pag. 450
Davvero questi racconti straziano l'anima.
Sarà per questo che l'autrice alterna sezioni con testimonianze dettagliate e piene di particolari a sezioni in cui sono riportate frasi, discorsi colti in diverse occasioni, manifestazioni, cortei, "voci di strada".
Queste parti del libro appaiono caotiche, frammentarie, contraddittorie, e secondo me rappresentano veramente bene la varietà di aspirazioni, opinioni, esperienze di un intero popolo, che sembra sempre stritolato da qualcosa di più grande di lui, quasi cercasse ancora la via giusta per la propria autodeterminazione.
Fra l'altro il libro rende bene un aspetto fondamentale: non si può nemmeno parlare di un popolo, ma di un'infinità di popoli, etnie, che dall'oggi al domani, con la disgregazione dell'URSS si trovano in mano una libertà che in qualche modo non sembrano saper usare, e che li mette uno contro l'altro quanto fino al giorno prima la sua mancanza li rendeva fratelli e amici o almeno li faceva vivere in questa illusione.
Per aiutarmi a condividere qualche pensiero, mi sono segnata alcune frasi.
pag. 323 Nella sua storia Marija, scrittrice di 57 anni, inizia spiegando cosa indica il termine polacco osadniki, parlando del protocollo del patto Molotov-Ribbentrop, ma quasi subito tronca la spiegazione e dice:
Ma questa è la grande storia, mentre io ho la mia... personale...piccola storia da raccontare.
Mi sembra una frase che descrive propriamente questo libro e in generale la missione che sembra avere la sua autrice: la Aleksievic racconta la grande storia attraverso le piccole storie delle persone.
Fra l'altro la storia di Marija si contrappone a quella di Gleb (STORIA DI UN AMORE) raccontata dalla moglie Olga: Gleb che nonostante l'esperienza nel lager ha mantenuto la sua gentilezza, la sua anima, perchè come dice lui è stato tanto amato da bambino, dalla sua famiglia, mentre Marija nel ripercorrere la sua infanzia non trova da nessuna parte l'amore che possa riscattare la sua vita di sofferenza.
pag. 388
Di fronte a lui sedeva l'uomo che l'aveva denunciato. Tutti lo sapevano e anche lo zio Vanja lo sapeva...Andavano alle riunioni insieme e alle manifestazioni, come prima. Leggevano la Pravda, approvavano la politica del Partito e del governo. I giorni di festa bevevano vodka seduti allo stesso tavolo. E così via. Era la nostra vita. Era così! Noi siamo così... Riesce ad immaginare un carnefice e una vittima di Auschwitz che lavorano nello stesso ufficio e ricevono il loro salario allo stesso sportello? O che sono stati insigniti delle stesse identiche decorazioni dopo la guerra e ricevono oggi la stessa identica pensione...
E' questo uno degli aspetti più strazianti della storia delle persecuzioni durante il regime sovietico. Nelle atrocità della dittatura non c'è nemmeno quella parvenza di separazione fra vittime e carnefici come fra nazisti e ebrei: in qualche modo fra nazisti e ebrei c'era una sorta di connotazione raziale, assurda, infondata, ma che poteva essere una base su cui creare una divisione, una separazione fra essere umani tale da portare una parte a compiere atrocità sull'altra. Ma nelle persecuzioni di cui si parla in questo libro non c'è nemmeno questo aspetto, è il tuo vicino che ti denuncia non perché sei ebreo, nero, giallo, immigrato o ti opponi al regime o qualcosa del genere ma perché ognuno è inglobato in una macchina in cui chi non denuncia viene denunciato, per una frase che nemmeno si ricorda di aver detto, forse per essersi seduto troppo presto durante un'acclamazione a Stalin.
Francesca