intorno al contrasto fra l’estraneità (intesa proprio come disinteresse, distanza) del protagonista alla vicenda e ai suoi meccanismi (soprattutto quelli giudiziari) e il loro precipitare nel vortice di questi stessi meccanismi, fino a esserne stritolati. Magari è un azzardo, ma certe dinamiche piscologiche, l’incomunicabilità, la solitudine, la “condanna” interiorizzata, mi hanno ricordato Durrenmatt e persino Kafka…
Non è un caso che entrambi i protagonisti dei due romanzi di Simenon siano degli immigrati (ne Il piccolo libraio di Archangelsk questo elemento è talmente caratterizzante da dare il titolo all’opera): l’essere straniero si confonde sempre più con l’essere estraneo e diventa simbolo di un’incomunicabilità senza possibilità di riscatto.
In conclusione, l’attenzione psicologica di Simenon mi affascina incredibilmente e, per quanto mi riguarda, la sensazione di aver letto finora due opere quasi complementari non ha fatto che accrescere anziché diminuire l’ammirazione e l’interesse per questo autore. Mi chiedo (ma dai commenti che ho trovato in rete credo proprio che sia così) se persino nei romanzi che sono propriamente dei “gialli” l’ingrediente umano, psicologico, sia così rilevante e perciò sono davvero curiosa di affrontare anche questi.