Mi sento decisamente in soggezione nel cercare di aggiungere il mio commento al fiume di unanime lodi sperticate che accompagnano questo libro.
Metto subito le mani avanti: questa raccolta di aneddoti mi è tutto sommato piaciuta, ma ho costantemente avuto la sensazione che mancasse un tassello fondamentale, perché il mio apprezzamento fosse completo. Mi sembra anche inutile stare a ripeterlo, dato che ormai lo hanno già detto proprio tutti, ma l'approccio di Sacks è decisamente azzeccato: oltre alla descrizione clinica dei casi presi in questione, ho apprezzato ovviamente moltissimo la grazia il tatto con cui Sacks ci ha presentato i suoi pazienti, che prima di essere una malattia restano, innanzitutto, esseri umani. Sono molto interessanti anche tutte le riflessioni, gli spunti, i rimandi, le citazioni che infarciscono il testo, rendendolo un prisma ricchissimo; ho apprezzato anche la prosa, precisa e puntuale, ma sempre piacevole e tutto sommato scorrevole.
Mi sembra che il mio giudizio, al momento, sia piuttosto sbrigativo, come se stessi dando per scontate tante cose che però, in effetti, tanto scontate non sono. Non è scontato che un medico sappia rendere appassionante la descrizione di un caso clinico, per quanto all'occhio di un non addetto al lavoro tale caso possa apparire bizzarro. Non è scontato che tale medico sappia trascendere in maniera così spontanea il mero campo della descrizione scientifica, per scendere in campo filosofico e allargare le sue riflessioni ad una sfera molto più ampia. E non è scontato che sappia tenere unito il rigore scientifico, senza mai sacrificare la puntualità nelle descrizioni, alla divulgazione tale da permettere a chiunque di comprendere quella che è forse la scienza più complessa e piena di ombre a cui riesca a pensare.
Eppure, continua ad esserci qualcosa che non torna.
Io sono tutt'altro che un'esperta di neuroscienze: ho una formazione totalmente umanistica, la mia mente si chiude a riccio e inizia a ripetersi all'infinito le sigle dei cartoni animati, quando sente parlare di dati scientifici e numeri, eppure mi è sembrato che questo libro non affondasse i suoi artigli quanto avrebbe dovuto. All'università, ho incontrato un paio di volte le neuroscienze, quasi di straforo, senza avere le giuste basi per comprendere tutte le implicazioni più profonde di quanto stessi studiando: in particolare, quando ad insegnare storia della psicologia a gente che praticamente conosceva solo Freud e nei casi migliori un po' di Jung, mi sono ritrovata un neuroscienziato che aveva collaborato con Rizzolatti, e che si è ritrovato a fare i salti mortali per spostare la nostra attenzione dalla psichiatria ai neuroni. Ecco, in qualche modo quell'uomo ha fatto il miracolo: è riuscito a ficcare nella mia testa antiscientifica una scintilla, se non di sapere, di ardente curiosità.
La cosa buffa è che, durante quel corso all'università, parte del programma d'esame si concentrava proprio su casi assimilabili a quelli descritti da Sacks. E per quanto, naturalmente, nessuno si aspettava da un gruppo di filosofi che all'inizio del corso nemmeno sapeva di preciso che cosa fosse un neurone comprendessero le implicazioni più scientifiche dei casi presi in esame, almeno il tentativo di portarci oltre l'aneddoto c'era stato.
Ecco, forse è questo, che avrei voluto da “L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello”: andare un pochino oltre, avere delle spiegazioni in più, non limitarmi ad una rapida spiegazione della beffarda condizione di determinate persone.
Comprendo benissimo che a quel punto il saggio si sarebbe trasformato in qualcosa di completamente diverso, e che con ogni probabilità, se solo Sacks avesse provato ad addentarsi un po' di più in cause e metodi di cura, non sarei più riuscita a seguire il filo della narrazione, perché fondamentalmente mi sarebbero mancate le conoscenze di base, ma avrei comunque voluto provarci.