Di Pietrantonio, Donatella - L'età fragile

MonicaSo

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Non esiste un'età senza paura. Siamo fragili sempre, da genitori e da figli, quando bisogna ricostruire e quando non si sa nemmeno dove gettare le fondamenta. Ma c'è un momento preciso, quando ci buttiamo nel mondo, in cui siamo esposti e nudi, e il mondo non ci deve ferire. Per questo Lucia, che una notte di trent'anni fa si è salvata per un caso, adesso scruta con spavento il silenzio di sua figlia. Quella notte al Dente del Lupo c'erano tutti. I pastori dell'Appennino, i proprietari del campeggio, i cacciatori, i carabinieri. Tutti, tranne tre ragazze che non c'erano piú. Amanda prende per un soffio uno degli ultimi treni e torna a casa, in quel paese vicino a Pescara da cui era scappata di corsa. A sua madre basta uno sguardo per capire che qualcosa in lei si è i primi tempi a Milano aveva le luci della città negli occhi, ora sembra che desideri soltanto scomparire, si chiude in camera e non parla quasi. Lucia vorrebbe tenerla al riparo da tutto, anche a costo di soffocarla, ma c'è un segreto che non può nasconderle. Sotto il Dente del Lupo, su un terreno che appartiene alla loro famiglia e adesso fa gola agli speculatori edilizi, si vedono ancora i resti di un campeggio dove tanti anni prima è successo un fatto terribile. A volte il tempo decide di tornare sotto a quella montagna che Lucia ha sempre cercato di dimenticare, tra i pascoli e i boschi della sua età fragile, tutti i fili si tendono. Stretta fra il vecchio padre cosí radicato nella terra e questa figlia piú cocciuta di lui, Lucia capisce che c'è una forza che la attraversa. Forse la nostra unica eredità sono le ferite. Con la sua scrittura scabra, vibratile e profonda, capace di farci sentire il peso di un'occhiata e il suono di una domanda senza risposta, Donatella Di Pietrantonio tocca in questo romanzo una tensione tutta nuova.

Non esiste un'età che ci possa preservare dal dolore, dalla paura, dalle nostre stesse fragilità... è il periodo della nostra intera vita, secondo me, la nostra età fragile.
In questo romanzo una madre e una figlia subiscono entrambe, a distanza di anni, ferite profonde, reagiscono entrambe con la fuga e
sarà poi il silenzio e la solitudine a far rinascere a poco a poco la loro volontà di ricominciare a mettersi in gioco.

La Pietrantonio racconta l'incapacità di capirsi e di comunicare usando come sfondo un fatto di cronaca nera, un doppio femminicidio, realmente accaduto nei boschi del monte Morrone in Abruzzo.

Mi è piaciuto il romanzo e lo stile con cui è stato scritto, la Pietrantonio per me è una riconferma.
 
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alessandra

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All'inizio del romanzo la narratrice racconta il ritorno a casa, in montagna, della figlia da Milano durante il lockdown, dell'isolamento della ragazza, del suo disagio e io pensavo che parlasse prevalentemente di questo. Invece il percorso di Amanda, la figlia, procede di pari passo con quello della madre. Quando il vecchio padre di quest'ultima decide di cederle la proprietà di un terreno che tanti anni prima è stato teatro di un terribile avvenimento (chiamato "il fatto" dalla protagonista), la donna è costretta a fare i conti con un passato scomodo e mai davvero dimenticato. La profondità introspettiva della scrittura si unisce a una trama avvincente: ciò che è successo in quel campeggio viene svelato pian piano, come in una sorta di giallo. L'autrice parla di femminicidi senza retorica o pesantezza e intanto ci racconta il percorso di crescita di una madre e di una figlia, che avvengono contemporaneamente seppure le due donne non comunichino tra loro. Sarà proprio quella montagna maledetta a unirle, in una simbolica conclusione che è fine e inizio. Bello, ben scritto, in maniera sensibile e bella anche la storia, anche se ho trovato alcuni aspetti poco credibili o troppo frettolosi.
 
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