Secondo libro che leggo di questo autore che già con Il carteggio Aspern (forse meno celebre, ma non per questo meno interessante) era stato per me quasi una rivelazione.
Il giro di vite, benché affronti una vicenda completamente diversa dal punto di vista narrativo (trattasi di una ghost-story o presunta tale, a seconda delle numerose e contrastanti interpretazioni che si sono susseguite negli oltre cento anni dalla sua pubblicazione), secondo me presenta delle tematiche comuni che non hanno fatto altro che confermare la forte empatia provata per questo autore.
Innanzitutto: l'atteggiamento giocoso e mistificatorio con cui lo scrittore si pone davanti ai suoi lettori. James ha l'incredibile capacità di disseminare o nascondere “indizi” a seconda di quanta “certezza” (o piuttosto dovremmo dire “in-certezza”!) voglia concedere ai lettori circa la legittimità delle proprie ipotesi sullo svolgersi della vicenda e magari persino sul suo esito. Con questo non voglio dire che James si diverta a prenderci in giro, tutt'altro, ma la sua scrittura gioca tutta sull'ambiguità, non tanto sull'inganno quanto sulla possibilità di un inganno. E questo perché in realtà ciò che gli interessa non sono i fatti in sé per sé ma ciò che questi fatti suscitano nei suoi personaggi, le dinamiche che scatenano, le conseguenze più o meno estreme a cui possono condurre... In poche parole, la vocazione di James è prettamente psicologica.
Di conseguenza, il lettore è tutt'altro che un burattino nelle sue mani, ma anzi è chiamato a partecipare a questo gioco, a fare le sue ipotesi, a “spendersi” mentre vive insieme ai personaggi lo svolgersi della trama e delle sue relazioni.
Tutto questo vale sia per Il carteggio Aspern sia per Il giro di vite che, a mio avviso e benché abbia letto anche commenti non troppo entusiastici, è un autentico capolavoro.
Devo ammettere di essere stata particolarmente fortunata, avendo letto questo romanzo breve (una forma letteraria che, al pari dei “mattoni”, sto scoprendo a me particolarmente congeniale) in un'edizione* corredata di note sempre interessanti e a volte illuminanti. Senza togliermi alcun piacere nella lettura, mi hanno permesso di cogliere tanti particolari che magari mi sarebbero sfuggiti, quegli “indizi” di cui parlavo prima, anche se più spesso trattasi di blanks ossia “vuoti” da riempire con le nostre supposizioni, che rendono la ghost-story ancora più ammantata di mistero.
Ad esempio, la sensibilità e l'impressionabilità dell'istitutrice sono sottolineate fin dall'inizio proprio per instillare il germe del dubbio sulla veridicità del suo racconto. Il suo rapporto con la governante, Mrs. Grove, è costruito con grande sapienza, episodio dopo episodio, e si basa sulla disparità culturale e sociale, sul diverso ruolo e potere decisionale all'interno della casa e allo stesso tempo su una (sincera? ambigua? strategica?) amicizia fra le due donne che si suggellerà in una vera e propria alleanza, tutta a vantaggio dell'istitutrice, appoggiata nelle sue suggestioni più o meno verosimili e nei suoi deliri di onnipotenza.
Un climax parallelo è costruito intorno alla figura dei bambini, talmente “puri” e “angelici” da non sembrare di questo mondo (e già qui...). É chiaro che James ci sta preparando la strada a qualcos'altro, a quello che, insieme alla “sanità mentale” della narratrice resta il grande dilemma insoluto di quest'opera: i bambini sono creature innocenti da proteggere o piuttosto complici dell'inganno, strumenti (magari non per una propria originale colpa ma per “contaminazione demoniaca”) di malvagità?
Il crescendo attraverso cui i bambini (e in particolar modo Miles) perdono la loro "innocenza" o forse l'istitutrice prende coscienza della loro vera natura, necessariamente non "angelica" ed "eterea" come lei vorrebbe, è realizzato con grande maestria ed efficacia.
Insomma, sia l'istitutrice, sia i bambini (e persino, secondo alcune interpretazioni, la povera governante!) sono figure estremamente ambigue ed è proprio quest'ambiguità a creare il pathos e l'angoscia che la sola presenza dei fantasmi non riuscirebbe a giustificare. Ammetto di essere stata molto presa dalla lettura di questo breve romanzo, proprio perché mi rendevo conto poteva essere vero una cosa, così come il suo contrario. Ancora una volta, l'intento di James si conferma quello non di fornire una spiegazione o una verità univoca, bensì di sperimentare ciò a cui possono condurre, nei rapporti umani soprattutto, determinate condizioni. In questo caso l'istitutrice era talmente convinta della “sua” verità da trascinare tutti con sé nel proprio delirio... alla fine conta davvero sapere se i fantasmi fossero “reali” o allucinazioni? Contava davvero sapere se il famigerato “carteggio Aspern”, in funzione del quale tutti i personaggi dell'omonimo romanzo agiscono e si relazionano fra loro, esistesse realmente o no?
Ammetto di aver particolarmente apprezzato, in questo caso, il finale aperto (che normalmente non gradisco, soprattutto quando mi sembra un escamotage per tirarsi fuori dai guai quando non si sa che pesci prendere...) anche perché non amo tanto la componente soprannaturale, una “soluzione” che ho sempre trovato troppo “facile”...
E poi... perchè privarsi di decenni e decenni (più di un secolo!) di straordinari dibattiti, critiche, meta-critiche e meta-meta-critiche? Spendo le ultime righe di questo commento per dire che la bella edizione che avevo a disposizione presenta un'introduzione molto interessante la quale, fra le altre cose, prende in rassegna tutte le principali interpretazioni sul significato di quest'opera (per ognuna di queste, più e più saggi: roba da non crederci!): quella soprannaturale, quella psicologica e in particolar modo freudiana, quella allegorica (lotta del Bene contro il Male), quella semantica (per la quale, in soldoni, nessuna interpretazione è neppure legittima in quanto il significato si esaurisce nel valore del linguaggio stesso), e chi più ne ha più ne metta... Davvero il dibattito critico a Il giro di vite sarebbe esso stesso da studiare perché in pratica ha seguito il percorso spirituale/culturale/scientifico del Novecento...
A me solo sapere questo mette i brividi. Un romanzo capace di scatenare tutto ciò è un capolavoro!
* ed. Marsilio a cura di Giovanna Mochi.