Hamsun, Knut - Fame

Teo82

New member
Cos'è la fame? Che impatto ha nella vita di ciascuno? Ci rende persone diverse una volta che si manifesta in tutta la sua portata devastante? In questo libro, splendido, di Hamsun, in perfetto stile nordeuropeo, ci viene presentato un personaggio indimenticabile, che di lavoro farebbe lo scrittore se non fosse che si trova in difficoltà economiche tali da dover patire anche la mancanza di cibo. Hamsun ci racconta le peripezie di questo personaggio a cui è stata sottratto il presupposto per vivere: il mangiare. Hamsun ci presenta piu' una sopravvivenza che una vita vissuta, una convivenza con una mancanza che alla lunga (e non troppo alla lunga!) porta alla follia e al rapido declino di una personalità. Hamsun incornicia perfettamente questo problema a livello psicologico del personaggio principale e unico del romanzo, mettendoci di fronte all'evidenza: senza buttare giu' qualcosa nello stomaco, senza che la lingua possa assaporare qualche boccone, senza che l'olfatto si mantenga allenato nel sentire certi profumi, si rischia seriamente di cadere in un vortice dal quale poi diventa difficile risalire. E' un romanzo sicuramente di formazione ma anche psicologico, sociale, che ha un forte impatto sulla sensibilità di chi legge. Personalmente io ho seguito la storia con grandissima partecipazione, tanto che l'ho letto tutto d'un fiato perchè abbandonare la storia significava per me abbandonare il personaggio, che si trovava in grande difficoltà. Hamsun ha questa qualità: ti immerge nella storia da lettore e via via col passare delle pagine svoltate, abbandoni il ruolo esterno per iscriverti ufficialmente come partecipante fianco a fianco delle vicessitudini del nostro protagonista. E' un libro che io farei leggere alle MODELLE, che per sfilare vanno incontro a rischi elevatissimi mangiando poco o nulla. Lo farei leggere anche a chi spreca cibo e chi in generale, avendo tutto, non riesce a bene calcolare il reale valore delle cose.
 

Vesper

New member
Questo è stato il secondo libro di Knut Hamsun che ho letto e ha riconfermato l'opinione estremamente positiva che mi ero fatta dell'autore dopo aver letto Pan.
Molto bella la maniera di Hamsun di descrivere le emozioni del protagonista, così come le atmosfere romantiche e il carattere sognante dei suoi personaggi. Questo libro scorre veloce e suscita inevitabilmente la compassione e la simpatia del lettore nei confronti del protagonista.
Mi dispiace solo che Hamsun, che ha vinto il premio Nobel per la letteratura e che in patria è uno degli autori più conosciuti e importanti, non sia altrettanto famoso qui in Italia. E' un vero peccato perchè, per quel che ho potuto leggere fino ad ora, è veramente un autore di grande spessore.
 

Mizar

Alfaheimr
Chi ha voglia di parlarmi un pò del suo stile?

E' ormai un anno che flirto con Pan senza convincermi a prenderlo :???:
 

risus

New member
Una bella scoperta questo Hamsun!!!
Il romanzo, in realtà, non ha una trama vera e propria
ma riporta una serie di vicissitudini che interessano il protagonista.
Nonostante questa apparente frammentarietà il lettore rimane
incollato alle pagine curioso di scoprire cos'altro mai potrà
succedere a questo personaggio indebolito ed esasperato dalla fame
che vaga per le strade di Cristiania, l'odierna Oslo. E di cose ne capitano, tante...

Di fronte alla fredda e reale spietatezza di una società norvegese di inizio
XX secolo che mai avremmo immaginato così crudele, il nostro
protagonista, stomaco vuoto e mente annebbiata, al limite del delirio e del crollo,
crede fermamente che solo la poesia, la letteratura, l'arte possano indicare
una via di salvezza ristabilendo un rapporto dell'individuo con la società,
degli uomini con gli uomini... fino a quando non si imbatte nel "Copegoro"...
:mrgreen::mrgreen::mrgreen:
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Cos'è la fame? Che impatto ha nella vita di ciascuno? Ci rende persone diverse una volta che si manifesta in tutta la sua portata devastante? In questo libro, splendido, di Hamsun, in perfetto stile nordeuropeo, ci viene presentato un personaggio indimenticabile, che di lavoro farebbe lo scrittore se non fosse che si trova in difficoltà economiche tali da dover patire anche la mancanza di cibo. Hamsun ci racconta le peripezie di questo personaggio a cui è stata sottratto il presupposto per vivere: il mangiare. Hamsun ci presenta piu' una sopravvivenza che una vita vissuta, una convivenza con una mancanza che alla lunga (e non troppo alla lunga!) porta alla follia e al rapido declino di una personalità. Hamsun incornicia perfettamente questo problema a livello psicologico del personaggio principale e unico del romanzo, mettendoci di fronte all'evidenza: senza buttare giu' qualcosa nello stomaco, senza che la lingua possa assaporare qualche boccone, senza che l'olfatto si mantenga allenato nel sentire certi profumi, si rischia seriamente di cadere in un vortice dal quale poi diventa difficile risalire. E' un romanzo sicuramente di formazione ma anche psicologico, sociale, che ha un forte impatto sulla sensibilità di chi legge. Personalmente io ho seguito la storia con grandissima partecipazione, tanto che l'ho letto tutto d'un fiato perchè abbandonare la storia significava per me abbandonare il personaggio, che si trovava in grande difficoltà. Hamsun ha questa qualità: ti immerge nella storia da lettore e via via col passare delle pagine svoltate, abbandoni il ruolo esterno per iscriverti ufficialmente come partecipante fianco a fianco delle vicessitudini del nostro protagonista. E' un libro che io farei leggere alle MODELLE, che per sfilare vanno incontro a rischi elevatissimi mangiando poco o nulla. Lo farei leggere anche a chi spreca cibo e chi in generale, avendo tutto, non riesce a bene calcolare il reale valore delle cose.

Bellissima recensione!

Non avrei altro da aggiungere, se non che Hamsun ha vissuto davvero, e in prima persona, ciò che narra.
Tra le pagine c’è la pelle che scotta di fame e, fuor di ironia, personalmente ogni tanto dovevo mangiare qualcosa.

Ho sentito anch’io quella bella sensazione descritta sopra, quella di non poter lasciare il romanzo appoggiato sul comodino. Il mio partecipare alle sofferenze di Hamsun, il mio “compatirlo” (nel senso etimologico del termine), ha fatto sì che lui letterariamente non morisse. Non mi sentivo di chiudere il libro e lasciarlo solo.

Un romanzo, dunque, auto biografico, a tinte fortemente realiste e connotato a livello psicologico. C’è un po’ di Freud, il miglior Verga, parte di Hemingway, molto di Bukowski, qualcosa di Dosto e una buona dose dei maledetti francesi . Una miscela possibile solo per le menti più percettive.
Un romanzo che ha le proprie radici saldamente affondate nell’ 800 e che, parallelamente, proietta uno sguardo su quello che sarà il ‘900 (mai due secoli cronologicamente così vicini sono stati così lontani).

Un secolo, quello appena trascorso, di una complessità enorme (tanto che nemmeno oggi lo capiamo del tutto) e che Hamsun aveva, nelle sue forme primordiali, comunque intravisto.
(Il genio intravede ciò che sarà. O ciò che è, ma che gli altri non vedono).

La fame, concreta e fisica come diceva Teo 82, è lo spunto per abbozzare quel malessere psicologico, quella fame “fuori”, quel disordine, quella complessità, quelle mancanza di prospettive, quelle mostruosità che il XX secolo butterà alla rinfusa sulla tela della storia. Come i futuristi faranno con i colori.
Un caso e un caos totali, che Hamsun descrive con realismo pungente.

Da leggere e rileggere per capire da dove viene la letteratura del ‘900.

Votato 5.
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Ho fatto molta fatica a finirlo, per la lentezza con cui procedevo, senza togliere nulla alle valutazioni di chi lo ha apprezzato l'ho trovato eccessivamente lungo quando un romanzo breve o un racconto lungo avrebbero soddisfatto pienamente quelli che erano i contenuti che l'autore eccellentemente affronta in un delirio continuato a causa della fame, dell'impotenza, dell'ignavia, dell'orgoglio e della confusione che questo giovane alla ricerca di sé affronta giorno per giorno. Alla fine prende una decisione ma quanta fatica la sua e la mia per arrivare alla parola fine.
 

lincemiope

New member
ho letto il libro, leggere sempre un nobel... e poi dimenticarlo!

mi è sembrato noiosetto, e se poi abbinato al clima di disperazione ed alla logistica, da mettere su uno scaffale alto 5 metri ed abbandonarlo.
mi ha lasciato solo angoscia.. :sbav:
 

alevale

Well-known member
È il secondo libro che leggo di questo autore norvegese, premio Nobel e inspiegabilmente poco conosciuto da noi.
La vera protagonista è la fame, che accompagna per tutto il libro un giovane e squattrinato scrittore/giornalista.
il giovane, di cui non viene mai detto il nome, versa in condizioni di povertà assoluta, tanto da rimanere completamente digiuno per giorni e giorni arrivando a rimettere il cibo che, grazie ad aiuti esterni e colpi di fortuna (molto rari) riesce a volte ad ottenere, tanto il suo stomaco si è disabituato a mangiare.
Lo stile è asciutto, tipico degli scrittori scandinavi, ma a tratti è onirico, delirante, perché è la fame a far delirare il protagonista.
(già solo questa abilità stilistica meriterebbe la lettura del libro)
Da cornice c'è Oslo, fredda, a tratti quasi ostile, a tratti invece bellissima, a seconda dei vari stati d'animo dello sfortunato scrittore.
I personaggi di contorno sono tratteggiati fugacemente, alcuni misericordiosi in modo inaspettato, altri (la maggior parte) di una crudeltà spietata.
Insieme alla fame, una cosa che non abbandona mai il protagonista è la sua rettitudine morale, la sua commovente bontà, anche nelle situazioni più difficili, la sua dignità ferita.
Certo, è un libro angoscioso, non c'è dubbio.
Consigliato a chi apprezza libri dalla trama non avvincente, ma dalle intense speculazioni.
Ho trovato analogie con alcuni scrittori russi (es. Dostoevskij con le Memorie del sottosuolo, e qualcosa di Delitto e Castigo) , ma anche con Furore (nel modo di descrivere la miseria) .
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Sto leggendo l'edizione con la prima traduzione italiana (1921) di Federico Verdinois, conosciuto già attraverso opere del Dosto e altri autori russi. Mi sta piacendo molto e (purtroppo) mi sto ritrovando spesso nelle parole, nei pensieri e nelle allucinazioni del protagonista anche se per motivi diversi.
Intanto posto qualche citazione:
Ero così stanco, così stufo della mia disgraziata esistenza, che proprio non metteva più conto di lottare per sostenerla. La disdetta aveva varcato tutti i limiti. Non ero più vivo, divenuto lo spettro di quel che ero una volta.
Non c'è rimedio: le forze misteriose che mi governano fanno di me quel che vogliono. Facciano pure.
In fondo, si può aver sortito da natura una sensibilità eccessiva, e non per questo essere pazzo... Si danno caratteri, che qualunque inezia mette in agitazione, che una semplice parola basta ad uccidere.
 
Ultima modifica:

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
L'ho finito già da diversi giorni. Nonostante, anzi, soprattutto per l'angoscia di fondo, io l'ho trovato sublime.
Mi ero dimenticata di quest'altra citazione:
Sperimentavo codesta debolezza morale, codesta incapacità di esser padrone di me e di prefiggermi uno scopo determinato. Un intero sciame d'insetti malefici si era insediato nel mio me, e lo rodeva e lo consumava fino in fondo... E chi sa... non poté a darsi che Dio avesse l'intenzione di sbrigarsi di me e di annullarmi definitivamente?
 

Pnin

Well-known member
È piaciuto molto anche a me.
Decisamente nel mio genere.
C'è tutto quello che fatico a trovare negli autori attuali (generalizzo, ma in linea di massima dal mio punto di vista è così): vale a dire la capacità di andare veramente a fondo nell'animo umano, non fermarsi alla storia da raccontare, non aver paura di annoiare con i dettagli interiori, saper raccontare le sensazioni (motivi per cui ho apprezzato L'orologio di Carlo Levi e non ho invece saputo apprezzare La vegetariana di Han Kang)
 

alevale

Well-known member
È piaciuto molto anche a me.
Decisamente nel mio genere.
C'è tutto quello che fatico a trovare negli autori attuali (generalizzo, ma in linea di massima dal mio punto di vista è così): vale a dire la capacità di andare veramente a fondo nell'animo umano, non fermarsi alla storia da raccontare, non aver paura di annoiare con i dettagli interiori, saper raccontare le sensazioni (motivi per cui ho apprezzato L'orologio di Carlo Levi e non ho invece saputo apprezzare La vegetariana di Han Kang)
Sono davvero d'accordo con te.
 
Alto