A volte credo di dare troppa importanza a quello che leggo. Non fraintendetemi, non sono certa di riuscire a spiegare al meglio quello che vorrei dire: nella mia vita ho pochissimi punti fermi, ma una delle poche certezze, una delle poche cose su cui non ho mai avuto dubbi è proprio l'importanza che per me ha la letteratura, e non credo di voler cambiare questo fatto. Quello che intendo dire è qualcosa che probabilmente non riuscirò a dire, e allora faccio un passo indietro e provo a ricominciare da un'altra prospettiva. Ho sempre avuto un rapporto particolare con i racconti: pensavo non mi piacessero, pensavo fossero solo la seconda scelta di un romanzo, qualcosa di più piccolo e più facilmente trascurabile. Poi è arrivato Richard Yates, con le sue*Undici solitudini*, e ho capito quanto fossi stata superficiale ed ingenua a pensare una cosa del genere. E proprio nel periodo in cui ero ancora stupita dall'epifania generata da Yates diverse persone mi hanno consigliato caldamente di buttarmi su Carver, perché se avevo amato Yates sarei letteralmente impazzita per Carver; se avevo apprezzato il minimalismo e il realismo di Yates avrei adorato quello di Carver; se avevo provato una solitudine e un dolore immensi leggendo dei personaggi di Yates, sarei sicuramente stata annientata da quelli di Carver. Ebbene, ho pensato che l'incontro con un autore tanto grande, un autore che sembrava avere tutte le carte in regola per diventare uno dei miei autori preferiti, non potesse avvenire così, in un momento qualsiasi, senza importanza, senza che ogni cosa fosse al suo posto. E così ho rimandato, e rimandato, e ho letto altri autori, ho letto altri racconti, sempre pensando di non essere pronta per Carver.
Qualche settimana fa, senza troppe aspettative, sono stata travolta dai*Nove racconti*di Salinger, e il giorno stesso in cui ho terminato quell'ultimo racconto, ho prenotato*Cattedrale*in biblioteca. Ho deciso di non viverlo in maniera bulimica, come faccio sempre con le raccolte di racconti, ma di centellinarne la lettura, di leggere piano, di immergermi in ogni racconto con lentezza, profondamente, senza passare subito ad un altro racconto. E ho cercato, ho disperatamente cercato di farmi spazzare via da Carver. Ecco, ho dato troppa importanza a quello che stavo leggendo - ho cercato di dare troppa importanza a quello che stavo leggendo - e qualcosa si è rotto. C'ero io che leggevo lentamente ogni frase, fermandomi a pensare alla maestria insita in una costruzione (e non è un caso parlare di costruzione in*Cattedrale*), c'ero io che mi ripetevo quanto fosse bravo Carver, quanto sapesse rendere reali personaggi fittizi, quanto le storie parlassero di solitudine e desolazione, ma non c'è stato molto altro. Quando ho scritto il mio commento ai*Nove racconti*di Salinger ho parlato di barriere abbattute, qui posso parlare solamente di costruzioni: Carver è un costruttore (e forse qui dovrei fermarmi e fare dell'ironia, dal momento che il racconto di Yates che più mi è piaciuto è stato proprio “I costruttori”), costruisce con una perizia e una maestria innegabile edifici semplici, lineari, che ricordano in tutto e per tutto*la vita vera*- questa fantomatica entità -, costruisce edifici stranianti e pieni di una desolazione, una solitudine, una distruzione intrinseca da lasciare ben poca speranza, ben poca luce (proprio quella luce che, invece, sapeva filtrare dalle imprecisioni del racconto di Yates>), ma a ben guardare si tratta pur sempre di costruzioni. Costruzioni solide, fredde, realistiche, ma quando qualcosa è realistico non può essere reale. E allora forse avrei preferito qualcosa di meno solido e curato, qualcosa che mi facesse temere che tutto si potesse sgretolare ad un tocco troppo vigoroso, perché essere travolti e sommersi, almeno in letteratura - almeno nella mia esperienza della letteratura - è sempre meglio della quieta ammirazione di quando si resta a guardare.*
Devo dire che ci sono stati momenti in cui, per un attimo, ho smesso di pensare alla costruzione, e ho provato quella sensazione di perdita di coscienza e razionalità che mi accompagna durante la lettura dei libri che preferisco, ma si è trattato solo di momenti: “Una cosa piccola, ma buona”, “Attento” e “Febbre”. Poi l'ammirazione (e attenzione, si tratta pur sempre di ammirazione, per cui è naturale che sto parlando solo del mio personale e soggettivo modo di fruire di un'opera letteraria) per la costruzione è tornata a prendere il sopravvento, ponendo una barriera che, nonostante tutti i miei sforzi - e sono stati tanti - non sono riuscita ad abbattere.