attenzione, spoiler
Mi ero creata talmente tante aspettative su questo breve romanzo, considerato uno dei capolavori del Novecento, che per metà opera ho avuto paura di poter restare delusa. L’apatia del protagonista, la sua indifferenza, il modo di raccontarci la sua vita quasi fosse “registrata” da una macchina, attenta osservatrice eppure incapace di sentimenti, hanno coinvolto anche me che, pur conoscendo a grandi linee i presupposti filosofici di quest’opera, ho temuto di potermi sentire “estranea” rispetto al suo valore.
E in fin dei conti credo che l’intento dell’autore, in questa prima parte, fosse proprio questo: prima di qualsiasi teorizzazione filosofica sull’assurdità del vivere, metterci faccia a faccia con Mersault, con la conseguenza inevitabile di giudicarlo anche noi in base a ciò che non dice, non fa e soprattutto non prova: tutto gli è indifferente, nulla “ha importanza”.
C’è una formula che ricorre spesso, sorta di leit motiv del romanzo, ed è “questo non significa nulla”. Lo dice Mersault soprattutto nella seconda parte, rivolto a chi lo interroga sull’omicidio e cerca di “inquadrarlo” per poterlo giudicare. Mersault non capisce, sembra davvero che gli si parli in una lingua straniera... Non ha voluto vedere sua madre nella bara, non ha pianto? Questo non significa nulla. É andato al cinema con Maria il giorno dopo il funerale? Questo non significa nulla.
Qualsiasi comportamento in qualsiasi circostanza si esaurisce in sé, non presuppone o determina altro: Camus mette in discussione il consolidato rapporto fra la moralità di un uomo e il suo agire nel mondo, e di conseguenza fra il suo agire e il suo essere giudicato moralmente.
Mersault ha ucciso un uomo, lo ha fatto senza alcun motivo reale e perciò il suo atto non ha un “significato”, non lo identifica come individuo. Con quel “non significa nulla” sembra che Mersault/Camus voglia mettere in guardia il giudice, l’avvocato, il pubblico, dal considerare un uomo “cattivo” perchè non ha agito come noi ci aspetteremmo che facesse un uomo dabbene.
Da qui alla condanna il passo è breve: la legge giudica e condanna un uomo non tanto per quello che ha commesso (il delitto è avvenuto, c'è poco da discutere), ma in base a quelle “aggravanti” o “attenuanti” che altro non sono che il nostro personale giudizio sui suoi sentimenti. Camus, mettendo in crisi l'ovvietà della corrispondenza fra sentire e agire, ci toglie la certezza di questo diritto.
Intuito questo, anche le pagine già lette hanno assunto un sapore nuovo: ma siamo proprio sicuri che Mersault non “senta” nulla? Sente il tempo, per esempio, il caldo, l’umidità del mare, il battere del sole... Sente la bellezza di Maria, la rotondità dei suoi seni, la voglia di abbracciarla, anche se poi sposarla o perfino “amarla” gli è indifferente. Non ha pianto per sua mamma, però parla spesso di lei, la ricorda, riporta alcune sue frasi... Tutto ciò che è pura esistenza fa parte di lui: egli è estraneo a tutto, magari anche al suo destino, ma non alla sua vita; è assente per chiunque ma è presente a se stesso, al suo “qui e ora”.
Le pagine della prigionia sono bellissime: nessuna forma di autocommiserazione, è ovvio, ma la consapevolezza c’è, anzi, potremmo dire che una volta recisi i legami della vita con tutto ciò che questa vita potrebbe significare, quello che resta è la coscienza pura di questa vita. Assurda ma reale, a differenza dei giudizi, dei valori, delle opinioni. In questo senso mi ha ricordato (e non a caso) La nausea di Sartre, quasi un “manifesto” dell’esistenzialismo in letteratura. Ma a differenza di Sartre, lo stile scarno, arido, spigoloso di Camus, la linearità e ineluttabilità della vicenda risultano ancora più violenti ed efficaci.
Il passaggio più intenso, quello in cui “qualcosa si spezza” dentro Marsault, incalzato dalle domande del prete, è l’unico punto in cui il protagonista finalmente “reagisce”, rivelando sinceramente se stesso:
“Io, pareva che avessi le mani vuote. Ma ero sicuro di me, sicuro di tutto, più sicuro di lui, sicuro della mia vita e di questa morte che stava per venire. Sì, non avevo che questo. Ma perlomeno avevo in mano questa verità così come essa aveva in mano me.”
Mersault, indifferente a tutto fuorché ai singoli istanti del suo esistere, muore come ha vissuto: ignorandone il valore e il significato, ma in piena coscienza, come forse nessun altro, almeno nelle pagine del romanzo, è stato capace di fare.