XII CONCORSO LETTERARIO DI FORUMLIBRI - I RACCONTI

Stato
Chiusa ad ulteriori risposte.

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Ok, gente, finalmente possiamo dare avvio al XII concorso letterario di Forumlibri! In questo tread troverete tutti i quattordici racconti, pubblicati in ordine alfabetico in base all'iniziale dello pseudonimo scelto dall'autore. Agli scrittevoli chiedo di comunicarmi in privato, il più tempestivamente possibile, qualsiasi problema dovessero riscontrare nella pubblicazione dei loro racconti. Per i commenti e le votazioni, poi, troverete il tread apposito. Ed ora, bando alle ciance e andiamo!
Buona lettura.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Tutorial: come rimorchiare una tedesca dalla bellezza mozzafiato
(di Afrore di Gabibbo)

Punto 1: iniziare una conversazione a quattrocchi.

Innanzitutto è fondamentale attrarre la sua attenzione con qualcosa che la colpisca.

  • No, io al Salem Express preferisco non andarci – dico un po’ platealmente.
  • Perché? – domanda Olga.
  • Perché ci sono già stato e non mi è piaciuto. –
  • Non ti piacciono i relitti? –
  • Se hanno una storia antica sì, mi affascinano, ma se sono affondati da poco e ci trovo ancora le valigie di chi c’è morto dentro, no, mi angosciano – dico sinceramente ma calcando un po’ la mano.


Punto 2: convincerla a fare qualcosa insieme, possibilmente da soli.

  • A me un certo tipo di turismo non piace – riprendo per darmi un tono.
  • E cosa proponi allora? –
  • Gorgonia Reef, al largo dell’isola di Giftun: un indimenticabile giardino di coralli e gorgonie lungo chilometri e chilometri – dico con voce profonda e suadente facendo centro, perché un quarto d’ora dopo ci ritroviamo ad andare in tre alla barriera corallina (anche se alla fine ci immergiamo solo in due), mentre tutti gli altri a vedere il più macabro degli sfasciacarrozze.


Punto 3: infonderle sicurezza.

Davanti ad Olga parlo con Aziz (il comandante della nave) e con Abdul (il mozzo), decidendo di impostare un’immersione in corrente.

Durante una normale immersione – spiego ad Olga mostrandole la carta nautica - si torna al punto di partenza facendo un giro o ripercorrendo i propri passi. In questo caso invece, una volta in profondità, ci si lascia trascinare dalla corrente per riemergere a una certa distanza dove la barca aspetta: in questo modo, non dovendo pinneggiare in continuazione, ci possiamo concentrare sul paesaggio e consumare meno aria prolungando l’immersione. Cosa ne dici? –

Lei annuisce sorridendo entusiasta del mio piano.

Punto 4: infondere sicurezza (parte seconda).

Siamo a poppa pronti a calarci nel blu, quando mi accorgo che Olga ha ancora i tacchi a spillo, poi guardo meglio e scopro di no: ha già le pinne, solo che è alta come una statua!

Lei si accorge che la sto osservando, perciò per facilitarmi le cose alza le braccia e gira su se stessa, ma non per civetteria, bensì per sicurezza, infatti prima di un’immersione ci si controlla a vicenda. Noto così le sue pinne dinamiche di ultima generazione (ideali per immergersi velocemente dandosi appena un paio di scatti veloci) e che forse ha troppa zavorra (e ciò alla lunga potrebbe affaticarla), ma poi mi casca l’occhio sul seno molto abbondante che la costringe ad appesantirsi per non venire su a galla. Le fruste che portano l’aria dalla bombola all’erogatore sono fissate bene, la valvola aperta, la pressione dell’aria a 225 atm, la chioma lunga e fluente che sembra una pubblicità dello shampoo.

Se non fosse ricoperta di neoprene potrebbe essere un’amazzone – penso io - anzi no: visto quant’è bionda e nordica, starebbe meglio a fare la valchiria al fianco di Odino. –

Poi tocca a me fare il défilé, ma siccome c’è poco da vedere, si fa in un attimo e siamo pronti.

Punto 5: fare finalmente qualcosa insieme per creare feeling.

Con Aziz siamo d’accordo che ci aspetterà con la barca a circa un chilometro a sud.

Ci caliamo in acqua, sostituiamo lo snorkel col respiratore, controlliamo la respirazione, ci facciamo OK a vicenda, svuotiamo il GAV (il giubbotto gonfiabile che regola la galleggiabilità) e i polmoni, e lasciamo che il nostro peso più quello della zavorra ci trascini giù in profondità guardandoci negli occhi a vicenda.

Man mano che scendiamo e compensiamo per non sentire il dolore alle orecchie, vediamo la superficie dell’acqua allontanarsi diventando sempre più lontana e lattiginosa, mentre il fondo resta sempre buio, nero e misterioso. Ai principianti questa esperienza fa impressione perché si sentono in un’atmosfera alienante, ma chi è esperto si sente ammantato dal mare, protetto e finalmente isolato dal resto del mondo. Per questo osservo Olga attentamente (non la conosco e non voglio sorprese) e noto che ha gli occhi azzurri, le gote gonfie di chi è emozionata e lo sguardo sereno: bene, meglio così!

Verso i dodici metri iniziamo a intravedere la sabbia sotto di noi, ma continuiamo a scendere fino a raggiungerla a venti metri di profondità.

Io mi fermo a braccia e gambe spalancate a un metro dal fondale come se fossi un trapezista appeso ad un filo. E’ un trucco dei sub esperti che sanno gestire il volume dei propri polmoni per galleggiare o andare a fondo, e serve per risparmiare aria facendo durare di più l’immersione, ma soprattutto a godere. A godere perché se riesci ad andare su e giù senza bisogno di nuotare, la sensazione è quella di volare come un paracadutista, ma nell’acqua. Ve lo giuro, una delle cose più belle che abbia mai provato!

Olga invece posa le pinne per terra, gonfia un pelo il GAV e si mette in assetto dimostrando di essere ancora un po’ inesperta, ma visto che ha alle spalle solo una ventina d’immersioni, ci può stare.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Alle nostre spalle, sparpagliati qui e là, grovigli semoventi di posidonia; davanti a noi invece, una muraglia di corallo alta dai tre ai sette metri e lunga qualche chilometro.

Resto incantato a guardarla. E’ simile al tufo ma non è di pietra, bensì è costituita dagli scheletri dei coralli e delle spugne morte su cui crescono quelli vivi, e in mezzo a loro, un universo di vita.

I coralli hanno un’infinità di forme diverse (a foglia, a rene, a bolla, ad alberello…) e di colori sgargianti come tubi al neon (gialli, rossi, azzurri, verdi!). Si direbbero un tutt’uno, e invece sono l’insieme di migliaia di polipetti grossi come chicchi di riso che vivono in un condominio di forme e di colori. Li avrò visti almeno cento volte ma resto comunque estasiato a guardarli senza fiato. Tra un corallo e l’altro poi, le spugne, scure e gommose che sembrano dei polmoni. Verrebbe voglia di provarli al tatto, ma non si deve: in mare non si dovrebbe toccare nulla per non interferire con l’ambiente. Tra i coralli e le spugne, le urticanti attinie, cioè i rossi e pulsanti pomodori di mare e gli anemoni, che molti credono alghe e invece sono animali (attinie, appunto), che ondeggiano come bionde chiome con le punte mechate di nero, che muovendosi ora in una direzione ora nell’altra, permettono d’intravedere i coraggiosi pesci pagliaccio che fanno la guardia alle loro tane. Coraggiosi perché, sebbene piccolini e indifesi, vedendomi, scattano in avanti minacciosi.

Do un’occhiata ad Olga: anche i suoi capelli biondi ondeggiano liberi nella corrente marina. Ad un certo punto incrociamo lo sguardo, mi fa segno che è tutto OK e lasciamo che la corrente ci trascini liberi nelle profondità marine. Lei davanti e io dietro, che scherzi a parte siamo a venti metri di profondità, non si respira e siccome io sono molto più esperto, è meglio che la tenga d’occhio.

Punto 6: non è vero che a parte il corteggiamento tutto il resto è noia!

Avete presente quando in mezzo ad un’aiuola osservate il simpatico trifoglio ma vi restano da vedere le querce?

Ebbene, quando raccontavo dei coralli eravamo ancora al simpatico trifoglio perché le gorgonie alte tre o quattro metri, maestosi ventagli di natura, sono uno spettacolo da mozzare il fiato, e noi ci fluttuiamo nel mezzo rispettandole senza nemmeno sfiorarle.

Alla base di un corallo rosso c’è una piccola rientranza: guardo dentro e trovo una decina di sgargianti re di triglia immobili; guardo meglio e fa capolino una cernia rosso mattone puntinata di celeste. Vado oltre e trovo uno scorfano rosso di almeno un chilo macchiato di bianco e mi sforzo di non immaginarmelo in una zuppa di pesce. Laddove il corallo lambisce la sabbia, un raro pesce coccodrillo in attesa di una preda. Alzo lo sguardo e vedo un’infinità di tordi e donzelle pavonine di tutti i colori. Oltre la barriera, un po’ defilata, un’orata che da naso a coda sarà stata quasi mezzo metro: mai vista una cosa simile!

Noi danziamo leggeri come foglie nel vento.

Controllo la pressione e sono ancora a 215 bar: come se non avessi nemmeno iniziato a respirare!

La barriera s’interrompe per riprendere dopo qualche metro, e nel mezzo la corrente sembra impazzita: ne approfittano decine di murene bianche puntinate di marrone per piantare la coda nella sabbia e stare a bocca aperta per ingoiare tutto ciò che passa il convento. Olga invece, sentendosi trascinare via, sbatte le lunghe pinne: benchè ricoperta di neoprene, è bellissima pure lei e sembra una sirena.

La barriera rispunta dalla sabbia in un punto pieno di pesciolini che mi ricordano i latterini (chissà se lo sono?), poi dei pesci soldato che roteano intorno ad un corallo composto da bocce bianche. Adagiato sul fondo pronto a scattare, un pesce scorpione, che non hai bisogno che te lo spieghi nessuno che devi starci lontano! Ovunque le indimenticabili pastinache con i loro corpi ovali che si stirano in una lunga coda a frusta, colorate di giallo sfumante verso il grigio ma imperlate di macchioline celeste e brillanti: se c’è una cosa di cui non mi è mai importato nulla nella vita, è delle cravatte, ma ce ne fosse una così, me la comprerei subito!

Guardo il manometro della mia bombola che segna 150 atm, 140 atm quello di Olga, perciò possiamo stare tranquilli.

Su una sporgenza, un nudibranco! I nudibranchi sono come le lumache senza guscio, ma di un altro pianeta perché dotati di antenne, vibrisse (o chissà come si chiamano!), escrescenze che sembrano ali e si portano addosso tutti i colori del mondo, dal bianco all’azzurro, dal rosso al giallo, e poi righe, puntini e rombi di tutti i colori.

Ci sono anche tante stelle marine, rosse, celesti e tante, tantissime giallo ocra. Alcuni sub scendono in acqua con una siringa piena di veleno, e quando ne adocchiano una di quelle gialle, le pungono per farle morire. E’ una storia un po’ triste. Avete presente quelle grosse conchiglie a spirale che dentro sono di un rosa pesca brillante che tutti i turisti comprano al bazar per portarle a casa a far polvere? Ebbene, si cibano di queste stelle marine gialle, e a forza di pescarle, non essendoci più altro predatore di stelle gialle, queste ultime hanno invaso il Mar Rosso. E allora? E allora che siccome queste stelle gialle si cibano di corallo, si stanno pappando l’intera barriera corallina, perciò l’unico modo per riequilibrare l’habitat è ammazzarle.

E fare i siringoni ai turisti? – domandai una volta io col mio classico problem solving? Ma non fui preso sul serio.

Ti fermi un attimo, chiudi gli occhi, tendi l’orecchio e senti il cra-cra del pesce pappagallo. Il pesce pappagallo è una bestia di mezzo metro, tutta colorata, che non smette mai di sgranocchiare coralli morti e conseguentemente di defecarli, e così nei millenni ha costruito le più belle spiagge dorate del mondo. Avete presente le famose spiagge coralline che vedete nei dépliants delle agenzie turistiche? Ecco, sono fatte con tonnellate della loro cacca.

Punto 7: infondere sicurezza (parte terza)

Improvvisamente l’afferro per un polso e la tiro su, lei mi fissa negli occhi e vedendo che con l’altra mano le indico le sue pinne, guarda in basso e di scatto tira su le gambe.

Le sue lunghe pinne stavano sbattendo sopra ad un cono di sabbia, e nel Mar Rosso non si fa, perché li costruiscono i pesci balestra per deporci le uova, e se si sentono in pericolo attaccano, e siccome hanno la bocca di un cane di piccola taglia ma i denti affilati come quelli di un piranha, è meglio evitare, soprattutto se sei lontano dalla barca.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Lei mi fa un cenno e proseguiamo trascinati dalla corrente incrociando una manta che si perde nel blu, una tridacnide (avete presente quelle conchiglie gigantesche che facevano da fonti battesimali nelle vecchie chiese? Ecco, quelle ma ancora viva con dentro un’enorme vongola blu cobalto), seppie, gamberetti, granchi, oloturie colorate, stelle marine filiformi, ricci colossali con aculei grossi come matite, meduse da cui stare alla larga, un raro pesce pietra appena distinguibile dalle alghe, in lontananza un branco di barracuda, una cernia gialla a macchie rosse con dentro puntini celesti…insomma, che potrei stare delle ore a raccontarvi le infinite forme che nel mare può prendere il pannello dei colori di excel!

Do un’occhiata ai manometri e ce n’è ancora per un po’, perciò continuiamo osservando le triglie rosa, bianche e gialle, le madrepore, le castagnole, un pesce balestra dalle morbide colorazioni celesti con righe gialle e nere, una sogliola mimetizzata sul fondale, i cavallucci marini, un pesce palla, un pesce istrice, una tartaruga di un metro che vediamo per un soffio perchè fugge via, gli spirografi di Spallanzani, gli sciarrani, un bellissimo esemplare di pesce napoleone, due pesci chirurgo, Dory che sta finendo il suo racconto da spedire al Forum, i pesci angelo, un’altra cernia colossale, un pesce pappagallo mascherato, tordi e donzelle pavonine a non finire, altri pesci pagliaccio, pesci farfalla bianchi, gialli e neri, e poi ricciole, carangidi, saraghi giganteschi, e ancora coralli di tutte le forme e colori, gorgonie, spugne….







Punto 8: adesso il latin lover vi fa vedere come si rimorchia per davvero!

La pressione nelle bombole è calata intorno alle 50 atm, perciò potremmo trattenerci ancora un po’, ma siccome siamo sott’acqua da più di un’ora e non vorrei che in superficie ci dessero per dispersi, iniziassero a cercarci e perdessimo l’appuntamento, propongo di risalire in superficie e Olga concorda.

Tiro fuori il palloncino d’avvistamento (arancione e alto due metri), lo gonfio e lo lascio risalire in superficie in modo che dalla barca ci avvistino. Intanto, piano piano, risaliamo anche noi fermandoci qualche minuto a tre metri: non è una vera decompressione (superflua in queste immersioni), ma si fa comunque per precauzione.

Arriva il momento e vado su per primo col pugno alzato (sempre per farmi vedere dalle barche).

Olga mi segue e affiora anche lei.

Gonfiamo bene i GAV per galleggiare meglio, ci togliamo le maschere e urliamo un wow! di gioia.

Ma la barca non c’è!

Ci guardiamo intorno e ne vediamo una in lontananza, a circa un chilometro.

Sono loro: speriamo che ci vedano – penso io – perché nuotare fino a lì controcorrente è dura – ma ad osservare bene, la barca è ferma all’ancora, non ci hanno visto e noi siamo in mezzo al mare a circa 3 chilometri dalla costa.

C’è poco da fare, perciò ci mettiamo pancia all’aria e iniziamo a pinneggiare. Vedo che vado più veloce di lei, che la sto staccando, perciò rallento. Continuiamo a pinneggiare lentamente quando all’improvviso Olga grida – Aaaahen carf! Asssh! Ein carf! –

Si agitava e sbatteva le braccia, ma le gambe sembravano come irrigidite e intanto continuava a urlare disperata – em cramf! Em cramf! – o qualcosa del genere che – complice il suo boccaglio e la mia ignoranza di tedesco - non capivo.

Escludendo una medusa (che avrei dovuto sentire io che ero senza muta, non lei che ce l’aveva), un pesce di scoglio (visto che eravamo in superficie) o un barracuda (non aveva nulla di brillante addosso che attirasse l’attenzione), guardai di sotto temendo uno squalo, ma per fortuna non c’era nulla. Intanto lei si tolse il boccaglio e stavolta in inglese, tra mille smorfie di dolore, mi urlò - a cramp, a cramp!! –

Quelle maledette pinne andavano benissimo per darsi brevi scatti ma non per pinneggiare a lungo, soprattutto controcorrente, perciò dopo un po’ le era partito un crampo alla gamba destra. Gliela presi, probabilmente facendole male e me la misi sulla mia spalla, e mentre con una mano la stringevo al mio collo, con l’altra, prima le raddrizzai il piede, poi iniziai a massaggiarle il polpaccio dall’alto al basso, andando ogni volta più su per trovare il punto dietro il ginocchio e ripartire da lì, a mano aperta, con le dita a rastrello per distenderle i nervi. Il problema fu che quel punto dietro al ginocchio, tra i guanti, la muta, i calzari, le sue pinne sulla mia faccia e lei che si dimenava come una pazza, non era mica facile da trovare, perciò quando mi ritrovai a palparla con tutto il braccio esteso, sentii un nodo alla gola.

  • Nooooo, che figura da italiano! – pensai io, quando all’improvviso lei piegò la gamba dipanando ogni mio dubbio e concedendomi la certezza che tra le mani avevo una giraffa e non una donna. Continuai così massaggiandole il polpaccio: lei era più tranquilla e sollevata; io invece, molto più tranquillo e molto più sollevato.
  • OK? – domandai dopo un po’tenendole una mano.
  • OK – rispose lei stringendomela e guardandomi negli occhi che sembrava una cerbiatta.
  • Wait – dissi io mentre le sbottonavo e le sfilavo sensualmente il GAV, lasciandola così nuda, con addosso solo la muta di neoprene. Presi il suo giubbotto, lo aprii, lo gonfiai al massimo e le feci segno di adagiarcisi sopra, dalla pancia in giù. Quando ebbe seguito il mio consiglio, mi spogliai pure io restando in pantaloncini e maglietta, apri il mio GAV, lo gonfiai e lei se lo mise sotto al petto facendo così una piccola scialuppa su cui galleggiare sicura. Acchiappai una fibbia del mio GAV e iniziai a nuotare rimorchiando Olga sulla sua zattera per più di un chilometro, in mare aperto e contro corrente, stramaledicendo quei tre cretini che ogni tanto avrebbero anche potuto dare un’occhiata col binocolo.
  • Arrivati a cento metri dalla barca, finalmente ci videro e tempo di issare l’ancora per venire a prenderci, eravamo arrivati noi da loro. Hans, il suo ragazzo, che non si era nemmeno fatto il bagno perché non sapeva nuotare, le diede la mano aiutandola a salire (che eroe!), poi presero i GAV e infine diedero una mano anche a me che ero letteralmente spompato, perché non avevo mai rimorchiato tanto una ragazza in vita mia!
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
IL CAMPIONE
(di AUSTRALE)​



Ore 14:53 - Amici sportivi oggi lo stadio è gremito di gente. C'è grande attesa per la partita che decreterà il vincitore del titolo nazionale. La giornata è asciutta e illuminata da un cielo sereno. Si affrontano la squadra del Deportivo che aspira al primo posto e i padroni di casa ormai tranquillamente adagiati a metà classifica. Le cronache delle ultime partite ci dicono che il maggiore ostacolo sulla strada del Deportivo è il Deportivo stesso. Le ultime cinque o sei gare hanno mostrato una squadra in calo costante di rendimento con una collezione di risultati deludenti che hanno assottigliato inesorabilmente il vantaggio sugli inseguitori.

L'incognita principale sta nella prestazione della fonte prima e unica del gioco del Deportivo: Henrique Pavon Firpo. Non c'è bisogno di ricordare qui la carriera esaltante di questo campione. Purtroppo per il Deportivo la sola punta di ruolo della formazione, dopo l'infortunio di Estevan Charro a metà stagione, sembra aver perso lo smalto in questo finale di campionato. Comunque, il campo ci darà il suo verdetto a breve. Da un momento all'altro è atteso l'ingresso delle squadre sul terreno di gioco.

Henrique Pavon Firpo era seduto nel suo angolo di spogliatoio e guardava fisso davanti a sé, le spalle leggermente incurvate e le mani poggiate sulle ginocchia. Era la sua posa tipica per cercare la concentrazione. Ma non c'era calma nella sua testa. Da molte settimane ormai i suoi pensieri erano in tumulto e ben poco rivolti al campo.

"Siamo arrivati alla partita finale."

"Ecco a voi il grande campione. Che ha ingannato i tifosi e i compagni per far perdere il campionato alla squadra."

"Così come ho tradito la mia famiglia. E per chi? Per Gabriela! Come ho potuto essere così folle?"

"Ho perso la testa come mai nella mia vita. Per lei avrei dato tutto. Un maledetto imbroglio e adesso mi ricattano."

"Come ho fatto a ridurmi così?"

Ore 15:47 - Il direttore di gara fischia la fine del primo tempo e le squadre rientrano nello spogliatoio sul risultato di zero a zero. Che dire amici sportivi in ascolto: si conferma la cattiva stella del Deportivo e in particolare di Henrique Pavon Firpo. Senza l'estro del suo capitano la squadra ha riproposto la condotta incolore delle ultime partite. Non possiamo che prendere a prestito il titolo del romanzo di un nostro collega giornalista per descrivere la prestazione del campione del Deportivo: "Triste, solitario y final".

Le notizie che arrivano dagli altri campi confermano che per il Deportivo oggi c'è un solo risultato utile: la vittoria. In attesa del rientro in campo delle squadre, la società Nazionale di Esportazione Mendoza y Scott vi offre l'ultimo successo musicale della stagione...

Henrique Pavon Firpo seduto nel suo angolo di spogliatoio si sentiva oppresso da tre sguardi.

Quello della sua coscienza che sopportava sempre meno.

Quello del giovanissimo Ramiro Cortez, aspirante punta del Deportivo. Piedi buoni, grande velocità e potenziale. Guardava Henrique con occhi spalancati colmi di ammirazione e inconsapevolezza. "Non vede l'ora di entrare. Sembra una molla compressa pronta a scattare."

E infine lo sguardo dell'allenatore Mariotto Petrelli: ammiratore incondizionato più che allenatore. Dopo una carriera altalenante aveva vinto un biglietto della lotteria che gli regalava la panchina del Deportivo capitanata da Pavon Firpo.

Non aveva battuto ciglio nell'assecondare in quel finale di campionato il modulo con una sola punta proposto dal capitano.

"Si Mariotto, Cortez è bravo ma non lo vedo ancora pronto. Aspettiamo. L'attacco lo reggo io per adesso". Lo sguardo disorientato e impotente di Mariotto Petrelli sembrava quello di una Madonna addolorata e passava continuamente dall'orologio al campione.

Henrique Pavon Firpo intanto pensava "Non ce la faccio più, impazzisco! Come ho fatto? Se solo avessi una idea per uscire da questa tragedia. Vorrei sbattere la testa al muro!".

Nel susseguirsi di pensieri e immagini che gli affollavano il cervello ecco apparire all'improvviso alcuni ricordi che venivano dal passato. Dalla sua infanzia.

Era cresciuto fino a dodici anni nel sobborgo di Calavera, distante pochi chilometri dalla capitale. Era un brutto posto e negli anni seguenti, solo se interrogato, Henrique diceva con poche parole scarne di essere cresciuto a San Mauricio. Sobborgo quasi attaccato alla Calavera ma decisamente più tranquillo e con una immagine di sobria povertà.

I due posti erano vicinissimi ma la differenza era profonda. Calavera era troppo sporco e malfamato rispetto a San Mauricio. Poiché l'epopea del ragazzo povero divenuto campione esigeva una sua estetica, Henrique aveva cercato di allontanare quel ricordo poco presentabile.

Un gruppo di bulletti nel quartiere di Calavera, molti anni prima, stava malmenando un ragazzino e aveva preso a sbattergli letteralmente la testa contro un muro. Henrique e un paio di amici erano intervenuti e avevano scacciato a pedate i bulletti.

Il ragazzino era poco più piccolo di Henrique e dei suoi amici e si chiamava Pepe Juairre detto "el indio". In realtà a Calavera tanti avevano discendenze indie più o meno lontane. Pepe era il ritratto classico del genere. Piccolo e massiccio, occhi di taglio quasi orientale e capelli neri come la pece. Si distingueva per avere sostanzialmente una sola espressione facciale. Seria e accigliata, sembrava quasi scolpita. Caparbiamente taciturno e all'apparenza ombroso. Per i due anni successivi, fino a che la famiglia di Pepe non si trasferì in una città lontana, il ragazzo non si staccò più da Henrique. Già a quel tempo Henrique iniziava a distinguersi per le sue capacità calcistiche e il grande carisma. Pepe entrando nel gruppo di amici di Henrique era riuscito almeno in parte ad aumentare il suo prestigio agli occhi di molti. Perlomeno non aveva più avuto problemi con i bulli. Henrique gli aveva dato un nuovo soprannome: "il faro". Non era vero che Pepe era privo di espressione. Come un faro che illumina la notte lampeggiando nell'oscurità così Pepe ogni tanto animava la sua maschera con rapide ma eloquentissime espressioni. Aveva un bellissimo sorriso aperto e gentile. Solo che lo offriva al mondo a piccole dosi. Come un faro: un breve bagliore più o meno cadenzato. E poi c’erano Juan, Tonio, Estrella e tanti altri di cui Henrique faticava a ricordare il volto.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Dopo qualche tempo, la famiglia di Henrique si allontanò da Calavera per andare a San Mauricio. Era stato un piccolo passo sui gradini della scala sociale che però offriva al ragazzo l'opportunità di fare salti da gigante nella carriera calcistica. Dal campo di calcio del San Mauricio Fútbol Club alle squadre della capitale la sua fu una carriera in ascesa rapida, clamorosa e piena di successi.

Henrique seppe anni dopo che anche Pepe aveva intrapreso la carriera calcistica. Si era affermato con esiti ben più modesti in seconda divisione, nel ruolo del difensore roccioso e implacabile. Poca tecnica ma tanta tenacia. Due anni prima della partita era finalmente approdato in prima divisione. Ogni tanto Pepe mandava una cartolina di saluti a Henrique che a volte rispondeva e a volte no. In realtà Henrique avrebbe voluto cancellare quei ricordi ma non ne era capace. Sentiva che facendolo avrebbe perso qualcosa di sé.

Quel giorno Pepe Juairre giocava nella squadra di casa. All'andata era infortunato ed Henrique non lo aveva incontrato sul campo. Qualche giorno prima, per una volta, era stato proprio Henrique a mandargli un biglietto di saluto. Senza un vero motivo in realtà. Una delle ultime cose decenti che aveva fatto. Pochi mesi prima aveva già incontrato Gabriela.

In quel momento Calavera e San Mauricio gli apparivano come ricordi di un'altra persona, vecchi di secoli: pensava "a cosa mi serve Calavera adesso?".

Ore 16:03 - Amici sportivi le squadre rientrano in campo. Ancora 45 minuti e avremo il verdetto del campo sulla squadra vincitrice del campionato. Non vediamo Henrique Pavon Firpo, in genere è sempre tra i primi ad entrare... ah eccolo ... in coda agli ultimi giocatori, seguito a breve distanza da un altro ritardatario della squadra avversaria. Adesso tutti i giocatori hanno guadagnato la loro posizione. Il direttore di gara consulta il cronometro e fischia.

Ore 16:50 - È finita! Che partita! Incredibile quello che abbiamo visto in questo secondo tempo. I giocatori del Deportivo sono radunati in mezzo al campo e festeggiano tra le ovazioni del pubblico!

Riepiloghiamo per chi si fosse messo all'ascolto solo in questo momento. Dopo un avvio che vedeva riproporsi Henrique Pavon Firpo in una serie di azioni inconcludenti, al ventesimo del secondo tempo il campione si è lanciato in una galoppata sulla fascia destra, saltando con grande maestria un avversario, salvo poi andare incontro al successivo giocatore avversario con un malaccorto cambio di passo.

Un rallentamento che il difensore Pepe Juairre non ha perdonato falciando malamente l'attaccante avversario.

Bruttissimo fallo che ha aperto la porta degli spogliatoi per i due giocatori. Il primo allontanato in seguito alla inevitabile espulsione, il secondo per sistemare in infermeria una caviglia evidentemente fuori posto.

Nel tragitto i portantini hanno fiancheggiato la panchina del Deportivo dove il capitano ha avuto un breve scambio con il visibilmente provato Mariotto Petrelli.

L'allenatore del Deportivo ha quindi mandato in campo il giovanissimo e semisconosciuto Ramiro Cortez. Nei successivi minuti di gioco fino al fischio finale il giovane sostituto di Pavon Firpo si è manifestato come una forza inarrestabile e ubiqua. Cortez ha spadroneggiato nella metà campo avversaria rubando diversi palloni e scardinando più volte la difesa avversaria.

Cinque tiri in porta in poco più di 25 minuti coronati da due magnifici gol e un palo. Il Deportivo è campione!

Henrique Pavon Firpo stava disteso sul lettino dell'infermeria da solo, lo sguardo rivolto al soffitto. Aveva allontanato tutti dopo che il dottore gli aveva bloccato la caviglia. Il dolore si stava lentamente affievolendo. La dose di antidolorifico iniziava a fare effetto e sentiva di avere la testa libera, leggera, dopo molti mesi. Ma non era merito solo del farmaco.

"Quei delinquenti non saranno molto contenti del risultato. Non è andata come si aspettavano. Io comunque ho fatto quanto possibile per far perdere la squadra e quest'ultima partita era quanto gli dovevo".

Non sapeva cosa gli avrebbe riservato il giorno seguente ma sentiva che si era liberato e che forse avrebbe avuto la forza di affrontare i suoi problemi.

Poi sentì qualcuno aprire la porta dell'infermeria e voltandosi vide il viso di Pepe Juairre che gli offriva uno dei suoi sorrisi sorprendenti.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
È EVIDENTE!
(di BACK MIRROR)​



Somigliava proprio a una donna con un cappello, quella nuvola. Non c’era dubbio. Si poteva individuare con chiarezza il collo slanciato e sottile, la curva delicata della mandibola, leggermente di profilo; il voluminoso cappello a tesa larga, poi, era piuttosto evidente. La fotografai per la mia collezione, ne avevo a decine: la nuvola-balena, la nuvola-forchetta, la nuvola-tazzina da caffè, eccetera. Un passatempo sciocco, me ne rendo conto, ma rilassante. Durante un periodo difficile della mia vita, avevo preso l’abitudine di fare lunghe passeggiate nel bosco. Mi piaceva passare quel tempo impegnato solo a mettere un piede davanti all’altro, ascoltando il silenzio intervallato da tanti piccoli fruscii, scricchiolii e cinguettii, che mi distraevano dai pensieri cupi. Un giorno, seguendo un nuovo sentiero, giunsi in una piccola radura. La fitta volta di fogliame sopra la mia testa lasciò il posto a un azzurro piatto, perfettamente uniforme, punteggiato qua e là di nuvolette bianche, tra cui spiccava qualcosa di molto singolare che non avevo mai visto prima, una nuvola con l’aspetto di una pila di pancake. Rimasi a contemplarla per non so quanto tempo: una serie di strati di forma lenticolare, di un bianco compatto, soffice, talmente somiglianti a dei pancake che mi sembrava di percepirne la consistenza tra i denti. Mi ha fatto sentire… nuovo, non saprei come altro spiegarlo, come se avessi potuto lasciare in quella radura quello che ero stato fino ad allora, e far rientrare sul sentiero di ritorno un altro me, uno con una visione delle cose del tutto rinnovata. Non esattamente più positivo, senz’altro più fiducioso.

La prima nuvola, la prima foto, la prima speranza che quel vento funesto che mi aveva tormentato per mesi, stesse cedendo il passo a una leggera brezza.

Per un po’ me ne dimenticai, della donna con il cappello. Feci altre foto di nuvole, e quella finì tra le tante. La mia vita scorreva monotona. Benvenuti giorni tutti uguali! Mi annoiavo, e ne ero grato. L’anno precedente, avevo fatto incetta di guai e imprevisti di ogni genere, a cui mi sforzo di non pensare, perché mi provoca un dolore di stomaco insopportabile. Per non parlare di quello che era successo nel mondo: epidemie e guerre, e quell’ex-presidente (dal colore di capelli piuttosto discutibile), che annuncia di ricandidarsi: ce n’era da rimanerci secchi. Ero angosciato, depresso. Non che le cose fossero migliorate granché dopo, solo, si erano depositate in strati le une sulle altre, ero entrato in una sorta di routine.

“Stanno un’altra volta in piazza a protestare, ‘sti comunisti!”

Ero a pranzo dai miei; mio padre attribuiva ai “comunisti” qualsiasi cosa disapprovasse. Mentre mangiavamo, tra un boccone e l’altro, pronunciava quella parola, “comunisti”, almeno cinque, sei, volte. La lista delle cose che disapprovava era lunga. Da tempo, ormai, avevo rinunciato a discutere, prendevo il telefono e mi mettevo a guardare qualsiasi cosa su internet.

“Chiama tua zia.” Mi diceva mia madre, che voleva sempre che chiamassi qualcuno: ogni settimana una persona diversa, la scorsa era il marito di una sua amica che era stato operato all’anca. “Chiamala ogni tanto, no?”. “Sì, sì, la chiamo, la chiamo”. So già come andrà la telefonata: le chiederò come sta, lei mi farà l’elenco dei suoi malanni e poi mi chiederà di Giulia, io le dirò che è partita, e mi risponderà perché non mi sono scelto una ‘sposa’ con un altro mestiere, o meglio, senza.

“Guarda questa, che ti sembra?”. Scorrendo cose a caso sul telefono, ero incappato nella foto della nuvola che sembrava una donna col cappello. La mostrai a mia madre, che la osservò attentamente. “Allora? Che ti sembra?”. Ci stava mettendo troppo tempo, era così evidente, così chiaro, possibile che non l’avesse ancora capito? “Boh, non lo so, che mi sembra? Un pesce?”. Ero sbalordito. “Un pesce? Ma dove ce lo vedi un pesce? Guarda bene”. “Ah, forse un dinosauro?”. Un dinosauro! Un dinosauro! Ma come poteva vederci un dinosauro? Le girai il telefono davanti agli occhi, le dissi di guardare meglio, in punti specifici, tracciando il contorno del cappello con il dito, e poi il collo, il profilo del viso: “Boh, non lo so”. Ero al culmine dell’esasperazione. “E’ una donna con un cappello! Guarda, questo è il cappello, e questo è il contorno del viso, è così evidente!”. Mia madre osservava la foto, perplessa, scuotendo appena la testa. Stizzito, mi arresi e posai il telefono. Per un attimo, pensai di provare con mio padre, ma, al momento, era concentrato sul telegiornale e anche lui scuoteva la testa, le rughe sulla fronte profonde come trincee.

Non potevo capacitarmi che mia madre non avesse riconosciuto subito la forma di quella nuvola. Il pensiero continuò a vorticarmi nella testa per tutta la sera, quando tornai a casa. Giulia era in viaggio. Convivevamo da un anno e mezzo, un traguardo che avevamo faticato non poco a raggiungere, ma non era cambiato molto rispetto a quando vivevo da solo: io cucinavo, io facevo la lavatrice, io pulivo, da perfetto casalingo, mentre lei se ne andava in giro per il mondo. Avrei dovuto pensarci meglio, prima di innamorarmi di una corrispondente estera. Il telegiornale di sottofondo blaterava della prossima manovra finanziaria, ma io ero tra le nuvole, letteralmente. Di tanto in tanto, afferravo il telefono e lo scorrevo per rivedere quella foto. Ormai ne ero ossessionato, nonostante sapessi perfettamente che per me non c’erano speranze: avrei continuato a vederci la donna col cappello e nient’altro. Ebbi un sonno tormentato; sognai di cieli sereni che, a un tratto, si ricoprivano di nuvole, e le nuvole diventavano cose, cose che ingrigivano, si annerivano, poi si animavano e iniziavano a inseguirmi mormorando frasi sconnesse, in cui, a tratti, distinguevo solo “chiamaaa, chiamaaa”.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
“Chicchirichiiiii”.

Eccolo. Il gallo che mi sveglia ogni mattina alle 6:45 in punto. Grazie, gallo, giusto in tempo prima che quella nuvola-orsacchiotto mi inglobasse tra le sue “soffici” e mefitiche fauci. Mai fidarsi delle apparenze. Mentre tentavo invano di recuperare una pantofola sotto al letto, mi sembrava di percepire ancora quei miasmi (o forse erano i miei calzini sporchi, chissà…). Mi alzai ripromettendomi che avrei chiuso subito la faccenda, non aveva senso continuare a pensare a quella nuvola: file archiviato (fui tentato di cancellarlo, ma non ebbi il coraggio di premere il tasto apposito sul telefono, mi limitai a spostarlo in una cartella non in evidenza). Mi lavai e mi vestii canticchiando, feci colazione, mi preparai un tramezzino per la pausa pranzo. Quando uscii dal mio appartamento premetti il pulsante dell’ascensore, ma poi decisi che fosse meglio scendere a piedi e trotterellai baldanzoso giù per gli scalini. Mi misi in macchina, ma, ahimè, appena uscito dal garage, bastò un’occhiata di sfuggita verso l’alto per ricominciare a pensare alla donna col cappello.

Decisi che, se volevo liberarmi, c’era un solo modo: dovevo trovare qualcuno che la riconoscesse. In ufficio, chiesi a chiunque mi capitasse a tiro; riassumo le risposte per categorie: gatto, cane, topo, rinoceronte e qualche altro animale della giungla, dinosauro (chissà perché, non manca mai); caffettiera, pentolame vario; t-shirt di traverso, guanti, borsa, altro vestiario (ma niente cappello); incudine, martello pneumatico, pistola, svariati altri oggetti che fatico a ricordare. Era così evidente, dannazione!, com’era possibile che nessuno la vedesse? Continuai così per qualche giorno: notti a sognare nuvole nere che mi inseguivano e sussurravano, giornate a chiedere che forma avesse quella nuvola. Ben presto esaurii le persone a cui chiedere; più volte pensai di fermare sconosciuti per strada, ma non ne ebbi il coraggio. Il quinto giorno, ero esausto. Mi svegliai, stremato, con gli occhi gonfi e neri.

“Sei stato coinvolto in una rissa?”. Quando uscii dal bagno, in cucina c’era Giulia.

“Ehi, perché non mi hai detto che saresti tornata prima?”

“Volevo farti una sorpresa, no? È evidente!”

“Oh, no, ti prego, non usare mai più quella parola in mia presenza”. Mi tappai le orecchie con le mani, frustrato.

“Quale parola? Sorpresa?”

“No. ‘Evidente’, la parola: evidente”.

Giulia mi guardò perplessa, forse valutando se chiamare un’ambulanza, o la polizia; non l’avrei biasimata. Mi buttai su una sedia di peso, tenendomi la testa tra le mani. Giulia si avvicinò, mi accarezzò i capelli e mi diede un bacio sulla testa. Un raggio di sole, tra le tenebre. Scattai in piedi e andai a prendere il telefono. Tesi la mano e le mostrai la foto: “Cosa ci vedi in questa nuvola?”.

Rispose immediatamente: “Sembra un volto, una donna”.

Sia ringraziato il cielo! Anzi, no, il cielo proprio no, facciamo la terra.

“E poi?” incalzai.

“E poi cosa?”

“Non vedi nient’altro?”

“Che cosa dovrei vedere?”

“Qualcos’altro… intorno”

“Il cielo”

“Eh, beh, grazie. No, dicevo, intorno al volto; sopra, per essere precisi”.

Fissò ancora la foto, assorta: “Non saprei”.

“Un cappello, cazzo! C’è un cazzo di cappello!”, sbottai.

Scoppiò a ridere: “Ma dove lo vedi il cappello?”.

Non potevo crederci, era la cosa più evidente, il cappello! Com’era possibile che nessuno lo vedesse? Forse, c’era una spiegazione molto semplice a tutto ciò… forse, aveva ragione mio padre: i “comunisti”.

[Due settimane dopo]

“Pronto?”

“Ciao zia, sono Paolo”

“Lo so chi sei, mi compare la scritta ‘quellochenonchiamamai’ sullo schermo”

“Eh, scusa zia, sai, il lavoro…”

“Il lavoro, il lavoro, sempre la solita scusa. Come sta la sposa?”.

Eccoci al dunque, almeno non mi ha chiesto dov’è.

“Bene, grazie, zia. Tu come stai?”

“Bene, bene, tutto bene, un po’ di sciatica. L’altro ieri avevo mal di stomaco, tua madre mi ha portato un bel vassoio di paste…”

“Paste? Per… il mal di stomaco?”

“Ma certo che no, sono vecchia, mica scema. Era per dopo, per quando mi passava. Comunque… sai, l’alluce del piede sinistro mi fa proprio vedere le stelle, certe volte. Adesso che ci penso, dovrei andare a farmi controllare anche quel…”.

“Senti zia, ma tu lo sai usare WhatsApp?”

“Certo che lo so usare, sono vecchia, mica rimbambita!”

“Ti mando una foto, dimmi che ci vedi”

Inviai la foto, dopo alcuni secondi comparvero le due spunte blu.

“Allora? Che ci vedi?”

“Oh, che bella foto! E che ci vedo, eh, una donna con un cappello: è evidente!”.

Da quel momento in poi, mi ripromisi di chiamarla più spesso.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
DALL’ALTRA PARTE
(di CALEIDOSCOPIO ESPRESSIVO)



“E’ tutto rosa, solo rosa. Non è una cosa normale.”

Il Signor Morris, Philiph o Phil ormai per me, era sdraiato sulla poltrona e fissava il grigio soffitto del mio grigio studio al primo piano con sguardo ipnotizzato.

“Non c’è niente che le interessi ormai al di fuori di quel rosa invadente in ogni cosa. Non chiedo molto, un po' di attenzioni, qualche domanda sulla mia giornata…”

…e sul nostro futuro…un figlio…

“…sembra come si sia rotto qualcosa fra di noi, spero tu possa capirmi.”

Alzo lo sguardo dal taccuino su cui sto scarabocchiando vortici con fare serio e lo chiudo con lentezza, ragiono sulle cose dette e solo pensate.

“Philiph, credo che l’isolamento di Karen sia dovuto a qualche insistenza su temi importanti che avete avuto in passato. Affrontate apertamente il problema prima che questo rovini quello che di buono avete costruito insieme.”

“Non abbiamo grandi problemi, solo sai com’è, il lavoro, i soldi…”

…il figlio di cui non vuole discutere…

“Sai benissimo qual è il vostro problema Phil, parlatene con calma e poi se avrai bisogno potrai tornare a rilassarti con il mio soffitto.”

…non vorrà parlarne come al solito…troverà mille scuse sui nuovi ninnoli rosa comprati…

“Trova il modo per parlarle e tutto andrà bene.”

“Grazie Tom, ci proverò. Ci sarai domani per la serata poker?”

“Ci penso sopra e vi faccio sapere.”

“Non fare l’eremita, esci da casa. A domani.”

Si alza e mi stringe la mano fissandomi negli occhi sorridendo al solito modo in cui mi sorridono tutti da tre anni.

…spero di non doverlo venire a prendere a forza dalla sua poltrona…

Lo guardo uscire e mi siedo dietro la scrivania ingombra di carte e foto. Cerco di concentrarmi sul mio lavoro, ma il brusio che ho in testa si riversa con crescente violenza e quasi mi impedisce di leggere i documenti nelle cartelle. Lo sguardo viaggia in circolo dalla scrivania fino al soffitto grigio, devo decidermi a riverniciare tutto troppo deprimente, per tornare sul tavolo dove incrocio una sua foto con me. Che sguardo che avevamo in quel momento, innamorati e concentrati su un futuro insieme tutto da progettare. Il mio forse un po' annebbiato dall’eccesso di alcolici di quella sera. Dove eravamo, forse ad un matrimonio non ricordo. Devo decidermi a togliere tutto dalla scrivania, invito sempre gli Altri a ricominciare e sono il primo a non farlo. Per stasera basta. Raccolgo le mie cose, spengo le luci ed esco chiudendo la pesante porta quasi rotta. Devo sistemare anche questo ma lo farò domani. Man mano che scendo le scale il brusio aumenta e davanti al portone mi fermo, faccio un profondo respiro sperando di non rimanere assordato. Apro il portone ed il brusio diventa improvvisamente una calca di voci che si sovrastano con crescente veemenza. Piove in maniera fastidiosa, apro l’ombrello e mi incammino di fretta verso casa con la testa bassa ed incalcata nelle spalle sperando che tutto duri poco.

…non me l’aspettavo da lei…non ci si comporta così…

…chissà che avrà preparato per stasera, sempre se si ricorda il nostro anniversario…

…certi giorni lo vorrei vedere morto quello…

…come glielo dico che mi hanno licenziata…


Pensieri continui degli Altri mi invadono la testa, senza soluzione di continuità. Non riesco a scacciarli come mi aveva insegnato lei, forse gli unici al mondo ad avere questa capacità e nella moltitudine ci eravamo incontrati senza bisogno di parlare. E’ sempre stata più brava di me in tutto.

…che belle quelle scarpe…costano troppo però…forse però se convinco il negoziante…

…what a wonderful world ma dove…

…sono in ritardo come al solito…stavolta mi molla…


Aumento l’andatura, non voglio rimanere un minuto di più per strada. Neanche guardo se metto i piedi in qualche pozzanghera. Svolto l’angolo sperando che il vicolo non sia affollato per avere un po' di tregua quando tra il mucchio di pensieri me ne appare uno chiarissimo.

…non voglio tornare a casa…mi picchierà…non voglio tornare a casa…

Una voce giovane, che non dovrebbe essere li preoccupata per questo. Mi volto e cerco tra la gente, solo le solite facce che nascondono pensieri sciocchi o malsani. Continuo a scrutare i volti.

…che ha questo da fissare…

…il solito drogato…


La vedo. Una ragazza. Avrà al massimo diciotto anni. Si guarda spaesata intorno. Tutti la scansano nella quotidiana e frettolosa indifferenza del non ho tempo. E’ senza ombrello ed è completamente inzuppata dalla pioggia, ma continua a camminare lentamente. Continuo ad osservarla e mi decido ad andarle incontro. Scanso un tizio che le si era parato davanti.

…è un po' piccola ma pazienza…

“Togliti! Ehi ciao tutto bene?”

…no non va bene nulla…

“Si signore, mi scusi ma devo andare.”

“Aspetta, perdonami se sembro inopportuno, ma ti ho vista in questo stato e volevo aiutarti.”

…un maniaco…guarda a cosa bisogna assistere per strada…

…povera bambina…speriamo non sia uno di quelli…uhm che offerte questa vetrina…


Mi premo la mano contro la fronte cercando di concentrarmi solo su di lei.

“Scusami, non ho intenzioni strane te lo assicuro, vorrei solo parlare con te. Posso offrirti qualcosa di caldo così ci togliamo dalla pioggia?”

Mi guarda ancora, indecisa tra fuggire o accettare quella improvvisa attenzione da uno sconosciuto.

“Va bene.”

Le passo il mio ombrello per coprirsi e andiamo alla vicina caffetteria. Tengo aperta la porta scrollandomi di dosso la pioggia che è aumentata d’intensità. Tutto normale in una serata primaverile da queste parti.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Ci sediamo ad un tavolo dove c’è più gente per cercare di tranquillizzarla e lascio un posto vuoto fra noi per lasciarle il proprio spazio. Ordiniamo due the.

“Grazie signore.”

“Di nulla. Come ti chiami?”

“Sophie.”

“Piacere Sophie, io sono Thomas. Scusami ancora ma ho visto il tuo sguardo perso nel nulla e mi sono preoccupato…”

…ho paura…

“Non devi aver paura di me, sono uno psicologo…”

…se mi vede qui con un estraneo…mi picchierà di più…

“Di chi hai paura Sophie?”

All’improvviso scoppia a piangere, attirando l’attenzione di chi ci circonda.

“E’ stata solo una brutta giornata, signore.”

“Non voglio insistere, se vuoi parlare ti ascolto. Deformazione professionale.”

“Non la conosco.”

“Sono Thomas, puoi chiamarmi Tom se vuoi.”

…mi posso fidare di questo tizio?...

“Segreto professionale.”

Sembra sciogliersi un po', arrivano i nostri the. Mentre beve piano mi osserva ed inizia a parlare. Mi racconta brevemente della scuola, della sua famiglia, di suo padre e del suo ragazzo che l’ha appena lasciata. Cose normali per un adolescente, ma è quello che non dice che mi colpisce allo stomaco.

…papà beve e non vuole che abbia una vita fuori di casa…se ci fosse la mamma si fermerebbe…sono sicura che l’ha uccisa lui e non l’incidente…Rick non ne vuole più sapere di me…specie dopo che ha saputo che potrei essere incinta…

La guardo parlare e ascolto i suoi pensieri senza interromperla, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi che sembrano privi dello spirito che dovrebbe avvampare in una ragazza di questa età. Finisce di parlare quando ha svuotato la tazza davanti a lei e rimane in silenzio fissando il tavolo logoro di scritte fatte con i coltellini. Non ho bevuto un goccio del mio.

“Sophie, mi auguro che tu abbia qualcuno con cui sfogarti, un parente, un’amica. Ma se volessi di nuovo parlare con me o avessi bisogno di aiuto per qualsiasi cosa questo è il mio biglietto da visita. Non farti problemi a chiamarmi.”

Prende il bigliettino, lo guarda con attenzione per qualche istante e lo mette in tasca alzandosi.

“Grazie sig..Tom. Per avermi ascoltato e per il the. Ora devo correre a casa a preparare la cena per mio padre.”

“Certo. Prendi pure l’ombrello. Ormai fuori c’è una tempesta.”

“Grazie ancora.”

La guardo andare via e correre sotto la pioggia dalla vetrina. Spero di avere sue notizie il prima possibile. Esco anch’io e vado a casa. Appena entrato Richard III mi accoglie con fusa e mi fissa famelico. Non ho bisogno di leggere il suo pensiero per capire che ho dimenticato nuovamente di mettere i croccantini nella ciotola. Dopo aver riempito la sua ciotola, mi butto sul divano a fissare la televisione spenta ascoltando il brusio nella testa che si è fatto più lontano ma comunque persistente. Le foto mi perseguitano anche li, faccio in tempo a prenderne in mano una e crollo nel sonno.

La mattina dopo mi sveglio con la luce del giorno che mi ferisce gli occhi, ricordandomi di dover sistemare le tende. Lo farò domani. Faccio una doccia e mentre mi preparo un caffè guardo sul telefono e trovo una chiamata di un numero che non conosco. Mentre esco da casa richiamo e dopo tre squilli mi risponde una voce giovane che riconosco subito.

“Pronto Thomas…Tom sono Sophie. Scusa se ti ho disturbato.”

“Ciao Sophie, dimmi pure.”

“Posso venire per parlare.”

“Certamente. Oggi sono libero mi trovi quando vuoi.”

“Grazie.”

Attacca di corsa. Telefonicamente non posso ascoltare nulla, ma la voce sembrava preoccupata. Entro nello studio fissandomi immediatamente sulla scrivania, decido di iniziare a togliere qualcosa. Subito non domani. Perdo la cognizione del tempo e mentre sto sistemando i faldoni al proprio posto ed impilando le cartelle suona il campanello.

“Si?”

“Sophie.”

“Sono al primo piano.”

La accolgo sorpreso di quanto poco ci abbia messo e da quello che sembra un livido sul collo. Cerco di non fissarmi su quello che vedo ed iniziamo a parlare.

…devo sbrigarmi…

“Siediti dove vuoi, sedia, poltrona, dove preferisci, possiamo anche rimanere in piedi.”

Si accomoda sulla poltrona a fissare il soffitto grigio.

“Si lo so, è deprimente, devo dipingerlo, che colore ti piacerebbe?”

Ed inizia a parlare senza freni fissando in alto.

…così è più facile parlare…

Dopo circa un quarto d’ora di parole, pensieri e mio assoluto silenzio si alza e mi guarda.

“Che stupida di ho pensato solo adesso. Scusami ma non ho i soldi per pagare.”

“Non ti preoccupare. Vuoi continuare o preferisci passare un’altra volta?”

…devo sbrigarmi…

“Quando vorresti tornare?”

“Domani pomeriggio dopo la scuola?”

“Va bene, sarò qui.”

Mi ringrazia e se ne va. Comincia così un quarto d’ora a volta a confidarsi per tre giorni, le cose importanti però le lascia nella testa ed io cerco di indirizzarle pensieri positivi sperando che la aiutino ad affrontare quello che la aspetta li fuori. Questi incontri aiutano anche me a concentrarmi e ridurre il persistente brusio degli Altri. Nell’ultimo incontro era più agitata ed era truccata per cercare di coprire qualche segno, lei non ci pensava ed io non ho chiesto. L’ho invitata invece a parlarmi di un bel ricordo.

“Le mattine che passavo con mamma al St. James Park. Gli alberi. Il lago. Credo che se esistesse un paradiso dovrebbe essere quello. E’ da tanto che non ci vado, da quando…lui me l’ha portata via… la mamma non c’è più.”

Nella mia mente si crea limpida l’immagine di lei più piccola, con una donna al suo fianco con un cappotto verde e lunghi capelli color rame che le parla gentilmente e la aiuta a rialzarsi dopo che è caduta sbucciandosi le ginocchia. Deve essere sua madre e si vede quanto fossero legate tra loro.

Finisce così di parlare e l’immagine svanisce, si alza, apparentemente più tranquilla.

“Posso tornare domani?”

“Mi casa es tu casa.”

“Gracias!”

Sorride e se ne va. Non so cosa fare, se avvisare la polizia di quanto sto vedendo per aiutarla ma come potrei giustificare tutto questo. E se non mi credesse nessuno e lo venisse a sapere il padre non so cosa potrebbe succedere. Concludo gli altri appuntamenti del giorno e torno a casa, quasi gli Altri non mi fanno più timore mentre cammino sotto l’immancabile pioggia. La serata a casa con Richard III scorre alla solita maniera, televisione spenta, ricordi e tracollo sul divano. La mattina dopo rimango nello studio a lungo con Philiph e la sua solita paura nel parlare con la moglie, sorbendomi anche la sua ramanzina per non essermi presentato alla serata poker ed averli lasciati in tre. Pranzo al solito pub e aspetto che arrivi Sophie, ma non si presenta. Evidentemente si sarà dimenticata o avrà risolto con Rick. Passano due ore ed arriva la Signora Dickinson e le voci che la portano ad avvelenare le piante della vicina quando è solo lei stessa ad odiarla e nascondersi dietro presenze inesistenti. Mentre sto ascoltando gli improperi per le zollette di zucchero che non sono più come una volta squilla il mio cellulare.

“Scusi Signora Dickinson. Pronto?”

“Dottor Thomas Byrne?”

“Si sono io.”

“Mi scusi se la disturbo, chiamo dal pronto soccorso dell’ospedale St. Mary. Volevo avvisarla una sua paziente, la Signorina Sophie Harris, è stata portata d’urgenza al nostro ospedale in condizioni critiche ed ha chiesto di lei.”
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Rimango in silenzio per qualche secondo cercando di non farmi prendere dal panico. “Arrivo subito.”

Mi scuso con la Dickinson, la accompagno fuori e la supero sulle scale uscendo di corsa in strada. Prendo la Central e la Elizabeth Line e in venti minuti sono li. Entro come un forsennato chiedendo alla prima infermiera che mi capita a tiro.

“E’ ricoverata qui Sophie Harris? Sono Byrne mi è stato detto di venire qui.”

“Si prego mi segua. E’ terribile quanto è successo a quella povera ragazza.”

In preda alla paura seguo l’infermiera che sembra camminare lentissima attraverso il vermiglio corridoio fino ad una stanza dove ci sono dottori e poliziotti. L’infermiera mi presenta agli astanti e subito mi si fa sotto un poliziotto.

“Qual è il suo rapporto con la vittima?”

“Vittima ma… che cosa è successo? Sono uno psicologo che segue Sophie… volete dirmi che è successo?”

“La ragazza è stata picchiata dal padre in seguito ad una lite, fortunatamente sono intervenuti dei vicini di casa per evitare il peggio. Ora il padre è in stato d’arresto.”

Guardo il vuoto tra la testa del poliziotto e la parete dietro di lui. Tornano ad affollarsi i pensieri degli Altri nella mia testa.

…sapeva tutto…

…sarà davvero solo lo psicologo…è troppo sconvolto…

…sapeva tutto…

…non ha fatto nulla per quella povera ragazza…


Mi premo la mano tremante sulla faccia come non facevo da giorni e riacquisto un po' di lucidità.

“Lei dov’è?”

Interviene un medico “E’ nella stanza accanto, ha moltissime fratture e soprattutto un ematoma nella scatola cranica. Vista la gravità delle sue condizioni abbiamo dovuto indurla in uno stato di coma farmacologico. Prima però ha chiesto di lei ma non abbiamo potuto attendere il suo arrivo.”

“Posso vederla?”

“Prima però deve rispondere ad ulteriori domande e…”

“Ripeto, posso vederla?”

“Si, certo.”

Mi accompagna nella stanza di fianco mentre chi rimane li mi fissa senza dire nulla, ma i loro pensieri mi spaccano la testa. Eccola sul letto, il volto gonfio e sanguinante e il bip regolare dei macchinari che la circondano, freddi e distanti.

“Dottore, si riprenderà?”

“Ci vuole parecchio tempo, a breve la opereremo appena l’equipe sarà pronta ma non posso assicurare nulla sulla riuscita dell’operazione.”

…se sapevi qualcosa potevi muoverti prima…

“Posso rimanere solo con lei un minuto?”

“Ehm, si va bene. Poi venga di la che la aspettano i poliziotti per interrogarla.”

Mi lascia da solo. Respiro lentamente per allontanare il brusio degli Altri che si era fatto assordante ma per una volta quasi erano voci che all’unisono reclamavano la mia testa. Mi avvicino al letto e la guardo, l’ennesima persona che ho provato a salvare avendo paura però di farmi scoprire. Il solito codardo. Come con Emily. Però posso provare a fare qualcosa per non lasciarla sola. Come faceva Emily con me quando i pensieri degli altri mi travolgevano. Metto le mie mani sulla sua fronte e mi concentro. Chiudo gli occhi e continuo a pensare isolandomi da tutto il resto. Pian piano da nero tutto diventa bianco e anche i rumori intorno scompaiono…

____

Intanto nella stanza accanto i poliziotti guardano l’orologio nervosamente.

“Dove si è cacciato quel Byrne? Non sarà mica scappato?”

“Non penso, alla fine non è stato lui a ridurla così.”

“Andiamo a vedere, il minuto è passato.”

Si alzano pigramente dalle sedie ed attraversano il corridoio fino alla porta. Si mettono in ascolto e non sentendo alcun rumore entrano di getto spalancando la porta. Trovano Thomas Byrne per terra privo di sensi.

“Dottore presto venga a vedere!”

____

“Dottore presto venga a vedere!”

Sento solo questa frase ed un rumore di passi affrettati che si avvicinano, ma è tutto lontano. Ormai sono altrove…

…Apro gli occhi e sono in un parco, seduto su una panchina davanti un lago. St. James Park. Al mio fianco c’è Sophie che sembra dormire, ma so perfettamente cosa sta succedendo. Alla fine anche lei apre gli occhi.

“Dove sono? Tom… Sono morta?”

“No macchè, li fuori ci sono persone che si stanno occupando di te.”

“Ma come è possibile, fino a poco fa era tutto buio e ora sono qui, cosa sta succedendo.”

“Mi dispiace di tutto quello che ti è successo, è anche colpa mia. Non volevo lasciarti sola ed ho creato questo per te, finchè le cose non si sistemeranno.”

“Ma come è possibile. Ma questo è il St. James Park. Come hai fatto?”

“Ti ricordi che durante le nostre chiaccherate ti ho chiesto di parlarmi di un tuo bel ricordo? Ecco, sulla base di quello a cui stavi pensando hai tracciato delle immagini talmente nette, con suoni e profumi, che ho cercato di riportartici.”

“E’ bellissimo, grazie. Ma tu come puoi essere qui? Quanto rimarrai?”

“Tutto il tempo necessario finchè non sarai pronta a tornare indietro.”

“Grazie Tom per non avermi lasciato da sola.”

Rimaniamo in silenzio a fissare il lago e solo ora mi accorgo che qui non c’è alcun brusio, gli Altri sono davvero troppo lontani per venire fin qui. Rimaniamo seduti a parlare finchè da dietro gli alberi non compare una figura, una donna, capelli color rame ed un cappotto verde. Sophie incredula la guarda e corre felice verso di lei per abbracciarla. Mi giro dall’altra parte per lasciarle sole. Anche se è solo un’illusione ne è valsa la pena rischiare per vederla felice come in passato. Ci penso un secondo di più e capisco che quella terza figura non è opera della mia abilità. Forse allora c’è davvero qualcosa dall’altra parte. Lo spero, Emily.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
PRIME VOLTE
(di Cipolla Fritta)
L’eterno riposo donagli, o Signore. Splenda a lui la luce perpetua. Riposi in pace. Amen.

Anna segue con lo sguardo la direzione dei raggi del sole che colpiscono impietosi la bara in cui giace suo padre. La luce di agosto le dà fastidio agli occhi e nel contempo la commuove. Sarà così la luce perpetua?

29.11.1913 - 28.11.2003. Che beffa morire all’improvviso il giorno prima del proprio novantesimo compleanno. Tipico di suo padre, anche se stavolta lo scherzo sadico l’ha fatto a se stesso.

Non piangere salame dai capelli verde rame è solo un gioco

Mentre gli operai scavano e la bara va giù, Anna si domanda perché quella canzone da tempo dimenticata le martelli nel cervello. Non prova dolore. Non prova niente. Si sente strana, come se non fosse lei. Come se recitasse una parte sul set di un film.

I due uomini ricoprono di terra la bara. Sono veloci, per loro è un lavoro come un altro, non vedono l’ora di finire per andare a casa dalla moglie o dalla fidanzata o a bere un bicchiere con gli amici. Mentre il prete recita l’ultima preghiera, un tipo dall’andatura un po’ sghemba le rivolge da lontano un cenno rispettoso. Dopo pochi attimi lo riconosce, è il figlio del fioraio. Come è invecchiato! E lei, quanto è cambiata? Per una frazione di secondo il suo sguardo incrocia quello di un’anziana signora dal volto rugoso, sorretta da un lato da un bastone e dall’altro da una donna più giovane. Ma è proprio lei, quella che chiamavano Novella 2000! I suoi occhi sono maligni come allora. Di certo ricorda tutto.

Lo sai che t’amo io ti amo veramente

In cuor suo chiede perdono per se stessa e per i suoi pensieri frivoli. Era comunque suo padre, anche se per lei è già morto da tempo. Si confonde tra la folla mentre il sacerdote si avvicina alla donna alta circondata da corone di fiori e all’uomo più giovane che l’accompagna. Una stretta di mano, condoglianze e via, altri impegni lo chiamano, forse un altro funerale oppure un battesimo. Un po’ in disparte Anna osserva la gente sfilare davanti alla vedova di suo padre, sposata in seconde nozze. Baci, abbracci, parole di circostanza, qualche lacrima. La donna non piega la schiena per abbracciare o baciare, rimane dritta sui tacchi sottili e non toglie mai gli occhiali scuri. Anna sarebbe curiosa di guardare negli occhi la persona che ha vissuto con suo padre per tanto tempo. Chissà se sa, e cosa.

Si avvia verso il cancello. Le è stato spiegato che, per recarsi alla stazione dove prenderà il treno che la riporterà a casa, dovrà attraversare il paese a piedi. Un tempo la stazione non c’era. Non è più abituata a muoversi da sola, alle automobili, alla gente che passeggia. La strada principale non sembra quella del luogo in cui è cresciuta. Una piazzetta qua, un negozio là. Tutto è cambiato. Si ferma incantata davanti a una gelateria; mille vaschette rosse, gialle, rosa, marroni o puntellate di granelli sembrano chiamarla. Ormai mangia raramente il gelato e sempre agli stessi gusti. Come è bello il vestito verde in quella vetrina! ...Salame dai capelli verde rame... L’abito è piuttosto corto, se quando era ragazza suo padre glielo avesse visto addosso l’avrebbe costretta a riportarlo al negozio. Ognuno ha il suo destino e il suo era quello di non indossare mai un vestito così.

Osserva le ragazze che passeggiano da sole o in gruppo. Pensa che quella risata vivace, quei capelli ondulati, quegli orecchini pendenti avrebbe potuto averli Ambra. Quanti anni avrebbe adesso? È strano ma ha perso il conto, oggi la sua concezione del tempo è diversa.

Una macchina si ferma bruscamente per non investirla, l’autista lancia improperi dal finestrino. Si rende conto di essersi distratta, sta attraversando lontano dalle strisce pedonali. È confusa e spaventata, non sa più dove si trova. La gente è sempre di meno, le auto pure. Della stazione neanche l’ombra. Oddio, si è persa! Quando gira l’angolo, si ritrova in un campo deserto e incolto, in fondo al quale appare uno strapiombo. Ora Anna ricorda, si rende conto di dove è. Sente nelle narici l’odore forte della salsedine, così familiare e insieme così nuovo. Guarda giù, stando attenta a non avvicinarsi troppo al limite, e vede il mare. La spiaggia è sempre uguale, piccola e rocciosa, poco frequentata. Ed è come se il cuore le si aprisse e le inondasse le viscere di sangue amaro.

“Non piangere salame dai capelli verde rame”

“Smettila...tiri sempre fuori queste canzoni antiche, sei vecchio!” Ride. Lui ha un bel viso arrossato dal sole, tanti anni più di lei e una moglie che lascerà presto, quando loro due fuggiranno insieme. La schizza, non sono vecchio, protesta. Lei gli restituisce gli schizzi. Ridono. È il momento giusto, pensa. All'improvviso smette di ridere, lo guarda fisso negli occhi scuri. Le parole le escono di bocca quasi incontrollate, un fiume in piena. Ora il volto di lui non è più rosso, è grigio.

“Ne sei sicura?” La sua voce ha una sfumatura rabbiosa, ma lei è troppo giovane e troppo felice per accorgersene.

“Certo, la dottoressa l’ha confermato! Sei contento?”

“Contento?! Ti rendi conto che sono fottuto?”

Ora il fiume in piena è lui. Ma dai, ma che fuggire, sono cose che si dicono e poi non si fanno, ma come potrei, io sono impegnato, devi liberartene, di certo non posso aiutarti e poi chi dice che sia mio?


E lei era fuggita, sì, ma da sola e giusto fino a casa di Silvia, la sua migliore amica, che non era neppure in casa e che poi non l'aveva più chiamata. E quella canzone continuava a tormentarla. Un tuffo dove l'acqua è più blu, niente di più. Questo era stata per lui. Lo scandalo, la paura del domani, di suo padre, non pensava a niente di tutto ciò, pensava solo che lo amava e che lui non era quello che immaginava e che aveva voglia di tornare in quella spiaggia e di lasciarsi andare giù giù in fondo a quel mare sconfinato.

Il dolore del ricordo tornato alla luce è intenso, ma antico e sfuma velocemente come è arrivato. Ora Anna guarda il mare come se non l'avesse mai visto prima. Guarda quella vastità calma e al tempo stesso insidiosa, che le toglie il respiro. E d’improvviso sente come un canto nel cuore, un’esplosione di gioia inattesa. Si pensa che le prime volte si esauriscano quando si è molto giovani, ma non è vero. Le prime volte non finiscono mai e spesso giungono a tradimento. Ed è la prima volta che Anna desidera con forza di andare, di nuotare e nuotare fino a raggiungere quella nave che si intravede in lontananza, di vedere come è fatta dentro. Di comprarsi quel vestito verde anche solo per misurarlo nel chiuso della sua stanza, di mangiare un enorme cono con tutti quei gusti di gelato uno sopra l'altro, di sporcarsi la faccia e i capelli e l'abito e anche se poi vomita chi se ne frega.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Di colpo si riscuote e guarda l'orologio. Non manca molto alla partenza del treno, deve sbrigarsi, cercare qualcuno a cui chiedere informazioni. Deve andare. Suo malgrado, si rende conto di non averne alcuna voglia.

“Mi scusi.” Anna trasale, non si era accorta che ci fosse qualcuno. Si volta e vede di fronte a sé l'uomo che al funerale accompagnava la moglie di suo padre.

“Dovrei andare alla stazione, ma non riesco a trovarla. Devo essermi perso.”

“Anch'io”. Anna sorride timidamente. Lui ha i capelli arruffati, un sorriso malinconico e porta gli occhiali. Indossa un completo azzurro di una taglia un po' grande, nel quale sembra sentirsi a disagio. Probabilmente lo usa solo nelle grandi occasioni.

“Eppure ho vissuto qui… È che sono un po' scosso. Sono venuto per il seppellimento del marito di mia madre. Mi sento un po' in colpa, sarei voluto restare a farle compagnia, ma purtroppo domani ho un impegno importante di lavoro. Le chiedo scusa, non ci conosciamo, non dovrei stare qui a parlarle delle mie cose. Ma sbaglio o anche lei era al funerale?”

Anna farfuglia qualcosa, imbarazzata. Non si preoccupi, talvolta si ha bisogno di sfogarsi. Evita di rispondere alla domanda e, smaniosa di cambiare argomento, gli chiede dove sia diretto e gli propone di cercare il locale più vicino per chiedere informazioni. Presto vedono l'insegna di un bar; il barista li rassicura, la stazione non è lontana, basta attraversare l'isolato e svoltare a sinistra. Di certo non l’hanno vista perché è un po’ nascosta. Viaggeranno sullo stesso treno; il paese dove vive Luca – così si è presentato nel frattempo - è poco distante dalla campagna in cui vive Anna.

Seduti uno di fronte all’altra sui sedili della macchina vetusta e traballante, i due parlano ininterrottamente. O meglio, lui parla e lei ascolta. Ascolta la storia di un uomo burbero ma anche premuroso; un uomo che insegnava al figlio di sua moglie a giocare a carte e che lo accudiva quando stava male; un uomo che a suo modo amava la donna dai saldi principi ma poco espansiva che aveva sposato, con cui aveva un rapporto burrascoso; che talvolta agiva impulsivamente e perdeva la pazienza, “rigido, talvolta aggressivo ma in fondo buono”. E, mentre Luca parla, Anna ricorda. Ricorda le gite con quell’uomo e la mamma che già stava male, le storie che lui raccontava, gli scherzi che inventava e le risate pazze, e poi all'improvviso non c'erano più state gite né risate né scherzi ed erano iniziate le cene silenziose, loro due soli, la minestra scotta, le sere davanti alla TV mentre lui era al bar, e i bronci, le pretese, le sfuriate per un voto insufficiente o per un ritardo a pranzo. E l'odio di lui per la vita, l'astio nei confronti degli altri, delle famiglie in cui erano ancora tutti vivi e sani e continuavano a fare gite e scherzi e a ridere tutti insieme. E il cuore le si squarcia quando ricorda le grida disumane di quel giorno, quando le aveva urlato “puttana, sei la vergogna della famiglia, meno male che tua madre non c'è più altrimenti sarebbe morta oggi! Tu non sei più mia figlia!” e le aveva sbattuto in faccia la porta di quella casa che era anche sua, mentre lei si accasciava per terra e guardava inorridita il sangue e capiva che Ambra non ci sarebbe mai stata.

E finalmente il ghiaccio che ha dentro cede e Anna piange, piange mentre ascolta la voce gentile di chi ha saputo cogliere il lato buono di una persona dura e severa, piange pensando a quella bara ricoperta di terra, quella bara dentro cui solo qualche ora fa le sembrava ci fosse un estraneo.

“Mi scusi se l’ho fatta piangere. Lo conosceva?”

Anna si asciuga in fretta le lacrime, ora vuole che lui continui a parlare, come se nelle sue parole potesse esserci ancora qualcosa che continui a sciogliere quel gelo e a toglierle dall'anima i macigni riaffiorati dai recessi più profondi del suo essere.

“Sono solo commossa, lei ha un modo molto bello di raccontare. Si capisce che era affezionato al suo patrigno.”

“Sa, credo che in qualche modo fosse buono con me perché cercava… come dire… un riscatto. Anni prima aveva cacciato di casa sua figlia. So che sto parlando di cose molto intime, ma con chi parlarne se non con una come lei, sconosciuta?”

Il cuore di Anna batte all'impazzata mentre lui le racconta di se stessa e di suo padre che, dopo averla mandata via, diceva di aver trascorso mesi isolato dal mondo per la vergogna e la rabbia. L’ira poi era lentamente sfumata lasciando il posto a una sorta di rimorso per non aver mai più chiesto notizie di lei, per averla respinta così brutalmente, per aver rifiutato a priori il “bastardo” che sarebbe nato. Ma il suo orgoglio smisurato aveva prevalso sul desiderio di cercarla, e il tempo era trascorso senza che lui nemmeno sapesse se sua figlia era viva.

“Credo sia morto con questo cruccio, tormentato dai sensi di colpa. Neppure lei l’ha mai cercato” conclude Luca. “Lo capisco, deve averla ferita in modo indelebile”.

Anna reprime l’impeto di rabbia che le parte dallo stomaco e sale su per la gola, fermandosi un attimo prima di esplodere. Vorrebbe gridare “colpa sua, ha rovinato la vita a entrambi” ma non è da lei pensare questo, lei con i suoi principi e le parole di cui ogni giorno si riempie la bocca, parole come perdono e pietà e comprensione, e adesso si rende conto di come spesso quelle parole siano ipocrite, eppure la rabbia non dura molto e lascia il posto a una serenità infinita, quella serenità che si prova quando si chiude un cerchio, quando ci si rassegna e si fa pace con la parte irrisolta della propria esistenza, quando le parole, anche quelle di uno sconosciuto, bastano per dividere la vita in prima e dopo.

_______________

La Madre Superiora dà un’occhiata torva all’orologio e guarda in direzione delle scale.

“Manca ancora suor Cecilia.” Sospira impaziente.

Le suore si guardano tra loro di sottecchi. È raro che qualcuna arrivi in ritardo per la preghiera serale, tantomeno suor Cecilia. Aspettano cinque minuti. Sette, dieci.

Livida di rabbia repressa, la Superiora annuncia: “Procediamo”.

Suor Marta, vicina di cella di suor Cecilia, alza timidamente la mano: “Non sarà il caso di andare a controllare? Potrebbe essersi sentita male”.

Seppur contrariata, la Madre le fa cenno di salire.

Qualche minuto dopo suor Marta è di ritorno, da sola.

“Suor Cecilia non c’è”.

“Non c’è? Come, non c’è?”

“Non l’ho trovata da nessuna parte. Nemmeno in bagno.”

Nel giro di pochi secondi il silenzio delle monache si trasforma nel ronzio di uno sciame di api impazzite.

“Suor Cecilia! Suor Cecilia!” Chiamano a gran voce, correndo in tutte le direzioni e riscoprendo stanze disabitate.

Solo l’eco risponde al loro richiamo.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Il vestito non è proprio del verde che piace a lei, ma le piace comunque. Le sta un po’ stretto, ancora non ci si trova a suo agio. Probabilmente è una questione di abitudine, una sensazione che passerà. Così come passerà l’agitazione che la assale in mezzo a quella folla disordinata in procinto di salire sulla nave. Crede molto in questo viaggio. Di certo sarà un viaggio di prime volte.

Dopo l’abbandono del padre la zia Franca, l’unica zia materna, le aveva offerto un letto e un pasto caldo. Ma non voleva più restare in quel paese dove non c’era nulla da fare e la gente la guardava con aria torva o compassionevole. Si era aggrappata alla fede; chiedeva al Signore forza e perdono, perdono per il peccato che aveva commesso e perché non riusciva a non odiare suo padre. Non provava più niente per l’uomo che l’aveva messa in quella situazione: l’infatuazione aveva lasciato il posto al disgusto per la sua meschinità. Quando entrava in chiesa provava pace e sollievo e, pian piano, aveva maturato la decisione di entrare in un convento di clausura, dove si sarebbe sentita protetta e al sicuro. Era troppo ingenua e sensibile, il mondo non era fatto per lei e lei non era fatta per il mondo; voleva solo pregare, lavorare ed espiare le sue colpe. Forse così il Signore l’avrebbe perdonata. Era stato tutt’altro che facile; la vita del monastero con le sue regole rigide, la severità della Superiora, l’isolamento, la scarsità di comunicazione tra Sorelle, la parsimonia e le rinunce continue la sottoponevano a dura prova, ma era felice di sacrificarsi, si sentiva sempre meno sporca e colpevole e, pian piano, era riuscita a convincere se stessa che la sua vita non poteva essere che quella. E così aveva continuato a credere per tanti anni, fino a quel giorno di un mese prima, fino al funerale e al vestito verde e al mare e al treno e a Luca.

Quella sera era tornata in convento e aveva ripreso la vita di sempre, ma non era più la stessa persona. Guardava a lungo dalla finestra i campi e le colline, gli alberi, le case in lontananza, chiedendosi per la prima volta chi ci vivesse e cosa facesse. Pensava a suo padre, al paese, alle ragazze che passeggiavano in centro, a Luca che le aveva lasciato il suo numero di telefono, dato che era stata così gentile con lui e gli aveva ispirato tanta fiducia. Forse un giorno lo userà, quel numero, e gli racconterà tutto. Gli racconterà che il suo patrigno era suo padre, e che è curiosa di conoscere sua madre, e gli dirà che adesso non è più una suora, anche se non sa se riuscirà a spiegargli il perché. Sorride immaginando la sua espressione incredula.

Non se l’è sentita di salutare la Superiora e le Sorelle, probabilmente avrebbero cercato di convincerla a ripensarci e lei non voleva affrontare malumori o conflitti. Vuole ricordare il pranzo del giorno prima come l’ultima immagine di quella che per tanto tempo, malgrado tutto, è stata la sua famiglia. Ha lasciato una lettera nella cassetta della posta, la troveranno.

Finalmente è riuscita a salire sulla nave. Si accerta di avere in borsa i braccialetti per il mal di mare, sarà un viaggio lungo. I soldi che le aveva lasciato la zia Franca e che non aveva mai toccato – non le servivano! – hanno dato i loro frutti. Non sa cosa farà dopo, dove vivrà. Cercherà un lavoro; sa accudire i malati, fare le pulizie, cucinare. E tenere i conti. E poi potrà ancora studiare, magari come infermiera. C’è sempre tempo per tutto. Ora però vuole pensare solo al suo viaggio.

“125” l’uomo allo sportello le comunica laconico il numero della cabina. La cerca e non la trova, solo dopo un po’ capisce che sta girando in tondo. Imparerà. Chiederà aiuto a qualcuno e la troverà, ma prima vuole fare una cosa.

Si ferma davanti al bancone che ha intravisto poco prima.

“Buongiorno, che gusti desidera?”

“Fragola, pistacchio, cioccolato, nocciola e quella crema celeste dal nome strano che non riesco a leggere.”
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Viola non esce la sera
(di Estella)


Erano le diciannove e il profumo dei muffin al limone appena sfornati aleggiava nel laboratorio dove Giovanni stava confezionando una torta che doveva essere consegnata quella sera stessa, era così agitato che i muffin non erano venuti benissimo, erano leggermente sgonfi. Doveva rifarli, era un perfezionista; prima però doveva ultimare la torta e mancava la cosa più importante.

Erano le diciannove e venti minuti, suonò il campanello: Viola aprì il portone. Aveva ordinato dalla pasticceria vicino la stazione una Cheesecake ai mirtilli, tutta per lei. Ogni sera, da qualche mese, cenava con una Cheesecake ai mirtilli, la ordinava e se la faceva consegnare a casa perché non aveva il coraggio di andarla a comprare direttamente in pasticceria. La fame incontrollata era tornata da una decina di anni oramai, cioè da quando aveva lasciato l’agonismo per dedicarsi all’insegnamento – insegnava nuoto ai bambini. Il nuoto era stato il suo mondo e doverlo abbandonare non era stato facile per Viola e ora sentiva un vuoto incolmabile, le mancavano le giornate passate al Palazzetto dello Sport ma gli allenamenti col tempo erano diventati estenuanti e aveva sentito troppo la pressione della gara, lo sport si era trasformato da passione a pura prestazione. Le abbuffate erano così tornate in tutta la loro prepotenza: il cibo era tornato a colmare la sua insoddisfazione. Aveva cominciato a praticare nuoto nell’adolescenza per non rimanere a casa dove, in quel periodo, il clima per lei diventava claustrofobico e dove affogava il suo bisogno di attenzione nel cibo, soprattutto nei dolci; anelava a quella dolcezza che aveva capito non avrebbe mai avuto dai suoi genitori, troppo presi dai loro litigi. Mano a mano che si allenava in piscina e che si dimostrava brava, raggiungendo risultati per lei inaspettati, cresceva dentro la giovane Viola l’autostima, e le abbuffate, in quella fase in cui i suoi sogni le erano sembrati possibili, erano diventate eventi sempre più rari; quando andò a vivere da sola, nel pieno delle sue migliori prestazioni agonistiche, era riuscita ad avere il pieno controllo sul suo corpo ed aveva seguito un regime alimentare sano, ma il timore di una ricaduta alla prima delusione era sempre presente. E la ricaduta anni dopo infatti ci fu e coincise con la fine dei suoi traguardi sportivi insieme alla fine dell’unica storia d’amore della sua vita. Assorta nei suoi pensieri sul suo passato, Viola osservava la Cheesecake ai mirtilli posta sul tavolo della cucina; aveva scelto proprio quella torta per l’esplosione di velluto, un misto di aspro e di zucchero, provata la prima volta che ne aveva mangiata una fetta nella pasticceria di Giovanni, “Le mie notti al mirtillo”, chiamata così proprio per quella Cheesecake, la specialità della pasticceria. Giovanni vi lavorava insieme a sua madre che gli aveva insegnato il mestiere di pasticciere. Viola passava davanti la pasticceria ogni pomeriggio perché per raggiungere il centro sportivo dove lavorava come istruttrice doveva prendere il treno; a volte incontrava Giovanni che sistemava i tavolini fuori e scambiava con lui qualche parola ma Giovanni non accennava mai a quell’insolita consuetudine di lei di ordinare ogni sera un dolce e sempre lo stesso dolce – questo la tranquillizzava, non avrebbe saputo cosa rispondergli se le avesse chiesto il motivo di quello che ormai era diventato un vero e proprio rito. Sembrava avessero un segreto in comune che non doveva essere palesato, un tacito accordo.

Quella sera, dopo che Giovanni consegnò a Viola la Cheesecake ai mirtilli, il campanello suonò di nuovo, lei aprì e lui la invitò a cena quella sera stessa; disse che c’era un piccolo locale molto carino proprio a meno di un paio di chilometri da casa di Viola. Viola gli rispose che solitamente non usciva la sera perché andava a dormire molto presto, una regola cristallizzata in lei da quando aveva cominciato a praticare sport, e in parte era così, ma la verità era che non aveva nessuno con cui uscire la sera, neanche un’amica – aveva perso ogni contatto con le persone che aveva frequentato quando si allenava e con i colleghi di lavoro evitava qualsiasi tipo di coinvolgimento sociale. Accettò di uscire perché voleva la compagnia di Giovanni. Passeggiarono in silenzio, i negozi erano ancora aperti e l’attenzione di Viola fu catturata da un’immagine riflessa in una vetrina illuminata, era la sua immagine. Distolse subito lo sguardo e affrettò il passo, non sopportava di vedersi così diversa dal periodo in cui si sentiva piena di vitalità, l’espressione del suo viso ora rivelava tanta stanchezza. Inoltre era da tempo che non mangiava in un posto pubblico e voleva tornare a casa. Giovanni le prese la mano, si fermarono e lui le disse che sapeva del suo disturbo alimentare, l’aveva vista abbuffarsi una sera quando, dopo averle consegnato la torta, era tornato indietro perché voleva parlarle. La porta non si era chiusa bene, lui l’aveva aperta un pochino e l’aveva vista mentre mangiava in modo compulsivo. A quelle parole Viola cominciò ad agitarsi, si divincolò da Giovanni e camminò quasi correndo, lui la seguiva a distanza. Una volta entrata in casa, Viola si diresse verso il tavolo della cucina dove era ancora intatta la sua Cheesecake ai mirtilli, stava per tirarla fuori dalla confezione e in quel momento sentì il suono del campanello, dopo un po’ un altro suono, poi il silenzio. Accostò l’orecchio al portone e sentì un rumore, come se qualcuno vi si fosse appoggiato con la schiena.

Quella sera Viola non mangiò nulla, consapevole della silenziosa presenza di Giovanni seduto sull’uscio e al freddo. Durante la notte aprì il portone e chiese a Giovanni se voleva una fetta di dolce, ne mangiarono una fetta in due e finalmente lei ritrovò il piacere di assaporarne il gusto, senso che aveva col tempo perso.

Quella notte Viola si addormentò tra le braccia di Giovanni.

No, le cose non andarono proprio in questo modo.

Quella sera, come tutte le altre sere del resto, la torta le fu consegnata da Marta, la sorella di Giovanni, e di conseguenza Giovanni non l’aveva mai invitata a cena e loro due non avevano mai fatto quella passeggiata verso il locale - e non avevano dormito insieme. Viola se l’era immaginato e la verità era che Giovanni l’aveva lasciata dieci anni prima, senza una spiegazione. Quando la vedeva passare a piedi diretta alla stazione lui la salutava sempre e le chiedeva come stava, nessun accenno al loro passato e al motivo per cui si era allontanato da lei e, dal canto suo, Viola era troppo orgogliosa per domandarglielo.

Quella sera Marta, quando suonò il campanello e le consegnò la torta, le aveva chiesto se poteva entrare, voleva parlarle. Le disse che Giovanni, giorni prima, le aveva confessato un segreto che lui si portava dentro da dieci anni: Giovanni aveva lasciato Viola perché in quel periodo pensava di essere un ostacolo alla sua realizzazione sportiva e, quando aveva saputo che lei aveva abbandonato gli allenamenti, aveva pensato che lei non l’avrebbe mai perdonato per averla fatta soffrire e che l’occasione per stare insieme era ormai persa. Poi, da quella confessione fattale, Giovanni disse alla sorella che non voleva più sentir parlare di Viola – Marta infatti aveva cercato più volte di sapere il motivo per cui il fratello e Viola si erano divisi pur sapendo che Giovanni difficilmente si sarebbe aperto con lei perché era sempre stato molto riservato, fin da bambino. Adesso che Marta se ne era andata, Viola ripensava a quello che lei le aveva detto; doveva smetterla di pensare a Giovanni, era passato troppo tempo e lei non era più la Viola combattiva che lui aveva conosciuto. Non voleva che la vedesse così fragile e poi adesso sapeva, dalle parole di Marta, che secondo lui non poteva esserci una seconda occasione. In fondo però Viola aveva sempre sperato in una seconda occasione per loro due.

Erano le diciannove e cinquanta minuti e la Cheesecake ai mirtilli era ancora lì sul tavolo della cucina, chiusa nella sua bella confezione viola: viola per caso o scelta con quel colore proprio per lei? Non le importava saperlo, anzi, la visione di quel colore adesso la infastidiva e non voleva guardare nemmeno il dolce fatto da Giovanni. Non voleva più fantasticare.

Prese d’impulso la confezione ancora chiusa e la gettò nel secchio della spazzatura.

Così Viola non lesse mai la frase che Giovanni, quella sera, scrisse con la panna sopra la copertura di cioccolato della torta; sì di cioccolato, perché quella sera Giovanni non le confezionò la solita Cheesecake ai mirtilli ma una Sacher, il dolce preferito di Viola da sempre, il dolce che lei mangiò la sera che Giovanni la portò per la prima volta nella sua pasticceria.

La panna formava questo messaggio: Torna da me.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
1939 Settembre a Kabul

(di Gabriele)



Ella intravede un nido di cicogne su un minareto, e incantata dai paesaggi sconfinati che attraversa con Annamarie le dice con un sorriso: "Questo è un paradiso perduto, lo adoro perché è un mondo originario semplice ed armonioso dove vi è ancora spazio per il divino". Annamarie, con un cenno di assenso, aggiunge: "La Persia però mi è rimasta nel cuore, provo una profonda nostalgia per il paese degli Immortali."

Suscita stupore vedere queste due giovani donne sole, alla guida della loro Ford, attraversare senza paura frontiere e paesi, dalla Svizzera all'Iran, dall'Afghanistan all'India, talvolta invitate a pranzo dagli sceicchi nelle dimore più sontuose, talvolta, coperte di polvere e sudore su strade dissestate, armeggiare per sostituire una ruota o per aggiustare il motore. Ad occuparsi dell'automobile è soprattutto Annamarie, per la verità, mentre Ella fotografa e filma senza sosta il paesaggio intorno. Hanno abbandonato la civiltà e una vita agiata con tutto ciò che essa comporta in quanto a raffinatezza e comfort: letti, vasche da bagno, giornali pieni di notizie dal mondo intero, poltrone, posta, medici, biancheria pulita e calze di seta, per andare verso il Medioevo, non in cerca dell'avventura, ma soltanto di un attimo di respiro, in paesi nei quali si vive in modo molto diverso. Affrontano neve, tempeste di sabbia, pioggia, caldo devastante. Solo quando vengono ospitate nei villaggi riscoprono qualche spartana comodità.

Sono molto colpite dalla grandissima, generosa ospitalità riservata loro dagli afghani. Ovunque arrivano, vengono offerti loro vitto e alloggio. Sono accolte da tutti, dalle persone più in vista, dal governatore o da qualche ricco afghano che le invita a prendere il tè e a condividere il pilaf o gli spiedini di montone, al contadino che offre loro la sua unica ricchezza: meloni, uva o pesche. Nelle tende dei nomadi per loro c’è sempre una galletta accompagnata da una scodella di latte cagliato, o di albume d’uovo sbattuto con lo zucchero. Nessuna delle due indossa il velo. Si fanno notare ovunque vanno per l’audacia nel vestire e per la folle impresa di attraversare luoghi mai percorsi da due donne sole. Eppure suscitano simpatia, ottengono aiuto, godono della migliore ospitalità. Chi le ospita non accetta mai di essere pagato, e le due donne non hanno la sensazione di correre un qualsiasi pericolo. Si sentono, sono sicure. Anche se l'Afghanistan sembra un paese senza donne: le uniche che intravedono sono coperte dalla testa ai piedi con il chador che avvolge stretto il capo e davanti al viso ha una specie di piccola grata. Si chiedono se queste donne velate sentano la mancanza delle libertà che non conoscono.

Le due donne non potrebbero essere più diverse. Ella è un’anima eclettica che ha vissuto varie vite: velista nelle regate olimpioniche, ha partecipato alle Olimpiadi del 1924 a capo della squadra svizzera di vela, è giocatrice di hockey, sciatrice esperta, grande viaggiatrice, scrittrice e fotografa, è calma, in ottima salute, pacata e determinata. Ella si sente viva solo esplorando nuovi mondi, vorrebbe che il viaggio durasse tutta la vita, nulla la attrae più in Occidente dove si sente sola ed estranea alle preoccupazioni dei suoi contemporanei. E' tutta presa dalla curiosità di scoprire posti dove le leggi della nostra civiltà non valgono, dove il tempo non ha valore, dove gli orologi, i calendari sono superflui e dove trova persone, contadini, nomadi per i quali il denaro non significa niente. Non vuole tornare a casa, vuole la gioia di sentire che ciascun giorno sarà nuovo, e che nessuno di essi sarà uguale all’altro. Nonostante la vita primitiva, la fame e la stanchezza, è forte per Ella il desiderio di andare avanti, di raggiungere la meta a qualunque costo. L'esperienza non le manca, ha già percorso, da sola e con un bagaglio ridotto al minimo, le terre più remote del pianeta, il Turkestan, la Russia, la Cina, l'India e il Kasmir. Non ha mai viaggiato per scrivere, ma è stata costretta a scrivere per poter trovare le risorse per viaggiare.

Annemarie, che appartiene a una ricchissima famiglia di industriali di Zurigo, colta e ribelle, dalla bellezza androgina, è archeologa, pianista, grande viaggiatrice, ma è fragile, malata, instabile. E’ stata appena dimessa da uno degli innumerevoli ricoveri in una clinica per tossicomani. E' irrequieta, irrisolta, e dipendente dalla droga. E' una donna sempre in attesa, in fuga, che non smette mai di cercare: parole per i suoi libri, immagini per i suoi reportage, donne da sedurre, uomini da incantare. Sono lontani anni luce sia la vita culturale mitteleuropea di cui è stata protagonista sia Achille, il diplomatico francese omosessuale che ha sposato a Teheran pochi anni prima grazie al quale ha avuto il passaporto diplomatico che le consente di andare ovunque. Ora le giornate sono illuminate da montagne e deserti grandiosi, città sante, popoli dalla storia millenaria da scoprire. Ma il demone della dipendenza che la divora pare riaffacciarsi.

Le due giovani donne attraversano paesaggi incredibili, che vanno dalle oasi verdi alle vette innevate che scintillano come una seta pregiata, splendidi terrazzamenti scolpiti dal vento, lagune incastonate come gioielli e si muovono tra consolati, dogane, deserti, steppe e bazar nei vari villaggi capitati sulla loro strada. Il viaggio tuttavia separa le due donne tanto quanto le avvicina. Ella ritrova sul pavimento della stanza d'albergo dove alloggiano la fiala di vetro che conteneva la morfina e si rende conto che Annamarie ha ripreso ad assumere stupefacenti.

A Kabul apprendono dello scoppio della guerra in Europa e questo segna l’epilogo del loro viaggio. Il saluto è straziante e avviene di sera, dopo cena. Ella continua il suo percorso verso l'India, in un cammino di ricerca spirituale, dicendo che inizia un nuovo viaggio che la porterà ben oltre, verso la vita interiore, esplorando i territori non ancora mappati della sua mente. Annamarie si sente invece in dovere di tornare a casa, per combattere il nazismo che avvolge con le sue spire l'Europa. Si recherà poi negli Stati Uniti, dove vuole iniziare, come corrispondente, la sua lotta contro Hitler.

Non si rivedranno mai più. Annamarie Schwarzenbach morirà a soli 34 anni, nel 1942, cadendo dalla bicicletta e battendo la tempia su un sasso appuntito. Ella Maillart continuerà ad esplorare il mondo e a scrivere fino a oltre novant'anni, dopo aver contribuito a far scoprire l'Asia a migliaia di viaggiatori. Unico rimpianto, l'impresa che non è riuscita a portare a termine: salvare l'amica e compagna di viaggio Annamarie Schwarzenbach.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Catastrofe nel mondo matematico
(Di Giovannino il distratto)



Breve storia di due rette parallele, le quali sapevano che non si sarebbero incontrate mai, ma avrebbero potuto guardarsi ogni volta che lo avessero voluto, all'infinito.

Generalmente ognuna aveva lo sguardo fisso davanti a sé; erano rette serie, consapevoli del loro ruolo, e non volevano rischiare di sbagliare direzione. Ma ogni tanto cedevano alla tentazione di darsi una sbirciata, felici di sapersi costantemente lì, a portata di sguardo.

A cosa pensavano durante il viaggio, vicine e distanti allo stesso tempo, intime ed estranee, inseparabili e imprendibili?

Poi, un giorno, a furia di guardarsi, sempre più frequentemente, sempre più a lungo, avvenne l'irreparabile: una delle due, immersa nella contemplazione della compagna, deviò di un infinitesimo... questa minima distrazione fu sufficiente perché accadesse il disastro! Dopo una vita passata a osservarsi da lontano, nel giro di pochissimo le due rette si toccarono. Quell'incontro, che forse inconsciamente avevano desiderato, si rivelò senza consistenza, né durata. Era un punto privo di dimensioni.

Dopo nemmeno un istante, ecco che le rette già corrono via lontane, separate da una distanza che diventa sempre più incolmabile.

Mentre si allontanano definitivamente, si lanciano un ultimo sofferto sguardo: forse pensano che sarebbe stato più dolce continuare a viaggiare parallele per l'eternità.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
THE MAKING OF
(di GogJoob)



Da: P (allegati) -- Ciao J, ho qui un nuovo esperimento con il ‘piano preparato’ (ho messo un panno di feltro tra le corde). Lo completerò con un ancor più strano contrappunto di chitarra elettrica: stile classico, suono moderno. E’ troppo weirdo per una canzone? Devo sistemare il brigde, comunque ;- ) p.s. la nostra amica L dice che somiglia ad uno studio del Clementi, vorrà dire che me lo prendo come un complimento lol

Da: J-- Ciao P, per la prima volta sto faticando a ritrovarmici con questa ‘cosa’. Ci proverò ancora più tardi, ma potrei per la prima volta fallire! Musica bellissima, solo che sarà difficile aggiungerci le parole:- ) cheersJ

Da: P -- Lo sapevo che era difficile stavolta … ok, se le parole falliscono (non tu, le parole lol), possiamo pensare a qualcos’altro? Magari sarà il nostro primo strumentale? Che ne dici se ci metti tu il basso o l’elettrica? Salutoniiii

Da: J -- Siii! Dai facciamo uno strumentale :- ) Farai un’altra versione, o devo attaccarmi a questa? Saludos J

Da: P (allegato) -- Penso di aver provato a scrivere il testo, in qualche modo lol … Schema: A A B C A ps se ti è fastidioso improvvisare con quel suono di macchina da scrivere sovrapposto al piano ed archi, guarda - ti mando le due tracce separatamente, poi le rimetti tu assieme

Da: J -- Hey P, ci ho aggiunto una parte molto semplice (stratocaster con tremolo). Ho provato altre cose ma non hanno funzionato lol. Ho poi rimesso nel mix la traccia con il suono della macchina da scrivere e lì sta. E’ un motivo molto dolce e ovattato, e mi piace molto la macchina da scrivere e il titolo, “lettera a F” Mi fa troppo strano però di non aver davvero scritto il testo della lettera, lol. Spero che stai bene :- ) Ciao! J

Da: P -- J! La adoro! E’ un po’ tutta incasinata, doveva essere stata una lettera molto interessante lol (e per una volta non ho utilizzato la quantizzazione o il ri-uso di nessuna sequenza). Mi hai fatto ridere, ma anche una idea troooppo strana mi è saltata in mente: che ne dici se tu davvero la scrivi questa lettera a F. e pubblichiamo la canzone e il testo a parte? Nessuno ha mai detto che un testo debba essere cantato, diciamo che è uno strumentale con una lyric allegata. E se l’idea ti piace, non mi scrivere, semplicemente pubblicalo, non voglio certo sbirciare in una lettera privata: aspetterò che sia di pubblico dominio ;- ) Cheers-huaua! P

Da: J -- Aha … il gioco si fa interessante lol. Potrei scrivere la lettera e declamarla sopra la musica. Come ‘Stan’ di Eminem. Lasciala qui con me! Se non funziona possiamo semplicemente tenerci lo strumentale :- ) Grande idea!!!!!! Square-house, J

Da: P -- Figata! Vedrai che funzionerà alla grande!

Da: J (allegato) -- “Caro F, il mio tempo a Parigi è quasi finito. Non ho trovato quello che stavo cercando, ma cavolo se ho cercato! in ogni angolo e fessura di quelle strade intrise di arte, e anche dentro me stesso. Qualunque cosa cercassi non c'era, o forse mai c'era stata. E so per un fatto adesso che il talento non è abbastanza. E forse neanche l'amore … le due materie prime più meravigliose del mondo sembrano non valere più una sterlina. Tranne che per noi forse, e per alcune persone che ‘sentono’ l'esistenza piuttosto che passarci attraverso come in un autolavaggio. Per favore, prendi i 300 euro allegati, che voglio che tu converta al più presto in più simpatici e sporchi ventini e deca. Capirai subito.

Vedi, è ora che me ne vada … lontano da Parigi e lontano dalla pittura. Quando riceverai questa lettera, me ne sarò già andato. Mi troveranno morto, come un pallido Chatterton color porcellana, su questa logora chaise longue sotto lo sporco lucernario. L'ho visto così spesso nella mia testa che ora ne sono distaccato. Proprio come dicevi tu che fare il becchino distacca dalla morte.

Voglio che festeggi con me ma senza di me per un'ultima volta. Prendi quei soldi, e spendili allo Spanish Wine Bar di Bradley. Prenditi un giorno libero dal lavoro e fatti prendere a pugni fino alle branchie.

A proposito, ci vorranno alcuni giorni prima che questa lettera arrivi, e stanotte mi separerò da queste ‘spoglie mortali’. Quindi, andasse storto qualcosa, dovrò chiamarti e dirti di non leggere la lettera. Ma supponendo che io non ho chiamato e che tu STAI leggendo questa lettera, l’atto è compiuto, e io avrò bevuto il mio ultimo tè alla Brasserie Lipp: bistecca, ostriche e una buona bottiglia di Margaux.

Non sprecare un secondo, vecchio amico mio. Neanche un secondo

p.s. Chagall è sempre stato meglio di Matisse.”

Da: J -- Inghilterra contro italia sabato!!!! Un po’ di sangue italiano qui, così a qualcuno non importa chi vince LoL. Spero tutto bene! Ciao J

Da: P -- Aha! Sangue italiano in famiglia eh? Me lo dovrai dimostrare lol (è un po’ che pensavo di mandarti un po’ di dischi italiani, De Gregori-Battisti-Dalla, e infine Baglioni: se sopravvivi allora sì vuol dire che sei dei nostri). Fico, comunque anche per me non importa chi vince, ma non dirlo a nessuno perché qui mi uccidono se sanno che non tifo l’Italì. Ci vorrebbe poi qualcosa di veramente strano per farmi apprezzare una partita di calcio, tipo che i capitani di italia-inghilterra si stringono la mano e poi si baciano sulle labbra lol (non so se questo implica la squalifica). Scherzi a parte, ieri vi ho visti contro la danimarca, match frenetico, molto duro, congrats! Qui tutto OK … non so te, ma per me questo è sempre un mese sospeso, un sacco di lavoro e aspettare le vacanze estive ;- ) per fortuna viviamo a 15km dal mare, e FM possono godersi dei giorni liberi in spiaggia: se guardi le foto allegate, sembra la California (e questa è la globalizzazione lol), ma giuro che è O (quest’anno c’è anche uno skatepark vicino al mare, e io e F possiamo fare skateboard, ma non azzardiamo il bowl, per ora – ad ogni modo solo io l’altra settimana avevo il gomito gonfio come una bagpipe, giusto per farti capire chi è l’adulto). Ps. La Lettera a F è bellissima, ogni singola riga, ed è magico come il testo e la musica cambiamo umore e ritmo assieme. Non so come fai, ma tu sempre lo fai lol!
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Da: J -- Hey P, O sembra bella. Ne ho sentito parlare, certo. Lo chef Bourdain la ha visitata nel suo show itinerante, con la sua ragazza Asia Argento. E’ figo avere il mare così vicino! Io sto a 120km dal mare, che non è così male, ma ci sono cresciuto vicino, però. Sai sono iteressato tutte le cose italiane – arte (certo!), architettura, e film gialli/horror di dario argento. Sì – il padre di Asia Argento. Ne sono abbastanza ossessionato. E la loro musica – della band “i Goblin”. E ho viaggiato per tutta l’Italia... mmmh, non ce la vedo l’Inghilterra a vincere stavolta. La squadra italiana è una delle migliori che ho visto. Ma l’inghilterra gioca in casa, e forse potrebbe sfruttare il vantaggio per vincere. L’intero paese è impazzito dopo l’altra notte, intanto. Credo lo stesso da voi martedì: ho visto i filmati della gente in Piazza del Popolo – so wild!!! Grazie, per quanto riguarda il testo di F! E’ un peccato che non c’entri tutto quello che avevo scritto: la storia comincia con F che super-beve e ha una pazza festa solitaria a L. E’ solo quando la storia rivela la lettera (ti allego la versione completa) alla fine che capisci il perché. Brinderò a voi sabato. Saludos amigos!

Da: P -- caro J, la ‘vera finta’ lettera a F mi ha proprio commosso. E’ così … piena di cose concrete e reali, posti, fatti, riferimenti. Sei un grande storyteller! Ma lo sai che negli anni 80 facevo parte di una cricca di ragazzini appassionati di film horror? Indovina chi era il number one? Dario Argento e profondo rosso! Eravamo così presi che una volta facemmo uno scherzo ispirato a profondo rosso a casa di un amico (idioti totali). Così, buona fortuna Inghilterra. Ma l’Italia quest’anno ha una storia da raccontare, due buoni amici in panchina, ad allenare, e in campo un ragazzo che vuole emulare il padre. E’ una buona storia, se le buone storie possono vincere, allora vinceremo LoL! Cheers, P

da: P (allegato) -- Caro J, finchè non trovo un modo appropriato per registrare questa chitarra elettrica, mi sento autorizzato a fare un casino e lasciarlo così com’è! Così ecco la traccia ‘finale’ per una possibile nuova canzone. E’ Verse-chorus alternati plus un chorus finale come outro. Gli accordi sono: G Am C C (verse), Am C/B C C (chorus). Il chorus sembra qualcosa dall’album Marquee Moon, ma penso che non sia l’unico riferimento. L’intera cosa suona come qualcosa che ho sentito da qualche parte, ma non importa, perché tu sicuramente la cambierai in qualcosa di assolutamente nuovo ;- ) Ciauz, P

Da: J -- Ok, questa è veramente forte. Ho già qualcosa in mente che si sta formando. Amo alla follia Marquee Moon – specialmente ‘Friction’. In merito alla lettera a F, naturalmente nessun amico è andato a vedere se ‘the Asshole exists’, ma le ambientazioni e molti dettagli sono veri … diciamo che una volta avevo una vita un po’ selvaggia lol, abbiamo iniziato come pittori, e quando vado in pensione ritornerò alla pittura spero. Scrivevo anche tanto, e ho quasi avuto un contratto per una long story, ma poi qualcosa è andato storto per via delle modifiche che avrei ‘dovuto fare’. Ma ho qualcosa di pubblicato, poesie, cose così – per questo scrivere i testi delle canzoni mi viene facile. Spero che ne parleremo davanti a un bicchiere di vino qualche giorno! La canzone nuova sarà finita questo week end. Augh. J

da: P -- Rispolvererò il mio english per allora, e tu assaggerai la mia famosa pronuncia inglese alla ‘raffaella carrà’ (non una volta che parli inglese e FM non ridano …). Ma perché hai rifiutato di fare le modifiche? Avremmo un tuo libro, là fuori a quest’ora! E che cavolo!!! Cheers P

Da: J -- Hey P! Congratulazioni per la vittoria dell'Italia iersera: l’avete meritato! Scommetto che il paese sta impazzendo?! Senza Chiellini e Bonucci sarebbe stato molto diverso, sono proprio fantastici. Mi è dispiaciuto per i nostri ragazzi più giovani che hanno sbagliato i rigori. L'intera Inghilterra è proprio a terra oggi… ma sono felice di non dover vedere Boris Johnson indossare una divisa da calcio dell'Inghilterra e usare politicamente la vittoria (perché lo farebbe eccome!). Torniamo alla musica... questa è un altra che è abbastanza ‘differente’, lol. Ho aggiunto il crepitio del vinile, la voce, il mellotron del ‘coro delle streghe’ e una pedal steel sibilante. Spero che sia OK! Cheers, J

“vinile rosso sangue, come i miei ventricoli - vinile rosso come le sue labbra

viaggiamo in silenzio su questo autobus dell'orrore il viaggio della mater lachrimarum

profondo rosso e giallo - attraverso la periferia scivoleremo lontano /

vinile rosso come la luna bagnata di sangue - vinile rosso intenso che gira

percorriamo i corridoi delle istituzioni il suono della mater suspiriorum

profondo rosso e giallo - impende una maledizione su questa città /

cosa farai quando le ombre inizieranno ad allungarsi? cosa farai quando saranno sguainati i coltelli?

Ho scritto una storia ma il finale mi sfugge - ho visto solo le increspature del lago mentre le streghe annegavano /

profondo rosso e giallo - questi sono i colori della mia mente

profondo rosso e giallo - questi sono i colori della mia vita /

cosa farai quando le ombre inizieranno ad allungarsi? cosa farai quando salteranno fuori i coltelli?

Ho scritto una storia ma il finale mi sfugge - tutto quello che ho visto sono state le increspature mentre le streghe annegavano/

Metti l'ago nel vinile rosso sangue/ metti l'ago nel vinile rosso sangue/ metti l'ago nel vinile rosso sangue”

Da: P -- Anche a me dispiace per i giovanissimi che hanno sbagliato i rigori... e se tu ti sei risparmiato Boris con la bandiera inglese sulle mutande, io già da oggi devo sentire parlare in gergo politicalcistico: siamo una grande squadra, se restiamo uniti per il bene del Paese, bla bla bla bla. Ma, la canzone mi piace molto (no, la adoro!), e forse metterei gli effetti (le streghe soprattutto, ma come diavolo hai fatto…) un po' più alti nel mix perché sono fantastici! La canzone mi spaventa anche un po' in alcuni passaggi lol, e comunque vedo dalle immagini e dai colori come eri/sei ancora un pittore ;-). Puoi per favore pubblicarlo tu? Ehi, ‘diverso’ è il nostro nuovo standard - figo!!! P p.s. sì il paese è impazzito, la gente si bacia nelle fontane e si prende a capocciate l’un l’altro dalla gioia: penso che presto avremo una nuova variante covid intitolata ai festeggiamenti lol. Oh, a proposito di profondo rosso, guardando di nuovo il trailer ho notato che i colori del film sono strani, come un po' elettrici - o la luce è strana, è una mia impressione o cosa?

Da: J (allegato) -- Ciao P, sì la pubblico oggi. I colori nei film di Argento sono sorprendenti. Uno stile definito. G. studia scenografia teatrale e cinematografica, e nel corso hanno esaminato la tavolozza dei colori e le tecniche di Dario Argento. Era stupita che avessi sentito parlare di lui. Le ho detto che Dario-Argento-è-il-master! Il colore è così importante. Ecco perché Chagall è il mio pittore preferito. Uso molto colore anche nella pittura (almeno quando dipingevo di più). Guarda un po’ qui … Ci parliamo presto! Ciao J

Da: P -- Si lo è ! Dopo che mi hai scritto che ho fatto delle ricerche, e ho trovato questo articolo, sembra che in effetti ci sia una tecnica molto particolare dietro, ma cavolo se ho capito cos'è! Il tuo dipinto è il top (e questo è tutto ciò che la mia scarsa educazione visiva mi consente LoL, ma mi piace davvero, sei tu) !!! ah, sei già uno storyteller tridimensionale... se aggiungi il videomaking diventerai una specie di octopus-storyteller!!! Ciao! P

Da: P (allegato) -- la chitarra acustica era un po' triste per l’arrivo della nuova elettrica... così ho modificato la sequenza degli accordi di una vecchia canzone che avevo nel pc e l’ho registrata con la sola chitarra acustica (schema AABAACAA). Puoi farci qualcosa? J, che sta succedendo lì a L? Spero che stiate tutti bene (siete completamente vaccinati?). Ciao! P
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
da: J (allegato) -- Ciao P, sono davvero, davvero entusiasta di questa canzone! Ho pensato di aggiungere altro, ma … è così pura così com’è. Mi sembra giusto lasciarla chitarra e voce. Suoni la acustica proprio stupendamente. Devo dire che ho avuto il testo della strofa di apertura in anticipo su di te stavolta, una settimana fa - mi è venuto in mente mentre stavo pedalando, e speravo che mi avresti mandato qualcosa per cantarcelo sopra :). Penso che potrebbe essere la mia preferita sinora. Alla prossima! (Spero che l'Italia vada meglio, perché le cose si stanno mettendo di nuovo male a L. Il virus è fuori controllo e la doppia vaccinazione non è una garanzia per non contrarre Covid o morirne. Pensano che torneremo a 100.000 infezioni al giorno entro poche settimane :-( Ci vediamo dopo! J

“ci sono stanze che ho dovuto chiudere a chiave - e barche che non attraccano mai

in questo porto solitario. il mio cuore una volta aveva un equipaggio - ma si sono ammutinati, nelle loro sbiadite blu uniformi /

3 del mattino, sobrio, questa guerra non è mai finita da qualunque parte ti dicono che stai

ma ho qualcosa in mente quaggiù nel seminterrato - un cantante che fa le ore piccole con la sua canzone/

ci sono fantasmi che cerco di catturare - e altri che scappano tra le fessure, nel freddo del salotto

hanno il loro punto di vista – nella loro divisa militare ed armatura/

inseguo fantasmi, mentre dovrei stare con i vivi - senza ascoltare il ticchettio degli orologi dei morti

catturo fantasmi, quando dovrei stare con i vivi - vivendo per il momento nel momento/

ci sono stanze che ho dovuto chiudere a chiave, e barche che non attraccano mai - in questo porto solitario

il mio cuore una volta aveva un equipaggio, ma si ammutinarono in uniformi blu pallide/

ci sono fantasmi che cerco di catturare e alcuni che scappano attraverso le fessure /nel fresco del salotto/

hanno il loro punto di vista/ in divisa militare/ ed armatura”

da: P -- Devo aver sentito la tua richiesta silenziosa e sono felice di averlo fatto, perché ci hai adattato addosso un testo meraviglioso in modo meraviglioso. Adoro l'intimità di questa canzone, e sono d'accordo, è una delle nostre migliori (fino alla prossima ovviamente lol). Noi se tutto va bene in un mese avremo la seconda dose (forse puoi prenderlo lo stesso, ma una forma "minore" spero). Qui siamo vaccinati solo al 20% tra i giovani, questo è il problema: non stiamo facendo niente per proteggerli o incentivarli. Speriamo di svegliarci presto (in tutti i sensi)! Ehi J, ci ho pensato e voglio unirmi alla loggia massonica segreta dei ‘mastri canzonieri’, proverò ad ?istallarmi? il gruppo. Yeahauser. Ciao! P

Da: P (allegato) -- Ciao J... i ragazzi di “dipingendo la città” sono venuti di nuovo da me dicendo che l'ultima volta non avevano una buona attrezzatura, e che volevano riprovarci. Hanno registrato un pezzo di questa nuova base, ma non è finita perché non avevano soldi per pagare più di 1 ora (e io non sono certo ‘the kind guy’). Doveva finire con un crescendo sulla sezione B... giovinastri LoL. Se puoi aiutarli col testo, li chiamo domani per finire. Saluti, P

Da: J -- Mi ricorda molto i Cure. E ho avuto la melodia e l’inizio del testo già al primo ascolto! Sarà una canzone per il summerfest, che dici? Dì ai ragazzi che sono stati grandi :- ) Cheers J

Da: P -- Fico! Allora la tariffa di oggi la paghi tu lol :- )

Da: P (allegato) -- OK, eccola qui. E’ molto lo-fi e quasi non mixata/editata, ma anche così i ragazzi sono usciti abbastanza soddisfatti. Un’altre due ore sul tuo conto, J (più la tariffa del quartetto d’archi, ti faccio sapere ;-) Cheers P. p.s. i Cure sono nel mio sangue sanguinante di adolescente degli anni 80

Da: J (allegato) -- Ciao P! Eccola finta. La adoro. Epica ed estiva, un’epica estiva quindi! Ho aggiunto voce, basso e un paio di piccoli ritocchi di chitarra. Il testo qui sotto. Per il SummerFest. Se ti piace pubblicalo tu, ormai sei nei ‘mastri’ no? Spero che lo apprezzi anche tu. Saluti! J

“siamo i miliardari dell'estate - miliardari in una valuta diversa

siamo ricchi in accordi, ragazze del coro, e vino - che scorre fino alla cintola nei viali di verde/

miliardari che vanno a nuotare nel torrente - con la luce del sole di Busby Berkeley, danzando sull'acqua/

siamo i miliardari dell'estate - cani randagi nell'afa e nel caldo

ma il sole fa di tutti noi delle rock star - le nostre piscine sono le fontane in strada/

siamo ricchi di accordi, ragazze del coro e vino - che scorre fino alla cintola nei viali di verde/

miliardari che si stanno lasciando solo un po’ andare - con la luce del sole di Busby Berkeley, danzando sull'acqua/

perché quando il mondo intero è bagnato di lacrime e pioggia, non pensi mai che l’estate tornerà di nuovo

ma eccola qui che arriva, con i gelati che le si sciolgono nelle mani, lasciando impronte sulla sabbia/

siamo i miliardari dell'estate - miliardari di una valuta diversa/

siamo ricchi in accordi, ragazze del coro, e vino - che scorre fino alla cintola nei viali di verde/

ci mescoliamo come spie dei servizi segreti - con sfumature standard negli occhi / in carrozze climatizzate - mentre l'asfalto inizia a sciogliersi

dovresti vedere le cose che abbiamo visto noi - appena fuori dalla cintura di Orione/

siamo cani randagi nell'afa e nel caldo - le nostre piscine sono fontane, sogni di goccioline al rallentatore/

e le intelligenze artificiali - non possono scrivere canzoni come queste, non possono scrivere canzoni come queste, è questa la nostra malattia/ siamo i miliardari dell'estate”

Da: P -- Sono troppo pigro questi giorni per finire alcunchè correttamente, quindi se ti piace considerala una backtrack fatta e finita. Ho sentito i primi 30 sec di questa sequenza di accordi in un film – ti sei già accorto che amo le colonne sonore - e subito ho voluto copiarli (quindi, sto rubando di nuovo LoL: ma invoco l’attenuante che posso nominare almeno altre tre canzoni con la stessa sequenza...). Ad ogni modo ho modificato A in modo che fosse un modulo a chiamata-risposta e aggiunto la sezione B in modo che non sia identico all'originale. Lo schema è A A B A coda. Posso togliere dal mix il basso o la batteria se vuoi rifarli tu. Fammi sapere, P ps, sono gli stessi ragazzi di “dipingere la città” che suonano, provo tenerezza per loro perché la maggior parte delle volte non hanno idea di cosa diavolo stanno facendo con quelle chitarre (mi ricordano un po’ … indovina chi)…

Da: P -- accidenti, mi hai mandato un'altra hit! I tuoi testi mi fanno sempre molta compagnia, emozione (si, mi vergogno un po’ a dirlo, ma mi emoziona anche l’attesa di ricevere la tua versione, è una cosa un po’ ridicola lo so lol) e bellezza a parte. C'è inoltre sempre, sempre qualcosa che voglio cantare subito, immediatamente. Maa-aa ok, passiamo alla prossima, allora: ho già delle idee, un po' ambiziose, e questo significa al solito che non riuscirò a realizzarle LoL. Ma J, se c'è qualcosa di specifico che vuoi cantare (un genere o un'idea), fammelo sapere. Nel frattempo, pubblicheresti questa? saluti! P

(… dopo l’estate …)

Da: P -- Caro J, sono ancora scosso (eufemismo^2 lol). L’abbiamo fatto davvero. L’abbiamo! Fottutamente! Fatto! Davvero!!!! Abbiamo portato la nostra improbabile ganga di musicisti davanti a mille degenerati post-punk e metallari e osato sfoderare, in un cazzo di stadio rock la più alta dose di poesia e romanticismo compatibile con la sopravvivenza della band!!! Quando mai la rivedranno quei bruti una formazione composta da un guarda-paludi della louisiana, una diplomata al conservatorio, un camionista capellone, e noi due, direttamente dalla setta dei poeti estinti? Dà retta, è stato quasi più rock così che i Led Zeppelin (forse potevamo solo evitare la lettera a J, o l’ultima con quei versi in latino lol). Siamo stati lol moooolto sopra le righe … e se non ricordo male (e questo non credo che sia parte del famoso aplomb inglese) è stato solo perché M ti ha tirato per la giacca che siamo riusciti a evitare il tuo tuffo dal palco come un cavolo di kurt cobain! Se mai nella vita lo rifaremo, dobbiamo ricordarci di fare le rockstar la sera dopo il concerto, non quella prima … a proposito, non è che mi gireresti le foto myfriend?

Da: J -- Sto ancora ridendo, non so che mi ha preso (invece sì che lo so)! Sì certo ecco le foto, ce l’ho solo del Kashmir – M. dovrebbe avere qualcosa di meno sfocato :- ) (ma come si fa a restare am-stemi ad Amsterdam?). Foto più belle-strane dei miei quadri più belli-strani, con L che fa la cubista sul bancone e M&M sotto con i cappelloni e stivali come due angeli custodi country. E noi due al divano a fare l’inventario del fumabile, e a tatuarci dei versi col rossetto ... Finalmente ci siamo fatti quella chiacchierata lol. Freaking beautiful my friend. Cheers, J! ps questa scena te l’avevo predetta 10 canzoni fa …. “the poet and the singer, getting high again, making a song out of the rain” …

(un mese dopo)

Da: P -- OK J, abbiamo fatto le canzoni, i dischi, la ‘turnè’ lol (e come ci voleva dopo il covid!), siamo i nuovi simon & garfunkel, i nuovi elton john e bernie taupin, i nuovi dolce e gabbana (no, aspetta, questa no ;- ). Beh direi che abbiamo fatto porprio tutto (sempre tre ascoltatori/mese abbiamo, ho controllato ieri – e due li conosco ;- ). Ora, non vorrei girarmi come Forrest Gump e dire la famosa battuta ‘sono un po’ stanchino, credo che adesso me ne andrò a casa’… però … e adesso?

Da: J – MA COMEEEEE!!!! …. e adesso amicco mio …. e adesso ricominciamo tutto dal capo (D.C.)!!!!!! Go goo g’joob!!!!!!! J
 
Stato
Chiusa ad ulteriori risposte.
Alto